Internazionale

Perché fa tanta paura Assange?

Il 28 novembre del 2010 su wikileaks, sito nato qualche anno prima, vengono pubblicati migliaia di documenti riservati sull’operato del governo e della diplomazia statunitense nel mondo, in quello che venne chiamato cablegate. In questi documenti, ricevuti soprattutto da Chelsea Elizabeth Manning, c’erano descritti atti orribili perpetrati dai militari statunitensi nelle varie guerre, intercettazioni di leader stranieri e tanto altro. La cosa naturalmente fece scalpore, anche perché 4 quotidiani (El País, Le Monde, The Guardian, The New York Times) e un settimanale (Der Spiegel) decisero di pubblicarne una selezione.

In quel momento il sito veniva considerato da molti come l’esempio perfetto di giornalismo investigativo, esempio stesso di democrazia nei nostri giorni. E il suo fondatore, l’attivista ed hacker australiano Julian Assange, ricevette molti premi e fu anche proposto per il premio Nobel.

Ma son passati 10 anni da quel momento e l’opinione pubblica intorno al caso è notevolmente cambiata. Julian Assange è sotto processo a Londra per decidere se sarà estradato negli Stati Uniti, dove è accusato di 18 capi d’imputazione, tra cui cospirazione e violazione della legge sullo spionaggio in base ad una legge del 1917. In caso di estradizione negli Stati Uniti, Assange rischierebbe una condanna fino a 175 anni di carcere.

Sul come si è arrivati al processo, le accuse varie, la “detenzione” presso l’ambasciata dell’Ecuador dove si rifugiò per sfuggire all’arresto e dove fu sorvegliato costantemente (insieme ai giornalisti che andavano a intervistarlo) consiglio soprattutto di leggere gli articoli di Stefania Maurizi, che da anni lavora proprio con WikiLeaks.

Il processo a Londra, da alcuni considerato il processo del secolo sulla libertà di espressione, è un processo particolare. Al già cupo clima creato dagli USA intorno al caso si è aggiunta la pandemia di Covid19 che ha in pratica blindato il processo a porte chiuse, e le notizie si hanno con il contagocce, soprattutto dal giornalista di Shadowproof, Kevin Gosztola, che sta seguendo le udienze. Dal processo sono stati estromessi perfino gli osservatori di Amnesty International.

Il tribunale inglese ha ascoltato tutti i testimoni sul caso e i giudici comunicheranno la loro decisione il 4 gennaio 2021.

Il processo è chiaramente una “rappresaglia” degli USA nei confronti di Assange, un chiaro tentativo di “far capire” a cosa si va incontro se si sfida l’amministrazione USA, anche pubblicando “cose vere”. Infatti nel 2013 l’amministrazione Obama decise di non portare a processo Julian Assange, anche perché se fosse considerato reato aver pubblicato tali documenti, anche molti media statunitensi sarebbero altrettanto colpevoli. Ma nel 2018, l’amministrazione Trump decise ugualmente di incriminare Assange e chiederne l’estradizione. E lo fece non per la pubblicazione del materiale e quindi di spionaggio, ma per un crimine informatico. Un crimine informatico che non è mai avvenuto.

L’accusa chiave è che Assange “ha attivamente incoraggiato Manning a fornire maggiori informazioni e ha accettato di craccare un hash di password memorizzato sui computer del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti collegati alla Secret Internet Protocol Network (SIPRNet), una rete del governo degli Stati Uniti utilizzata per documenti e comunicazioni classificate. Assange è anche accusato di cospirazione per aver commesso un’intrusione nel computer per aver accettato di craccare quell’hash di password”.

Nel processo è infatti emerso che non ci fu nessun furto delle password del Pentagono, ma i documenti furono scaricati da Chelsea Manning, che aveva accesso alla rete, cosa che era già chiara da tempo a chiunque. E anche emerso che, come ha scritto il The Guardian in un articolo del 24 settembre, non fu Wikileaks il primo sito a pubblicarli, ma un altro sito due giorni prima, a cui il governo americano non ha mai chiesto di rimuoverli. Manning tra l’altro non ha mai negato di essersi introdotta nel sistema, di aver scaricato il materiale e di averlo inviato a WikiLeaks. Manning ha passato 7 anni in prigione per il suo ruolo nella trasmissione del materiale a WikiLeaks e si è sempre rifiutata di testimoniare contro Assange, anche con promesse di forte riduzione della pena.

Senza nulla voler togliere all’importanza della libertà personale di Julian Assange (chi scrive è contro ogni forma di detenzione), in questo processo c’è soprattutto in ballo la possibilità di fare inchieste, di pubblicare documenti governativi riservati, in poche parole di far conoscere la verità. Questo ultimo punto è molto importante, pensiamo a un giornalista italiano che entrasse in possesso di documenti sulla strage di Ustica per esempio, con che stato d’animo li pubblicherebbe sapendo che rischia un carcere di massima sicurezza negli USA?

Tornando alla domanda del titolo, perché fa tanta paura Assange? Come scrissero quelli della Shake Edizioni al momento del suo arresto “I dati personali sono controllati da poche corporation e i sistemi politici si reggono sulla manipolazione scientifica di questi dati. Eliminare gli hacker per loro significa far fuori gli unici granelli di sabbia che possono ostacolare il meccanismo di produzione del consenso”, e gli unici che possono accedere a tali dati “senza consenso”.

Conraid

L’immagine in evidenza è una foto fatta da Henry Nicholls della Reuters a Julian Assange a bordo del furgone della polizia dopo il suo arresto a Londra, l’11 aprile 2019.