25 aprile, quando l’antifascismo è cultura
Nel film Un giorno da leoni (1961), di Nanni Loy – che racconta un fatto realmente accaduto, la distruzione del ponte “Sette Luci” sulla linea ferroviaria Roma-Formia sul quale transitava un convoglio nazista, effettuata dopo l’8 settembre del ’43 da un commando partigiano – alla fine, i tedeschi cercano di insabbiare la presenza dei partigiani attribuendo l’attentato agli americani, smentendo così la possibilità che possano esistere degli italiani (i partigiani appunto) che combattono contro di loro.
Le recenti dichiarazioni del presidente del Senato La Russa non sono altro che la punta di diamante di una serie di dichiarazioni fatte da vari esponenti del governo con lo stesso scopo delle notizie diffuse dai tedeschi nel film dopo l’attentato al ponte: smentire la presenza dell’antifascismo nella storia e anche ai giorni nostri. Quando il presidente, in merito alle celebrazioni del 25 aprile, dice che l’antifascismo non è contemplato dalla Costituzione e che, “per fare contenti tutti”, se ne andrà a Praga a onorare Jan Palach, martire della resistenza all’Unione Sovietica, sta compiendo una grande opera di insabbiamento (qui). Cerca di sviare il discorso dal nucleo di questo stesso discorso: se parliamo di antifascismo e di 25 aprile, cosa c’entra Jan Palach? Perché mai dovrebbe festeggiare il 25 aprile a Praga? Per fare contento chi? Il 25 aprile è una festa strettamente legata all’Italia e alla liberazione dalla dittatura del nazifascismo.
Ebbene, queste dichiarazioni fanno parte di una subdola operazione di normalizzazione del neofascismo attuata per mezzo di frasi e di azioni. Come ha scritto acutamente Francisco Soriano in un bell’articolo, la normalizzazione del neofascismo è passata anche dalla CGIL, quando la premier Meloni è stata invitata al congresso nazionale del sindacato. E poi attraverso tante frasi dette così, alla c. di cane, da persone che rappresentano le istituzioni. Ne ricordiamo alcune: alla fine di marzo la premier ha detto che alle Fosse Ardeatine “335 italiani sono stati massacrati solo perché italiani” (qui) quando sappiamo storicamente che è stata la feroce risposta all’attentato partigiano di via Rasella. Anche nella frase della premier, come nelle dichiarazioni tedesche nel film Un giorno da leoni, spariscono completamente i partigiani. Tra l’altro, lo stesso La Russa ha dichiarato che ad essere uccisi, in via Rasella, non erano nazisti delle SS ma una “banda musicale di semi-pensionati” (qui). Da questa dichiarazione, a sparire, sono invece l’efferatezza e la stessa presenza dei soldati nazisti. A gennaio, il ministro della Cultura (!) Sangiuliano ha detto che “Dante è stato il fondatore del pensiero di destra in Italia” (qui), frase veramente incommentabile. Il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, pochi giorni fa, ha detto che “non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica” (qui), in relazione alla presenza degli immigrati in Italia.
In un paese che non fosse l’Italia, forse, la gente sarebbe scesa in piazza, indignata contro la sciatteria, il qualunquismo e l’ignoranza di queste dichiarazioni che non sono state fatte da pensionati al bar, ma da esponenti del governo. L’uso delle parole, delle frasi effettuato da questi stessi esponenti mira a creare un grande vuoto di qualunquismo, a insabbiare, a fare sparire, a normalizzare. A dire, “cosa vuoi che sia stato il fascismo”, una cosa normale e magari anche bella. I partigiani non sono esistiti e neppure i nazisti. L’antifascismo non è un valore. Questo qualunquismo che arriva dall’alto fa tanti danni in basso, fra le giovani generazioni che non riescono più a capire dove sta il male, ma recepiscono soltanto la “banalità del male”. Si tratta di una grande opera di appiattimento culturale che sta arrivando dall’alto, su un terreno già ben preparato da anni di “riflusso”, di disimpegno e di berlusconismo galoppante. Ne è un esempio la circolare di una scuola di Aulla che invita i giovani a dibattere sull’opportunità di festeggiare ancora il 25 aprile (qui). Certo, perché c’è libertà di opinione. Ma questa libertà sbandierata dal potere, è una falsa libertà: è un invito a mettere in discussione la nostra stessa cultura e i valori di questa cultura, come l’antifascismo o le azioni partigiane, in nome di uno squallido qualunquismo e di uno squallido appiattimento culturale. Riscopriamo questa cultura, anche nelle scuole, rileggiamo Fenoglio, Pavese, Vittorini, Calvino, Pasolini, le lettere dei condannati a morte della Resistenza, guardiamo e riguardiamo classici del cinema come Roma città aperta o lo stesso Un giorno da leoni. Ascoltiamo e riascoltiamo le canzoni popolari legate alla lotta partigiana e le riprese recenti in chiave rock, punk, pop. L’antifascismo è cultura ed una potente arma contro l’ignoranza del potere e, nella fattispecie, di questo potere. Buon 25 aprile oggi, domani, dopodomani, sempre.
gvs