Quattro chiacchiere con Censor
A Milano quel giorno era freddo. Lì in piazza Diaz, vicino al Duomo, si gelava. Ero nel mio Paese dei Balocchi ideale, fatto apposta per me: il mercatino del libro usato e vintage che veniva allestito ogni seconda domenica del mese. Ma dire mercatino del libro usato è dire poco: era un paradiso del modernariato, un luogo dove si potevano trovare a pochi euro dei veri e propri gioielli, prime edizioni degli anni Sessanta e Settanta, Feltrinelli, Rizzoli, Garzanti, Einaudi (di questo editore le varie collane di filosofia, antropologia, sociologia, quei libri bianchi coi quadratini blu o rossi al centro oppure la collana verde di critica letteraria, dietro cui letteralmente sbavavo). Giravo fra le bancarelle, infreddolito, quando notai un libro che attrasse subito la mia attenzione: era il Rapporto veridico sulle ultime opportunità di salvare il capitalismo in Italia, nella sua edizione più rara, la prima, vale a dire Scotti Camuzzi, dell’estate del 1975. In questa veste, venne stampato solo in poco più di cinquecento copie ed inviato a importanti esponenti della politica e dell’economia dell’epoca. Venne poi ristampato da Mursia, edizione che circola per la maggiore e che, molti anni fa, nelle sale di una biblioteca, anch’io lessi. Sotto lo pseudonimo Censor si celava il mio raffinato amico G.S., che due anni fa mi invitò addirittura alla prima della Scala (si legga al proposito Una serata alla Scala). Neanche lui – mi disse – possedeva più una copia Scotti Camuzzi. Perciò la mia sorpresa fu grande quando lo vidi su una bancarella – vicino a una rara edizione dei Demonî di Dostoevskij – alla modica cifra di dieci euro. Probabilmente il venditore non sapeva cosa aveva in mano e, senza farmi sorprendere dall’emozione di fronte a lui, acquistai il libro.
Mi rifugiai in un bar lì vicino, per sorseggiare un caffè e sfogliare un po’ il libro, quando, al bancone, vidi un uomo alto ed elegante, con un cappotto spigato stile anni Settanta, che teneva in mano un affusolato bicchiere di Campari. Era proprio lui, Censor! La mia emozione aumentò ancora di più quando, dopo avermi riconosciuto e salutato, si sedette al mio tavolino. “Caro Guy” – esordì – “sono felice di vederti qui a Milano”. Gli feci subito vedere il libro che avevo appena acquistato – era il suo, nell’edizione più rara! – e rimase egli stesso sorpreso e, quasi colto da emozione (evento raro in un uomo posato e razionale come lui), mi disse che quasi non credeva ai suoi occhi. Lo prese in mano, lo aprì e lesse l’incipit della prefazione: “L’autore di questo Rapporto ha un grande svantaggio: niente, o quasi niente, gli sembra dover essere trattato in tono leggero. Il XX secolo pensa tutto il contrario ed ha le sue ragioni per farlo”. Con l’eleganza che sempre lo contraddistingue, così chiosò: “Tutto è cambiato oggi rispetto a quegli anni, ma in questa frase si potrebbe scrivere tranquillamente XXI secolo: la stupidità e l’inconsistenza dominano ancora ovunque e i governanti attuali hanno contribuito non poco a rendere questo paese «una nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie ma bordello!». Ieri, a due passi da qui, si è consumato il fasto di questa fetida borghesia, la prima della Scala, ma quest’anno mi sono guardato bene dal recarmici.
Il Rapporto che hai appena acquistato sulle bancarelle mi fa venire in mente quei giorni oscuri di dicembre del 1969. La bomba di Piazza Fontana e le altre bombe del 12 dicembre – come scrivo nel libro – dovevano servire allo Stato per arginare l’insurrezione generale che stava per scoppiare e che né i sindacati né la polizia erano riusciti a fermare. Il decennio dei Sessanta finisce con giorni che definire funerei sarebbe un eufemismo; chi l’avrebbe detto, soltanto cinque anni prima? Il decennio della ‘dolce vita’ e del boom economico, così desideroso di toni leggeri, quello stesso che vediamo però già nella sua lugubre maschera nella Dolce vita di Fellini o in La cuccagna di Salce, col sole che splende sulle vie di Roma, finisce con giorni freddi da tregenda in quel di Milano. Uno dei pochi che ci aveva visto giusto era il Luciano [Bianciardi], che chiamava quella vita non dolce ma «agra». Caro Guy, d’altra parte anche diversi decenni successivi sono finiti nel sangue: i Settanta, affogati nell’uccisione di Moro e nella bomba alla stazione di Bologna; gli Ottanta, iniziati nel sangue e poi affascinati dal disimpegno e da questa Milano da bere – e mostrò il suo bicchiere di Campari – che si concluderanno, all’inizio dei Novanta, con le stragi mafiose; quei non meno pusillanimi Novanta che, in uno scorcio di secolo e millennio successivo, periranno nella mattanza di Genova, degna di una ignobile dittatura delle banane. Adesso capisco poco il mondo, e lo capisco poco perché voglio usare l’intelligenza (quella mia) in questo marasma fatto di social e di IA, dove tutti si atteggiano a medici, biologi, scienziati e climatologi. Però di una cosa sono certo, quel capitalismo che sotto pseudonimo fingevo di voler salvare, appare più violento e subdolo che mai. E penso che possano valere anche oggi altre osservazioni che scrivevo nel Rapporto sul controllo della popolazione da parte dello Stato-capitale: «Così le masse consumano e guardano ciò che vogliono della diversità che è programmata loro, ma non possono volere ciò che non c’è». Con le condizioni della vita quotidiana d’oggi, si è dissolto tutto ciò che poteva nuocere alla tranquillità dell’ordine sociale: corporazioni, quartieri di vecchie città o villaggi, osterie. Oggi la stragrande maggioranza degli individui vive in universi virtuali: quelle faccine sui social mi fanno venire in mente quei milioni di corpi addormentati e intrappolati che il mondo reale, nel film Matrix, spedisce nella realtà virtuale. E quando si esce dal virtuale e si cammina nelle città, troviamo sempre nuove ‘zone rosse’ a oltranza, nuovi imperscrutabili controlli. Forse solo il Settantasette è riuscito, per poco, a volere ciò che non c’è”.
Finimmo di bere, lui il suo Campari e io il mio caffè, e lo accompagnai fino a un parcheggio coperto, poco distante dal Duomo, dove aveva posteggiato il suo “squalone” nero. Salendo mi disse: “Sai una cosa Guy? Il mio culo – ma non riportare questa parola veh, non sarebbe adatta a Censor – se ne sta molto più comodo nel sedile dello squalone che in una poltroncina della Scala”. Ciò detto, partì. La vecchia Citroën nera, elegante come il suo guidatore, se ne andava verso la periferia. Il mio Lucignolo se n’era andato e me ne tornai al mio Paese dei Balocchi. Sistemai bene nella tasca del giaccone la copia del Rapporto e, inoltrandomi nell’incipiente caos natalizio, mi misi a guardare le ultime bancarelle facendomi avvolgere dall’atmosfera un po’ ‘vecchia Milano’ che lì si respirava, fra i librai intabarrati in sciarpe a quadri, con le loro coppole old style, le loro barbe e i loro occhiali, le loro parlate dialettali figlie di un mondo ormai inesorabilmente scomparso.
gvs
(Le citazioni riportate nel testo sono tratte da Censor, Rapporto veridico sulle ultime opportunità di salvare il capitalismo in Italia, Scotti Camuzzi, Milano, 1975).