Identità digitale e anonimato
In questo periodo si parla molto dell’anonimato in rete e dell’identità digitale (nickname), complice una proposta di alcuni parlamentari di Italia Viva, guidati da Luigi Marattin, subito ripresa da altri “vip” legati a quel mondo. Tale proposta mira a richiedere il documento d’identità per l’iscrizione ai social network. Il perché è abbastanza palese, impedire che la percezione (perché di percezione si tratta per la maggior parte degli utenti) dell’anonimato possa aumentare le manifestazioni di odio sui social, soprattutto insulti, e le fake news.
Tale questione è così assurda a chiunque conosca un po’ il mondo dei social che non varrebbe la pena nemmeno affrontarla, si pensi per esempio a un social come Facebook, dove la maggior parte delle persone si iscrive con nome e cognome e dove quel che viene considerato “odio sui social” è molto diffuso. Per le fake news basti pensare alle tante notizie false che ogni giorni ci sono nei quotidiani cartacei, negli ultimi giorni ha fatto scalpore l’articolo de La Stampa sul reddito di cittadinanza a Pomigliano per esempio.
Insomma, una proposta di una ignoranza tecnica, politica e giuridica.
Ma come è nata questa nuova ondata contro l’anonimato? Da un tweet di Gabriele Muccino
Ebbene sì, e già vedo le vostre risate. Una proposta simile infatti è già di per se’ fonte di ironia da chiunque conosca la rete in modo non passivo, come detto sopra, se però consideriamo anche l’autore della stessa la reazione normale può essere solo una fragorosa risata.
E così arriviamo subito a uno dei punti salienti del dibattito sull’importanza della tutela dell’anonimato: il “pregiudizio” sul messaggio. Infatti spesso finiamo per giudicare un pensiero non per il contenuto, ma più che altro per il nome della persona da cui proviene.
Questo tema è stato affrontato da molti studiosi, per esempio Michel Foucault in una famosa intervista anonima parlò proprio di questo.
Nel Gennaio del 1980 infatti Michel Foucault rilasciò un’intervista a Christian Delacampagne per il supplemento domenicale di Le Monde in cui pose una condizione che l’intervista sarebbe dovuta restare anonima e tutti gli indizi che avrebbero permesso di individuare il suo nome dovevano essere cancellati. Si seppe solo dopo la sua morte che si celava Foucault dietro a quel «philosophe masqué».
Delacampagne iniziò l’intervista domandando il perché della scelta dell’anonimato, e Foucault rispose così: “Perché le ho suggerito di utilizzare l’anonimato? Per nostalgia del tempo in cui ero assolutamente sconosciuto e, quindi, quel che dicevo aveva qualche possibilità di essere inteso. Il contatto immediato con l’eventuale lettore non faceva grinze. Gli effetti del libro si riflettevano in luoghi imprevisti e disegnavano forme a cui non avevo mai pensato. Il nome costituisce una facilitazione. 1
Arrivando addirittura a proporre un gioco.
Vorrei proporre un gioco: quello dell’«anno senza nome». Per un anno si pubblicheranno soltanto libri privi del nome dell’autore. I critici dovranno sbrigarsela con una produzione completamente anonima. Ma penso che, forse, non avrebbero nulla da dire: tutti gli autori aspetterebbero l’anno successivo per pubblicare i loro libri. 2
Questo era il dibattito allora. Qualcuno però potrebbe dire che era ancora un mondo “settario”, infatti se gli autori son moltissimi son sempre meno del possibile pubblico di lettori o, oggi, fruitori dei social media.
Citiamo allora un passo del dibattito di Tommaso Tozzi pubblicato su Decoder #9 del 1994, un quindicennio successivo, agli albori dell’esplosione social della rete:
Nel cyberspace la stessa definizione di “anonimo” rischia di esaurirsi in una questione linguistica. Ciò che manca è di fatto solamente il “nome burocratico”, ma per il resto sia modi fronte a un corpo virtuale e a un comportamento di questo corpo che in nessun modo nasconde le caratteristiche comportamentali del corpo reale. L’anonimato nel cyberspace evade semplicemente la parte “burocratica” del linguaggio, mentre mantiene inalterate le qualità e le modalità comunicative che in certi casi sono addirittura potenziate. La possibilità di assumere forme diverse aumenta le potenzialità espressive di ogni individuo. 3
Tra l’altro in questo articolo Tommaso Tozzi fa una breve introduzione all’uso di tag ed emoticon, magari ci torneremo in un altro articolo.
Qui compare un altro aspetto dell’uso dei nickname, cioè la scelta della propria identità digitale. Perché di questo si tratta badate bene; l’anonimato reale non esiste nel web, a meno di usare strumenti semplici ma di uso ancora troppo elitario come Tor per esempio, e anche in questo caso la sicurezza assoluta non ve la darà nessuno.
Il “nome” ha un ruolo burocratico nella società. È utile per certe necessità, ma diventa un limite ad altre. L’identità fornita dal nome è la password di accesso agli archivi che contengono la parte burocratica della nostra storia sociale. Evidentemente la nostra vita non si esaurisce nelle pratiche burocratiche, ma mette in gioco un insieme di relazioni per le quali il dover fare riferimento sempre a un unico nome è di fatto un limite. L’impossibilità di assumere identità multiple impedisce l’uso della metafora per descrivere noi stessi. Inoltre il dover fare riferimento al nome sempre attraverso una parola rende dominante il linguaggio verbale nella comunicazione. 4
A queste obiezioni Marattin e soci han risposto dicendo che loro non sono contro i nickname ma semplicemente vorrebbero che ogni persona di certificasse con documenti la sua identità, in pratica abbinare un nickname al proprio nome burocratico. Anche questo dimostra totale incompetenza in materia, se non pulsioni di controllo sociale assoluto, infatti come fare a obbligare una multinazionale straniera a richiedere documenti (e badate bene che FB in alcuni casi già lo fa, purtroppo)? Come fai a sapere l’uso corretto di tali dati? Come fai a sapere che poi la persona non usi documenti altrui (basti pensare alle moltissime “frodi” con le sim telefoniche)? Insomma, una proposta così strampalata che non varrebbe la pena nemmeno prenderla in considerazione. Ma lui e altri che gli han dato seguito, per esempio Monica Cirinnà, siedono in parlamento, e non sono nemmeno semplici comparse politiche.
E da Cirinnà per esempio ci si aspetterebbe una sensibilità maggiore su questi temi visto il suo impegno per le unioni civili. Infatti il pericolo della riconoscibilità non è solo, come detto da alcuni, del controllo sociale dei regimi autoritari (chi ci dice infatti che qui da noi non ci sarà mai?) in quanto potrebbe essere possibile sapere chi, quando e dove critica il governo, ma anche delle possibili discriminazioni sociali, si pensi alle discriminazioni ancora molto diffuse nei luoghi di lavoro per persone della comunità lgbt, per non parlare poi di come le assicurazioni potrebbero alzare i prezzi, e tanti altri aspetti legati alla manifestazione di pensiero e della divisione lavoro/tempo libero, per esempio banalmente un insegnante che non vuole essere riconosciuto dai suoi alunni. Insomma una materia molto delicata, da decenni dibattuta, a cui tutti gli esperti son giunti alla conclusione che l’anonimato vada tutelato il più possibile.
Paradossalmente bisognerebbe proporre maggiore anonimato e minore riconoscibilità nel web. E alcune leggi, tipo la GDPR, vanno in questo senso. L’industria della pubblicità infatti analizza la nostra cronologia e ci bombarda di pubblicità moleste, e così han deciso di “limitarla”. Ma del resto il sito di Italia Viva sembra fregarsene persino delle leggi che ha contribuito a fare, non meraviglia la loro totale ignoranza su questi argomenti. Verrebbe da dire da che pulpito. Ma ahimè non sono i soli. Infatti su questo argomento Marattin non è stato nemmeno originale, ci sono depositate in Parlamento alcune proposte simili, del senatore M5S Lorenzo Battista, del senatore di Forza Italia Nazario Pagano e dell’ex parlamentare Nunzia De Girolamo. Se pensiamo poi a tutte le leggi fatte per “gestire” il web viene da mettersi le mani nei capelli, han sempre dimostrato ignoranza totale della materia, con proposte spesso contraddittorie tra di esse.
Inutile forse dilungarsi ancora, ci son stati molti contributi su questi argomenti che solo chi propone tali leggi non ha letto. Quindi direi di rifarsi ad alcuni di essi. Magari torneremo in futuro sull’argomento.
Conraid
Note:
1. Il filosofo mascherato (1980) intervista a Michel Foucault di C. Delacampagne, in “Le Monde”,n. 10945, 6 aprile 1980: “Le Monde-Dimanche”, pp.I e XVII.
in Archivio Foucault 3. Interventi, colloqui, interviste. 1978-1985, Feltrinelli, 1998
Originale in francese
2. vedi 1
3. “Identità e anonimazione. Dagli scrittori di graffiti alle tags digitali”, Pubblicato in “Decoder #9”, Shake Underground editions, Milano, 1994, Italia.
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4. vedi 3
Fonti
Vi lascio un po’ di link da cui potete partire per approfondire la questione, oltre a quelli nelle note. Ma credetemi, sono solo una piccola parte del dibattito decennale su questi argomenti.
- Odio e disinformazione: il problema non è l’anonimato e schedare 30 milioni di italiani non è la soluzione
- Disinformazione, propaganda, bugie, minacce, insulti, provocazioni, odio hanno diritto di cittadinanza in Rete?
- Profili sui social network e carta d’identità: perché non è possibile
- Di anonimato in rete, libertà e diritti
- Civilityandtrustinsocialmedia [PDF]