Editoriali

Cda Livorno, fino all’ultimo bandito?

La cessione del pacchetto di maggioranza del Livorno calcio da parte dello Spinelli group ad una cordata di imprenditori pone fine ad un’epoca sportiva della nostra città ma apre una serie di interrogativi che riguardano il rapporto tra questo sport, il territorio e l’economia. Chiariamo subito un paio di cose. La prima è che Spinelli non poteva più rimanere al timone della società visto che ormai non offriva alcuna prospettiva di sviluppo sia calcistico che, figuriamoci, nel rapporto tra economia sportiva e territorio. La seconda è che la cordata che ha acquistato il 90 per cento del Livorno ha delle criticità da evidenziare, senza drammi ma anche senza omissioni.
Nel cda del Livorno, e nello staff che sostiene una parte dei nuovi dirigenti, stando alle fonti stampa troviamo persone che, a diverso titolo e con differenti ruoli, hanno fatto parte di fallimenti anche storici del nostro calcio recente: Parma, Vicenza, Cuneo (che arrivò a prendere 26 punti di penalizzazione per problemi di bilancio) e anche Asti. Abbiamo un ex presidente che ha evitato, questione di mesi, il fallimento della propria ex squadra (Arezzo, altro crack che ha fatto notizia), ma che ci risulta essere sotto inchiesta per bancarotta fraudolenta. Abbiamo personaggi che sono rimasti sotto inchiesta, poi assolti, per inchieste delicate sui loro territori. Naturalmente ogni genere di eventuale smentita ci viene gradita, ma tra le nostre fonti e quanto si trova in rete ci sono diversi incroci e conferme.
Il presidente, azionista di maggioranza, si trova quindi questo genere di soci. Ma perché separiamo le posizioni dei soci dall’azionista di maggioranza? Semplicemente perché si tratta di due trattative diverse per la cessione di quote dello Spinelli Group, una condotta dalla banca Cerea l’altra direttamente da Aldo Spinelli, che sono confluite in un unico affare. Ci sarà contraddizione tra i soci e il presidente, cambieranno gli equilibri azionari verso l’acquisizione della quota di maggioranza da parte di Navarra come molti auspicano? Vedremo, è meglio non dare niente per scontato, siamo agli inizi di questa vicenda e di un rapporto tra soci che, da quello che si capisce, fino ad oggi non avevano forti legami tra loro.

Vediamo però alcuni temi, come dire, di scenario
Dobbiamo prima considerare lo stretto legame che c’è in C tra il numero delle squadre e l’economia dei fallimenti. Il numero delle squadre deve rimanere alto perché, in questo modo, Lega Pro e LND hanno un grosso potere statutario in FIGC (basta vedere da dove viene Gravina). Ma oggi avere molte squadre in C e D genera tanti fallimenti. Questo perché, ad esempio, nei tre gironi della C girano pochi soldi e quindi l’economia del fallimento, e non solo la chiusura per fine disponibilità economica, diventa qualcosa di molto appetibile. Dalle statistiche a nostra disposizione negli ultimi 10 anni nelle quattro serie maggiori ci sono stati oltre 160 fallimenti. Una media superiore alle quindici squadre a stagione. Tutta crisi economica o mancate riforme fiscali? No, guardando alle inchieste della guardia di finanza  una società di calcio, anche non di primo livello, che ritarda i pagamenti, ad esempio, può utilizzare questi fondi per aprire un conto di trading sulla borsa di Londra. A seconda del rinvio, e dell’entità dei fondi stornati, nonché della capacità di stare nel mercato dei titoli ad alto rischio, si possono guadagnare anche 4 milioni di euro in poche settimane trasferendo poi i fondi dove si vuole. Non c’è quindi solo il gioco delle plusvalenze da fare con i cartellini , non ci sono solo i giochi col denaro da lavare ma anche quelli da fare con la cassa e con la liquidazione dei beni della società che, come si vede, possono sia allargare il debito ufficiale che essere trasferiti su conti per operazioni a rischio e generare guadagni. Poi la società fallisce e si passa a nuovi terreni da conquistare. Ci sono società come il Cesena che, in questo modo, passando tra C, B e A sono fallite con la rispettabile cifra di 73 milioni di debiti. Giova ricordare che i debiti non servono solo per coprire operazioni di trading ma, per natura, sono sempre crediti generati altrove, utili per operazioni di ogni genere fino a quando non sono ufficialmente inesigibili. Insomma, se col calcio di C non ci si guadagna se ci si sa fare col debito del calcio delle serie minori si possono fare profitti. È la soccer debt economy, bellezza, ultimamente arricchita di forme tecnologiche di trasferimento del denaro delle società di calcio magari non a Londra ma in conti, alla fine, non più rintracciabili.

Ora noi non vogliamo dire che a Livorno si farà questo, ci mancherebbe, ma che va capito come ci si tiene alla larga da questa economia del debito della C che genera situazioni instabili, a rischio, esplosive. A questo punto sorge spontanea una domanda: la banca Cerea, che questa stagione ha curato l’acquisizione di Livorno, Carpi e, ci risulta, Legnano quali garanzie dà in modo da tenere lontano queste tre società da questo genere di economia del debito? Quale relazione c’è tra il Livorno e il Carpi, che ha preso l’ex DS del Livorno e l’ex presidente del fallimento del Cuneo, che era dato a Livorno ma sembra proprio avere legami con l’attuale società amaranto? È una relazione, questa tra Livorno e Carpi, che garantisce la lontananza da qualsiasi genere di gioco tra società entro l’economia del debito?
Va detto che l’azionista di maggioranza, Navarra, non mostra questo genere di legami con l’economia del debito, mentre i suoi soci hanno la loro partecipazione, in modi e ruoli diversi, col fallimento di diverse società. Ci sono interessi divergenti nel nuovo Livorno? È presto per dirlo ed è anche chiaro che i fallimenti nel calcio ci stanno, specie in questi anni difficili, ma nel Livorno bisogna vedere cosa prevale: se l’investimento long, basato anche sulla penetrazione del territorio, o quello del realizzo a breve o ad ogni costo. Ovviamente ci vuole anche un buon player finanziario, per costruire una società, e vediamo qui quale sarà il ruolo di banca Cerea o se interverranno altri istituti. Giusto vigilare quindi senza esagerare sulle situazioni critiche: va ricordato che Anconetani, prima del ciclo vincente a Pisa, arrivò in Toscana da presidente radiato e fu amnistiato solo grazie al condono istituito dopo la vittoria del mundial ’82. Vanno quindi capite sia le criticità sia le possibilità di questa situazione nuova. Certo, ci sono anche i segnali: se si coltiverà il settore giovanile vorrà dire che, visto che i giovani fruttano nel tempo, che siamo di fronte, in ogni caso, ad un tipo di investimenti di lungo termine che nulla hanno a che fare con l’economia del debito che svuota le società.

Ma il territorio come sta reagendo?
La città attraversa un momento nel quale l’economia della sopravvivenza, di fronte al peggiorare della crisi strutturale di Livorno, va di pari passo col declino dell’identità legata al calcio specie nelle fasce giovanili e in un territorio ad alto tasso di invecchiamento. Come spesso capita questi fenomeni possono anche invertirsi: economia della sopravvivenza e forte identità legata al calcio, anche quello moderno, si incontrano anche facilmente magari un domani favorite dalla situazione post-covid. Ma oggi la tifoseria non dà manifestazioni di comportamenti simili al passato. Bisogna prenderne atto, sperando che la nuova situazione societaria decolli e non cada nella palude della crisi della C con i suoi risvolti, come abbiamo visto, velenosi.
Le istituzioni, scottate dalla vicenda Sharengo si sono ritirate nel palazzo e, durante tutta questa trattativa conclusa da pochissimo tempo, si sono tenute ben lontane da presentarsi in modo propositivo. Si poteva fare altrimenti? Certo, facendo capire a tutti il ruolo del pubblico, gli interessi della città in questa vicenda specie sul nesso stadio-cittadella che può essere un polmone per la città nell’economia dello sport e dei servizi.
Vista anche l’entità finanziaria dell’operazione Cerea questa poteva benissimo essere svolta da un istituto cittadino magari attraendo risorse, e imprenditori, più immediatamente compatibili con il tessuto livornese. Ma la mancanza di iniziativa è una caratteristica tipica di questa amministrazione, brava nell’organizzare mostre e celebrazioni, che deve la propria esistenza più al timore delle destre che ad una reale consistenza progettuale.
Tutta questa vicenda è quindi destinata, al momento, a svilupparsi autonomamente da città e istituzioni. Poi, vedremo cosa accade ai protagonisti del nostro territorio, se rimangono in sonno o se cambiano atteggiamento.
Insomma il noto striscione fino all’ultimo bandito è passato dagli spalti alla presidenza nel silenzio di Livorno? Non è affatto scontato che accada ma in una situazione delicata sul territorio e di crisi del calcio, e dei suoi istituti regolatori, non dobbiamo fare finta di nulla.

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