La Cina nuova: il futuro si scrive davvero qui?
Il futuro delle nostre società sembra passare proprio dalla terra del Dragone. Il 23 settembre 2021 è uscito, per Laterza Edizioni, La Cina Nuova di Simone Pieranni, a poca distanza dal suo Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina.
Anche in questo lavoro Simone dimostra competenza, equilibrio e serietà, quello che manca all’informazione giornalistica di questi anni.
Dopo le recenti notizie che rimbalzano nelle nostre testate sulla Cina e sulla sua società della sorveglianza, sulle tassazioni e i controlli su Alibaba e Tencent, sui limiti al tempo dedicato ai videogiochi imposti ai minorenni, sul blocco delle attività legate alle criptovalute, Bitcoin in testa, e sulla crisi del colosso immobiliare Evergrande, questo agile libro di Pieranni fa chiarezza su alcuni piani della Cina, sul suo mondo economico, sociale e culturale e sul ruolo e sulle posizioni del governo Centrale, quel che rimane di un partito comunista che ha diretto, influenzato e condizionato destini e futuro di intere popolazioni.
In particolare ci hanno colpito alcuni piani di questo libro.
Futuro e memoria
Non sappiamo se davvero il nostro futuro si scriva in Cina ma sappiamo che il rapporto tra la memoria, il passato, il presente e il futuro in Cina fa parte di un insieme sociale, culturale e umano che parte da molto lontano: “Nel corso della storia cinese il futuro, in quanto concetto, è stato analizzato dalle diverse e principali correnti filosofiche, il confucianesimo, il taoismo e il buddismo. Secondo il professore della Southern University of Science and Technology di Shenzhen Wu Yan, in Cina ha sempre prevalso una visione del mutamento «concepita in termini di fluttuazione, il che vale a dire che il futuro, lungi dall’essere “stagnante”, ripete sempre il moto già avvenuto come le onde». Si tratta di una caratteristica riscontrata nella Cina antica e che in generale invitava la popolazione a non concepire il futuro in termini catastrofici. Un «invito» che pare essere vivo ancora oggi, come dimostra un sondaggio pubblicato nel 2020 nel quale i cinesi emergono come i più ottimisti riguardo il futuro…”
Qualcosa che, negli ultimi decenni, sembra non ritrovarsi più in Occidente dove il capitalismo ha cambiato il nostro modo di vivere, sentire e vedere il futuro, dove, come diceva Mark Fisher, non siamo più in grado di sognare il nostro futuro.
“Se in Occidente la percezione è quella di non riuscire a muoversi, in Cina si ha la sensazione opposta: non ci si riesce quasi mai a fermare”, dove lo spazio e il tempo sembrano avere una differente collocazione nel piano sociale e antropologico, del resto spazio e tempo sono due direttrici che fin dalla Cina arcaica segnano il destino della popolazione. “È dall’incastro di spazio e tempo che discendono ordine e caos, la vita di governi e sudditi. Il sinologo Marcel Granet ricorda che i cinesi vedono «nel tempo un insieme di ere, di stagioni e di epoche, nello spazio un complesso di ambiti, di climi e di orienti”.
Socialismo e mercato
Che cosa è diventato il Partito Comunista Cinese? Che rapporto ha con il mercato globale e con i suoi cittadini? A qualcuno importa ancora qualcosa della rivoluzione di Mao? A queste domande Pieranni non risponde direttamente, ma ci mostra chiaramente, con articoli, prese di posizioni Ufficiali del Governo ed esempi concreti, come il PCC tenga sotto controllo, cittadini, proteste, mercato e posizioni dominanti di imprese private. Negli ultimi anni alcuni movimenti giovanili hanno richiesto maggiore uguaglianza e hanno ricordato momenti e posizioni più vicini al Maoismo: molti giovani “rifiutano il consenso neoliberista secondo cui non ci sono alternative alle strategie di sviluppo occidentali, preferendo esplorazioni teoriche anche all’interno delle proprie origini storiche. Alcuni avvenimenti, inoltre, come le morti sul lavoro e «di lavoro» (come ad esempio è capitato a due dipendenti di una piattaforma di e-commerce, morti per overworking nel gennaio 2020) o lo sfruttamento delle persone impiegate all’interno del comparto hi-tech, hanno finito per creare sentimenti anticapitalistici tra i più giovani che sui social trovano ormai molti riferimenti e materiali vietati nelle università.”
Lo scontro diplomatico e commerciale con gli Usa ha infiammato i siti neomaoisti, chiusi dalla fine di Bo Xilai, che sono stati improvvisamente riaccesi. “Serviva linfa al nazionalismo e agli strali contro «le potenze imperialiste». La danza era ricominciata.”
In questo senso nel gennaio 2020 alcuni funzionari del Partito comunista cinese dichiararono che probabilmente era giunto il momento di tassare i big tecnologici cinesi, le cosiddette piattaforme digitali. Infatti il peso economico delle aziende private nel settore tecnologico è enorme: il commercio digitale, oggi, rappresenta oltre un terzo dell’economia cinese. Tassare alcune aziende significa in primo luogo un recupero ingente di denaro. Ma al di là degli aspetti economici vi sono studi ufficiali in cui vengono delineati i modi “ in cui gli algoritmi basati sui dati incidono sui diritti dei consumatori nelle loro interazioni con grandi piattaforme tecnologiche, chiedendo poteri rafforzati per i regolatori. Secondo questo gruppo i consumatori sarebbero «schiacciati dagli algoritmi» e dall’atteggiamento delle piattaforme, equiparato al «bullismo».”
In Cina sembra tornare di moda il vecchio detto «arricchirsi è glorioso», come diceva Deng Xiaoping, ma entro certi limiti. Altrimenti, diventa inesorabilmente «pericoloso».
Metropoli e campagna
Nel libro viene ricordato l’intrinseco legame che unisce l’immensità rurale della Cina con lo sviluppo capitalista messo in evidenza dall’economista Giovanni Arrighi, nel suo libro Adam Smith a Pechino, dove l’operosità dei cinesi, a metà tra contadini e commercianti, ha permesso un passaggio quasi indolore dalla fase maoista a quella attuale, unendo elementi socialisti e capitalisti. Ma sono le città che hanno subito una grande e dolorosa trasformazione strutturale e relazionale, dove puoi percorrere migliaia di chilometri e ti sembra di essere nello stesso posto da cui eri partito e dove i cinesi non sono riusciti a proteggere il grande patrimonio culturale delle città, rovinando interi quartieri e costruendo in maniera selvaggia: città moderne, nuove, nuovissime, «fantasma». Il progresso cinese, talvolta senza che ci si guardi granché all’indietro, non poteva infine che planare sul nuovo concetto di città che si sta affermando nel mondo, ovvero le smart city… “La tecnologia sta riconfigurando la vita urbana. Nelle “città intelligenti” i dati e le informazioni non si limitano a rappresentare i processi urbani: intervengono in essi. I flussi di dati e le architetture delle informazioni strutturano la nostra esperienza, mediando il nostro accesso a istituzioni, risorse e servizi. Gli algoritmi traducono gli input di dati in output “utilizzabili”, anticipando i flussi futuri di persone, materiali e informazioni e intercedendo per garantire o prevenire determinati risultati. Le tecnologie della smart city calcolano, calibrano e mobilitano; identificano e sfruttano fonti di efficienza sempre più piccole.” In queste città ogni forma di spazio pubblico viene controllato e monitorato, lavoro, quartieri, strade, piazze, bar, insomma città iper-tecnologiche e forse ecologiche, dove la vita delle persone sarà controllata 24 ore su 24. Eppure, negli ultimi anni, si possono segnalare movimenti inversi in cui i cittadini cercano di ritornare nelle città di campagna, per gli affitti troppo cari, per la cura dei parenti anziani, per tornare nelle città d’origine lasciando i figli nelle metropoli e magari sfruttando quelle risorse che il governo concede per una forma di rivalutazione rurale. Forse, ci dice l’autore, possiamo vedere in questi movimenti un tentativo della Cina rurale di difendersi dall’abbandono delle campagne, dall’invecchiamento della popolazione e dai redditi che diminuiscono nelle nuove città.
Lavoro e automazione
Chiaramente nel libro non poteva mancare la parte relativa al lavoro e all’automazione: si parte con i lavoratori fluttuanti, i lavoratori che si sono spostati, negli anni 80, nelle grandi città del Sud Est, le formiche, lavoratori urbani e precari scarsamente sindacalizzati e gettati nei ritmi infernali delle metropoli cinesi, sempre pronti a cambiare lavoro quasi ogni anno ormai, i rider di ultima generazione: “Un’indagine ha mostrato che la generazione nata durante gli anni Settanta impiegava mediamente quattro anni prima di cambiare lavoro. I nati negli anni Ottanta tre anni e mezzo: i post ’95 cambiano lavoro, mediamente, ogni sette mesi.”
Turni massacranti, per non arrivare nemmeno a metà mese e sognare quella classe media che ormai è diventata un miraggio per molti di loro. Ma cosa vogliono davvero i giovani cinesi? Secondo uno studio pubblicato nel 2020, dall’Accademia delle scienze sociali, i valori sociali percepiti da questi ragazzi e ragazze «sono tutti legati alla soddisfazione della vita, alla giustizia sociale, alla fiducia sociale, all’identità nazionale, alla disponibilità a partecipare a comportamenti pro-sociali e alla partecipazione politica». I giovani intervistati nati negli anni Novanta generalmente «detengono valori sociali positivi e valorizzano il collettivismo, l’assistenza umana e l’uguaglianza dei diritti. Tuttavia tutti registrano ben poca attinenza tra i propri valori e la dura realtà che si trovano poi a dover vivere… senza contare lo spettro dell’automazione. Infatti quando i robot diventano il centro del processo produttivo per i lavoratori comincia a mettersi davvero male, con una chiara riduzione dell’occupazione. Xi Jinping ha dichiarato che è in corso un processo graduale di automazione, ma ha detto anche che già nel 2025 le auto prodotte dalla Cina saranno a guida autonoma. Non solo auto, ma smart bus, fabbriche gestite in automazione, come nel caso della Xiaomi Smart Factory, dove il processo di produzione è controllato da una Intelligenza artificiale sviluppata dall’azienda. Infine i robot potranno prendere anche il posto dei giudici e dei giornalisti, con un processo di sorveglianza, controllo e di elaborazione di dati e notizie da incubo della fantascienza. Perché “quando le informazioni saranno gestite da robot e algoritmi, così come le case, le città, le auto, i cinesi sapranno ancora moltiplicare nove per sette? E noi?”
Naturalmente i piani e le linee presenti nella Nuova Cina di Pieranni sono molti, come per esempio, il rapporto tra Stato e mercato, la meritocrazia, la campagna anticorruzione, il pubblico e il privato, le leggi per la protezione dei dati, la transizione ecologica cinese e altri ancora.
Per apprezzare maggiormente questo lavoro e per entrare meglio nel mondo della Nuova Cina è necessario cercare di unire e legare i vari piani in un insieme complesso e profondo dove convivono contrasti e contraddizioni, controllo e stabilità, smarrimento e confusione, religioni e modi di vita, Taoismo e Confucianesimo, Marx e Mao, ordine e caos, memoria e futuro.