Uomini di spettacolo
Se vogliamo entrare in quanto sia superato Debord ai nostri tempi prendiamo questa citazione “lo spettacolo è il brutto sogno della società moderna incatenata, che infine non esprime che il suo desiderio di dormire“. Nelle società industriali, quelle di Debord, lo spettacolo, quello dell’immagine resasi indipendente dalla realtà, si dava in due situazioni – il buio del cinema e il riposo della tv in salotto- che potevano assecondare il desiderio di dormire.
Nelle nostre società, marcatamente post-industriali, lo spettacolo è ovunque a qualunque ora, instancabile in modo tale che bisogna sempre stare attenti e svegli per poterne seguire i ritmi. Per cui, come accaduto per le Torri gemelle, lo spettacolo di quanto accaduto nello Studio Ovale a Washington non è un brutto sogno della società moderna ma rappresenta un brusco risveglio del mondo, il risveglio traumatico dallo spettacolo della circolazione del flusso permanente delle merci e delle emozioni.
Sia Zelensky che Trump, tra l’altro, non sono politici alla De Gaulle dei tempi di Debord (il militare che impara a fare il politico e poi prende lezioni di recitazione) ma uomini che non tanto vengono dallo spettacolo ma piuttosto ne hanno scritto un capitolo della storia recente. Trump dagli ’80 ha dietro di sè una lunga storia di accumulazione di spettacoli (moda, eventi mondani, sport, serie tv) mentre Zelensky è il protagonista di una ibridazione tra serie tv e realtà (ha interpretato una persona qualunque che diventa presidente dell’Ucraina nella serie “Servitore del popolo”) nella quale la confusione tra l’una e l’altra è palese.
Anche Ronald Reagan, che era soprattutto un attore cinematografico, si era sottoposto ai riti della diplomazia strettamente politica -si pensi al G7 di Williamsburg in Virginia nel 1983 nel quale si tenevano assieme simbolico coloniale ed estetica del nuovo liberismo- ma oggi le esigenze dello spettacolo, e quindi della circolazione del potere, non hanno pause e si estendono fino a rompere la ritualità politica. È evidente quindi che quanto accaduto nella sala ovale di Washington -con la spettacolare litigata tra Zelensky da una parte e Trump e Vance dall’altra – non rappresenta solo una spaccatura politica, con serie conseguenze per il mondo, ma anche una rottura nella ritualità politica per esigenze di spettacolo, quindi di potere con forti conseguenze sul modo globale di condurre trattative, esercitare diplomazia, comunicare con le popolazioni definitivamente ridotte a audience. Fino a oggi, per capire la portata dell’evento della sala ovale, l’antropologia visuale e l’antropologia politica definivano la ritualità politico diplomatica in questo modo:
–L’antropologia visuale ha sempre offerto una prospettiva sull’evoluzione dei riti diplomatici, concentrandosi su come gli elementi visivi, riprodotti medialmente, contribuiscano alla performance della diplomazia. L’abbigliamento, ad esempio, ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella comunicazione di messaggi simbolici. L’adozione di un abbigliamento sobrio e rigoroso da parte dei diplomatici francesi durante la Rivoluzione Francese rappresentava un modo per esprimere i valori di austerità e di rottura rispetto al passato nobiliare e ha rappresentato, a lungo, la modalità espressiva per la creazione di una relazione favorevole alle trattative e comunque al rispetto, salvaguardia diplomatica, delle persone coinvolte. Qui, il giornalista americano che chiede a Zelensky “perché ti vesti in quel modo” rappresenta il tentativo di rovesciare sul presidente ucraino il peso della rottura di un dispositivo di relazioni diplomatiche ma evidenziava anche una rottura antropologica.
– L’antropologia politica, invece, si concentra sulle dinamiche di potere che sottendono i riti diplomatici resi evidenti dalla disposizione spettacolare di persone, luoghi, oggetti analizzata dalla antropologia visuale. L’ambiente in cui si svolgono le cerimonie diplomatiche costruisce il messaggio del rito politico che è fatto di rapporti di potere. Gli spazi, gli oggetti e le insegne utilizzati veicolano significati simbolici di potere, prestigio e rispetto reciproco. La scelta di determinati luoghi, come palazzi storici o ambasciate, e l’utilizzo di simboli nazionali, come bandiere e stemmi, contribuiscono a creare un’atmosfera di solennità. L’analisi di questi riti, la riduzione del significato dell’immagine a comprensione dei rapporti di forza, permette di comprendere come essi contribuiscano a costruire e a mantenere l’ordine internazionale, a gestire i conflitti e a promuovere la cooperazione tra gli Stati.
Quello che è accaduto, in diretta planetaria, tra Zelensky, Trump e Vance rompe con un dispositivo politico che regolava i rapporti di potere tra stati a lungo analizzato da queste differenti discipline che leggono immagine e potere. Vediamo la vera e propria rottura antropologica, che è tale per la portata planetaria dell’evento, che si è giocata a Washington in un giorno che, visto dall’esterno, poteva sembrare interlocutorio.
Dal punto di vista della antropologia visuale
– Gestualità : I gesti e le espressioni dei due protaganisti sono stati rivelatori. Trump, descritto dai media come furioso, dietro le quinte si riporta abbia sbattuto la porta in faccia a Zelensky, un gesto di chiusura drammatico. L’ambasciatrice ucraina Oksana Markarova, presente all’incontro, ha abbassato la testa e si è messa le mani nei capelli, comunicando sconforto. Questi segnali non verbali hanno rotto il decoro diplomatico, solitamente caratterizzato da compostezza e controllo.
– Allestimento della scena: Lo Studio Ovale, simbolo di potere e autorità, si è trasformato in un palcoscenico di scontro pubblico. Le telecamere hanno catturato ogni momento, trasformando un’interazione privata in uno spettacolo globale. Questa esposizione mediatica ha accentuato la rottura, rendendola visivamente spettacolare e accessibile a un pubblico mondiale e in diretta.
– Abbigliamento e simboli: Zelensky ha indossato la sua tipica divisa militare, un richiamo alla sua leadership in tempo di guerra. Trump ha commentato sarcasticamente, dicendo “Si è vestito elegante”, usando l’abbigliamento come strumento per ridicolizzare e sottolineare una divergenza di aspettative. Questo scambio ha evidenziato come i simboli visivi possano diventare campi di battaglia, rompendo le convenzioni diplomatiche.
Dal punto di vista della antropologia politica
– Informalità e spettacolarizzazione: La diplomazia sta abbandonando parte della sua formalità tradizionale, costruita nella modernità, diventando maggiormente mediatica e performativa. Con i conflitti esposti in tempo reale, i leader devono gestire non solo le negoziazioni, ma anche la loro immagine pubblica, rendendo le interazioni più trasparenti ma anche più teatrali con il rischio di produrre drammi e rotture politicamente devastanti in diretta.
– Adattamento alle nuove tecnologie: La diffusione istantanea delle immagini sui social media ha trasformato l’incontro in un evento globale, grazie ai media tradizionali, ma anche capillare proprio grazie ai social. Se vogliono parzialmente controllare questi processi, i diplomatici devono essere più consapevoli del potere delle rappresentazioni visive, adattando i loro comportamenti a un mondo dominato dalla comunicazione digitale non solo televisiva ma anche social con il rischio di non afferrare mai il bandolo della matassa, riducendo il ruolo della diplomazia.
– Navigazione in diretta delle differenze culturali: La rottura tra Zelensky e Trump ha mostrato come malintesi visivi e simbolici possano aggravare le tensioni in diretta. Si pone il problema del governo una maggiore sensibilità culturale, decodificando gesti e simboli per evitare provocazioni involontarie.
– Ridefinizione dei rituali: Con le relazioni di potere in continua evoluzione, i riti diplomatici evolvono verso forme di rapporti più dirette e meno formali e quindi maggiormente rischiose per l’esito dei rapporti reciproci e delle crisi. Il rito politico, da stabile, diventa un rito della instabilità.
In sintesi, l’incontro tra Trump e Zelensky ha messo in luce una crisi visiva e politica dei riti diplomatici tradizionali, rivelando tensioni profonde e suggerendo uno scenario in cui la diplomazia sarà più informale, mediatica ma anche soggetta ai rischi delle crisi improvvise che comporta la spettacolarizzazione in diretta dei fenomeni. Queste possono sembrare questioni secondarie, banali rispetto alle profonde, fino alle vertigini, rotture politiche che si moltiplicano dopo l’evento Zelensky contro Trump. È esattamente il contrario: la diplomazia politica, in tutte le società, contiene la promessa dell’ordine, senza il quale la vita sociale, almeno dal punto di vista simbolico, non può scorrere. Da Washington arriva quindi la profonda crisi della ritualità diplomatica, il suo stesso vacillare sotto i colpi dello spettacolo che tolgono l’orizzonte della possibilità dell’ordine di fronte a una serie di crisi economiche, politiche, militari che si susseguono velocemente e senza pause. Lo spettacolo vivo, senza mediazioni, mette così in crisi la ritualità diplomatica, la promessa dell’ordine, verso forme che rappresentano una mutazione rispetto al passato, anche recente, i cui esiti sono ostili alla riproduzione delle società. Lo spettacolo di un mondo di questo tipo genera così , altro che il dormiente, un brusco risveglio sotto il segno della paura.
Per Codice Rosso, nlp