Non è mai troppo tardi
“Non curare la scuola è come dimenticare di annaffiare l’orto o rifare il letto, è una forma di sciatteria depressiva, un torto che si fa al presente e un sabotaggio in piena regola del futuro”(cit. Michele Serra).
C’era una volta un programma televisivo intitolato “Non è mai troppo tardi”. Era un vero videocorso di scuola elementare di circa mezz’ora tenuto dal maestro Alberto Manzi che utilizzava come unico supporto didattico un grosso pennarello e un grande blocco notes montato su un trespolo. La trasmissione andò in onda dal 1960 al 1968. Non era l’unica, c’era anche la Telescuola andata in onda dal 1958 al 1966, un corso di video istruzione in presenza che serviva a compensare la mancanza di scuole superiori di molti territori e coinvolse, tutti i giorni dalle 8.30 alla 14,45, circa 1200 classi. La caratteristica della telescuola conosciuta anche come PAT( Punto di Ascolto Televisivo), era costituita da un locale arredato ad aula che aveva in dotazione una televisione e un tutor che integrava le trasmissioni televisive alternandole con la didattica di supporto in aula.
Considerato il tempo trascorso e il gap tecnologico rispetto ad oggi, il successo di questi format fu senz’altro molto forte. Vale la pena fare un confronto con l’attuale didattica a distanza e mettere in rilievo differenze e punti di contatto tra ieri e oggi. La comunicazione all’epoca avveniva a senso unico, dal trasmittente al ricevente, senza la possibilità per gli studenti telespettatori di comunicare in tempo reale con il maestro, né tanto meno era possibile inviare o ricevere documenti o prove di lezioni. Oggi le video lezioni sono interattive, la tecnologia a disposizione permette di stabilire una comunicazione nei due sensi in tempo reale e di scambiare qualsiasi tipo di materiale didattico, registrare lezioni, creare classi virtuali e fare prove scritte ed orali. La distanza tra le due forme di didattica sembra profondissima eppure c’è un aspetto in comune che è quello dell’assenza del contatto fisico tra il corpo di chi insegna e il corpo di chi apprende. Un assenza pesante che non permette di supplire alla mancanza di una relazione fisica di intercambio educativo. A dire il vero, nel format della telescuola (PAT) c’era la presenza di un mediatore-facilitatore, una figura a cavallo tra il docente e il tutor che recuperava in parte l’assenza.
Ci voleva un’epidemia per ritornare a forme di insegnamento a distanza e d’altra parte l’emergenza non ha lasciato molte alternative. La scuola è tra le più illustri vittime dell’epidemia e il suo corpo ha subito gli effetti della quarantena e del distanziamento sociale. Ma quale è il corpo della scuola? Come è formato? Quali sono le sue caratteristiche e difetti? Vediamo di procedere facendo un anamnesi clinica della scuola italiana, in modo da comprendere da quali patologie è affetta così da valutare, alla luce del quadro clinico, se la gestione politica di questi mesi di isolamento sia stata efficiente ed efficace e non burocratica e in grado di limitare i danni al diritto allo studio leso profondamente dalla chiusura delle scuole per il covid-19.
Il corpo della scuola nelle sue parti costitutive è formato 40.749 punti di erogazione del servizio scolastico di cui il 69% è dedicato all’istruzione primaria e all’ infanzia (scuole materne ed elementari). Il dato disaggregato comprende 8.223 sedi di direttivo, 129 Centri provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA), 8.094 Istituzioni Scolastiche che a loro volta si suddividono in 385 Direzioni Didattiche, 4.867 Istituti Comprensivi, 158 istituti principali di 1°grado (Scuole Medie Inferiori) e 2684 del II°ciclo. È bene precisare che buona parte delle infrastrutture scolastiche, 4 edifici su 10, soffre di crisi di astinenza da manutenzione, il 42% degli edifici sono stati costruiti prima del 1971 e il 30% tra il 1971 e il 1983, mentre e il 28% dal 1984 in poi. L’agibilità abitativa riguarda solamente il 26% degli istituti e solo il 35% ha buone condizioni igienico sanitarie (vedi XII rapporto di cittadinanza attiva da cui si sono estrapolati questi dati.
Il corpo della scuola statale è quest’anno popolato da 7.599.259 alunni distribuiti in 369.769 classi. Gli alunni iscritti ai licei è quasi del 50% del totale degli iscritti al superiore, mentre nel complesso gli alunni stranieri presenti in tutte le scuole di ogni ordine e grado è di 789.066. Il corpo docente è formato da 835.489 docenti comprensivi di 150.609 posti di sostegno. Il personale non docente detto ATA (Amministrativi, Tecnici, ausiliari) risulta per l’anno in corso di 203.434 suddivisi in 131.143 collaboratori scolastici, 16.175 assistenti tecnici e 46.822 assistenti amministrativi e 8.071 DSGA (ex segretari di scuola).
Se prendiamo questi dati e facciamo il rapporto Classi-alunni, abbiamo una media di 20,55 alunni per classe. In realtà, il fenomeno del sovraffollamento delle classi, noto come “classi pollaio”, affligge purtroppo una parte delle classi della scuola italiana specialmente le classi iniziali dove si è costretti ad insegnare con 29-30 alunni. Il fenomeno rientra tra gli effetti negativi di contenimento della spesa per l’istruzione, prodotti dalle politiche di austerità degli anni precedenti, che ha tagliato organici e risorse. Ad esempio alle superiori il numero di classi è calcolato dividendo per 27 il numero complessivo degli iscritti e le eventuali eccedenze sono distribuite nelle classi della scuola fino ad un massimo di 30 alunni e si istituisce una sola classe quando le iscrizioni non superano le 30 unità (DPR 81/09). La stessa cosa si ripete alle medie; le classi prime sono formate da non più di 27 alunni e non meno di 18 e le eventuali eccedenze sono ripartite fino ad un massimo di 28 alunni. Si costituisce una unica classe qualora il numero degli iscritti non superi le 30 unità (DPR 81/09). Il 27 è un numerino magico anche per le elementari: “le classi di scuola primaria saranno costituite, in ciascun plesso, da non meno di 15 e non più di 26 bambini, elevabili a 27 in presenza di resti, eccezion fatta per le pluriclassi e le zone di montagna che a causa della scarsità demografica e della particolarità del territorio posso essere formati utilizzando parametri molto più bassi: “nelle zone di montagna e piccole isole il numero minimo scende da 15 a 10 bambini. Le pluriclassi dovranno essere costituite da non meno di 8 e non più di 18 bambini”.
La riduzione della spesa negli anni ha causato anche una forte riduzione del tempo scuola con conseguente ricaduta sugli organici docente e ATA . La riduzione dell’offerta formativa ha fatto si che negli istituti tecnici e professionali si passasse dalle 38-40 ore settimanali alle 32. La riduzione del tempo scuola ha coinvolto anche gli ordini di scuola inferiore con la fortissima riduzione del tempo pieno e prolungato. In questa situazione le direttive del ministero della pubblica istruzione sotto la pressione dell’epidemia sono state molto pasticciate, confuse e incerte. Tant’è che a tutt’oggi non si capisce ancora come sarà organizzata la scuola italiana il prossimo anno. L’attenzione verso la sicurezza degli studenti e del personale scolastico ovviamente deve essere massima e ciò non permette, a fronte della attuale situazione strutturale delle scuole (dimensioni aule, tipologia dei servizi igienici, mancanza di personale ausiliario di sorveglianza degli spazi, ecc…) di poter immaginare un tutti a scuola in convivenza col virus. Ma non è neppure praticabile l’idea di alternare durante la settimana una parte di studenti in classe con un’altra a casa in “DAD”(didattica a distanza). Può darsi che l’unica vera alternativa sia quella di un vigoroso potenziamento dell’organico al fine di valutare i vecchi doppi turni di lezioni pomeridiane.
Tuttavia rimane problematico il rispetto del distanziamento sociale all’interno dello spazio classe che dovrebbe spingere ad una riduzione dei parametri di formazione delle classi portando il massimo a 15 alunni per classe con un conseguente forte incremento del numero di classi da riassegnare ed un potenziamento degli organici di docenti e ATA. Il buon senso dovrebbe almeno spingere in questa direzione se si vuole effettivamente aprire le scuole a settembre in convivenza col virus. Da ciò ne trarrebbe profitto la qualità dell’offerta formativa con importate riduzione della dispersione, dell’insuccesso e dell’abbandono scolastico. D’altra parte se si devono applicare le attuali disposizioni di distanziamento per ambienti chiusi di almeno 1,80 metri e con mascherina tra gli studenti, occorre diminuire gli alunni per classe entro i valori di sicurezza minimi di 12 e massimi di 15; ovviamente sempre tenendo conto della superficie delle aule. Per questo motivo sarebbe necessario emanare d’urgenza un’altro DPR a correzione e integrazione del DPR 81/09, eliminando l’idea nociva e didatticamente insostenibile di divisione del gruppo classe. Sfortunatamente l’attuale volontà politica non sembra sia in grado di intendere a fondo la questione.
Prevalgono le preoccupazioni economiche che muovono a soluzioni tampone e a navigare a vista nell’attesa che la bufera passi nella larvata speranza che le cose si aggiustino da sole. Questa logica è provata dal fatto che non si è messo mano né agli organici né alle classi né si è sfruttato il lungo periodo di fermo scuola per operare aggiustamenti strutturali nelle scuole per adattarle ai nuovi parametri di sicurezza. Anche sul fronte degli esami si è molto rabberciato. L’unica soluzione di buon senso da prendere non si è presa ed era quella di effettuare una normale sezione di scrutinio finale al posto degli esami che svolti in questo modo sono una farsa e un dispendio di tempo e denaro.
Pertanto, sarebbe preferibile abolirli del tutto lasciando ai docenti della classe il giudizio finale. Questo almeno nelle scuole pubbliche. La questione non è peregrina, di fatto alla luce delle anticipazioni sull’esame di stato, questo dovrebbe iniziare il 17 giugno alle ore 8,30 e svolgersi con una prova orale in presenza di una commissione formata da sei docenti interni più un presidente esterno. Le rassicurazioni del ministro della pubblica istruzione, oltre che essere molto ondivaghe, non sempre sono seguite da una chiara documentazione esplicativa e aumentano il clima di sfiducia e di incertezza che si respira nella scuola (ad esempio la nota n°388 del 17.03.2020 del MIUR esplicativa della didattica a distanza è stata pubblicata ben 11 giorni dopo dalla chiusura delle scuole). Il nuovo modello organizzativo dell’E-learnig o didattica a distanza (DPCM del 4.03.2020) riduce significativamente il numero di ore di lezione agli studenti e aumenta il carico di lavoro dei docenti, non tutti, impegnati in queste attività (tempo necessario alla riorganizzazione didattica da zero collegata al nuovo modello organizzativo, utilizzo dei software e delle piattaforme dad, autoformazione, tempo preparazione materiali per lezioni asincrone e di preparazione alle video lezioni sincrone ecc…). La situazione di emergenza e la tutela della salute e sicurezza di allievi e docenti rendono impossibile il rispetto dell’orario di lavoro settimanale ( 18 o 24 ore) e vincolano gli studenti a non superare la soglia massima di ore giornaliere di permanenza davanti al PC (di solito tre ore al giorno in orario antimeridiano dalle 9,00 alle 12,00).
Bisogna rilevare che gli insegnamenti a distanza non dovrebbero essere adoperati come modello organizzativo prevalente, ma essere di supporto e integrazione al recupero e potenziamento delle ore di lezione o da utilizzare per brevi periodi di formazione a distanza (Fad). Occorre poi marcare il divario digitale che colpisce circa 1.600.000 alunni che non sono serviti da nessun tipo di didattica a distanza e che pertanto il diritto allo studio per loro è di fatto sospeso mentre, per tutti gli altri studenti, è stato ridotto di oltre il 50% visto che le lezioni coprono al massimo tre ore giornaliere. A questo stato di cose si deve aggiungere anche il divario sociale causato dall’appartenenza a fasce di reddito basse e alla dislocazione territoriale non uniforme della copertura di rete e delle dotazioni informatiche nelle scuole. Sono trascorsi oltre due mesi dal blocco delle lezioni, la totalità delle scuole è aperta soltanto in caso di “esigenze indifferibili che richiedono la presenza fisica sul luogo di lavoro” che come vuole la buona tradizione di burocratese non spiega chiaramente cosa cavolo vuol dire “esigenze indifferibili”(Dl n°18/17/03/2020 art.87, nota n°392 del 18 marzo 2020 del MPI).
Sta di fatto che a differenza di molti altri lavoratori, una buona parte del personale della scuola non impegnato in lavoro agile ha continuato a ricevere stipendio stando a casa senza prestare alcun servizio; soltanto la figure degli assistenti amministrativi in lavoro agile hanno continuato il loro servizio dal loro domicilio. Diversamente, per i collaboratori scolastici, in una prima fase, la nota n°323 del 10/03/2020 del MPI, invitava i Dirigenti Scolastici, in assenza di studenti, a limitare i servizi ausiliari nei contingenti minimi al fine della pulizia, custodia e sorveglianza degli spazi scolastici. Anche per il personale docente parecchie classi di concorso di fatto non sono state interessate da alcuna attività di didattica a distanza né da alcun carico di lavoro riconducibile alla funzione docente. Quindi, tutelare la salute dei lavoratori è doveroso ed è cosa buona e giusta ma tutti devono essere trattati nello stesso modo, se non altro per equità. Perciò sarebbe stato appropriato e segno di buon senso, una volta stemperata la fase di isolamento critico, un recupero del diritto allo studio, prevedendo un posticipo della fine dell’anno scolastico per tutte le scuole di ogni ordine e grado (per le scuole materne il termine è già prefissato da ordinamento al 30 giugno) e contestualmente un parziale utilizzo delle sedi scolastiche vincolato agli alunni residenti della zona con un piano di corsi di potenziamento e di recupero per le materie non svolte (ad esempio le ore laboratorio), anche da effettuarsi nel mese luglio.
Si poteva anche vagliare l’apertura anticipata dell’anno scolastico al primo di settembre, previa opportuna deroga alla normativa sull’autonomia scolastica, con la riduzione della durata del periodo di interruzione delle lezioni per le festività natalizie e pasquali, ponti compresi. Ciò consentirebbe di recuperare una parte del tempo andato perso per il blocco delle lezioni in presenza per l’epidemia. Su quest’ultimo punto è bene precisare che si dovrebbe pure agire per evitare e ridurre ai minimi termini la dannosa consuetudine dell’orario provvisorio, che, di fatto, si mangia i primi mesi di scuola a causa della mancanza di docenti e della pessima organizzazione scolastica. Infine considero necessario biasimare le liturgie governative mediatico-celebrative sul piano di assunzioni previsto per il prossimo anno di 16000 docenti a fronte dei non parlati 26.327 pensionamenti di docenti e 7088 ATA di cui 16.683 di domande per quota 100. Tra l’altro tutti i concorsi per scuola materna, elementare e secondaria sono stati bloccati a causa dell’emergenza covid-19 e non è stato messo ancora a fuoco un’eventuale piano B che eviti ripercussioni negative sull’inizio della scuola e sull’orario definitivo.
“Ricorda che sei polvere: D’accordo. Se però posso scegliere di cosa: non dell’oro,non della conchiglia, ma polvere di gesso di una parola appena cancellata dalla superficie di lavagna. E intorno un’aula di scolari applaude la fine della scuola”(Erri De Luca).
{Dattero}
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