La Regione dei Grandi Laghi (di sangue): il saccheggio del Congo
In occasione della tragica uccisione dell’Ambasciatore italiano e di un carabiniere nella Repubblica Democratica del Congo riproponiamo un articolo pubblicato su Senzasoste, che a quasi dieci anni di distanza rimane perfettamente attuale (anche il presidente ruandese è rimasto lo stesso, l’inamovibile Kagame). Purtroppo delle vicende di questa parte del mondo si parla solo quando succede qualcosa che coinvolge l’Occidente, ma la storia della regione dei Grandi Laghi, con le sue guerre e i suoi milioni di morti, si trascina da decenni e sembra non avere soluzione. Una regione per la quale l’immensa ricchezza di materie prime si è trasformata in una terribile maledizione (red.)
La Repubblica Democratica del Congo (RDC) è uno dei più grandi e popolosi Paesi africani. È ricco di acqua, con fiumi in buona parte navigabili e grandi laghi, e possiede immensi giacimenti di oro, diamanti, stagno, rame, cobalto. Nel suo sottosuolo si trova anche l’80% delle riserve mondiali di coltan, con cui si costruiscono le batterie di cellulari e computer. Ma incredibilmente ha il PIL più basso del mondo e la sua popolazione vive in condizioni infernali. La causa è una guerra infinita che ha già causato più di quattro milioni di morti, soprattutto nella provincia mineraria orientale del Kivu, al confine con Rwanda e Uganda. Una guerra combattuta soprattutto con l’arma del terrore contro la popolazione civile: ci sono 1.350.000 profughi e l’ONU ha definito la RDC “il posto peggiore sulla terra per essere donna”, perché ogni giorno ne vengono violentate quasi 1.200. Ma l’opinione pubblica occidentale, le rare volte in cui viene informata di queste atrocità, non fa altro che convincersi dell’arretratezza dei popoli africani, che sarebbero “geneticamente” incapaci di vivere in pace e godersi le ricchezze che la natura gli ha donato. In realtà la guerra infinita nella RDC ha ben altre cause, e rappresenta una cinica strategia accuratamente pianificata per depredare il Paese.
Dall’indipendenza alle guerre del Congo
Fin dall’indipendenza formale, conquistata nel 1960, le potenze occidentali avevano fatto capire che non avrebbero mai rinunciato alle risorse naturali dell’ex colonia belga. Le posizioni antiimperialiste del leader Lumumba preoccupano, e si teme che porti il Paese nell’orbita sovietica. La CIA organizza una secessione del Katanga, la provincia meridionale da cui proveniva l’uranio delle bombe di Hiroshima e Nagasaki. Lumumba viene assassinato nel gennaio del 1961 dai katanghesi e da mercenari belgi ed emerge il generale Mobutu, despota che governerà il Paese fino agli anni ’90 cambiandone il nome in Zaire. Finita la Guerra Fredda e scongiurato il pericolo di infiltrazioni sovietiche le potenze occidentali punteranno a rendere ingovernabile la RDC per continuare ad appropriarsi delle sue ricchezze. Il principale riferimento di questa strategia è Paul Kagame, presidente tutsi del Rwanda, che ha preso il potere dopo il genocidio del 1994 (vedi scheda). Il Rwanda è grande quanto la Sicilia, ma il suo esercito è il più potente della regione proprio grazie agli aiuti occidentali. Nel 1996, con il pretesto di catturare gli hutu autori del genocidio rifugiatisi oltre frontiera, il Rwanda, appoggiato dall’Uganda e dal Burundi, invade il Kivu massacrando la popolazione civile. E al posto di Mobutu impone alla presidenza Laurent Kabila. Due anni dopo scoppia una guerra ancora più sanguinosa, chiamata guerra mondiale africana: sono coinvolti 8 Stati e 25 formazioni armate. Anche stavolta la causa va ricercata nelle ingerenze del Rwanda, che avanza pretese sul Kivu (si parla di “Rwanda storico”, un po’ come Israele con la Palestina) e fomenta una ribellione tutsi nell’est della RDC. A seguito di accordi gli eserciti che avevano invaso la RDC nel 2003 si ritirano, ma l’anno successivo, anno formalmente di pace, vi sono addirittura 2.700.000 morti. Come si spiega tutto ciò?
La strategia del massacro pianificato
Ogni gruppo armato cerca di assicurarsi il controllo di una zona mineraria. Spesso si creano sigle di comodo o agiscono sotto la sigla di gruppi avversari, per screditarli. Avanzano verso i villaggi, uccidono gli abitanti, rapiscono i bambini e violentano le donne in massa per creare terrore e spingere la gente a scappare. Sulle terre abbandonate arrivano gruppi di “rifugiati”, il più delle volte provenienti dal Rwanda, che vi si stabiliscono. I bambini rapiti vengono costretti a combattere o utilizzati come minatori, avendo maggiore facilità di entrare nelle buche scavate nel terreno. Si calcola che ogni chilo di coltan estratto costi la vita di due bambini. Anche reparti dell’esercito congolese sono coinvolti in queste violenze, in quanto gli accordi di pace hanno imposto alla RDC di integrare nell’esercito anche militari delle bande filo-ruandesi che l’avevano combattuto. La guerra del 1998 ha assicurato al Rwanda il controllo del traffico del coltan e molti altri minerali preziosi, che escono dalla RDC solo su camion e aerei diretti in Rwanda, sotto il controllo di trafficanti che poi vendono alle multinazionali occidentali. Dopo il ritiro l’esercito ruandese non è più direttamente coinvolto e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non si è mai veramente impegnato per risolvere la situazione. Le stesse truppe ONU presenti nella RDC hanno svolto un ruolo ambiguo (vedi scheda).
Lo spauracchio della Cina
La Cina si è tenuta fuori dalle vicende della guerra, ma è interessata alle materie prime della RDC. Nell’estate del 2008 aveva concluso alcuni accordi commerciali per l’acquisto di minerali dal governo congolese (non dai trafficanti) in cambio della costruzione di opere pubbliche. Guarda caso nel settembre 2008 è riemersa nell’est della RDC la guerriglia filo-ruandese guidata da Laurent Nkunda.
Smascherare il regime di Kagame
In Spagna alcune ONG hanno ottenuto l’incriminazione di 40 ufficiali ruandesi per l’assassinio di 9 cooperanti spagnoli che avevano assistito a massacri perpetrati dall’esercito di Kagame. Cercano di mettere in discussione il sostegno internazionale al regime in modo che cessi l’aggressione alla RDC. Dove intanto si attendono le elezioni presidenziali, previste per novembre, più con la paura di una nuova guerra che con la speranza di un cambiamento.
SCHEDE
Hutu, Tutsi, Twa
Si tratta di popolazioni che da secoli abitano la regione dei grandi laghi. Si differenziavano per le loro attività: i tutsi allevatori, gli hutu agricoltori, i twa cacciatori. I colonizzatori belgi cercarono di dimostrare con assurde teorie pseudoscientifiche che i tutsi erano più evoluti degli hutu in quanto più vicini alla razza europea. Imposero l’indicazione del gruppo etnico sui documenti e concessero ai tutsi alcuni privilegi in più. Questa politica ha creato odio e risentimenti che nel corso dei decenni sono sfociati in terribili genocidi in tutti i Paesi della regione. In realtà si dubita perfino che siano due “razze” distinte e comunque dopo decenni di matrimoni misti è impossibile perfino stabilire chi sia hutu e chi sia tutsi.
Il Rwanda
È un piccolo Paese collinoso di 26mila kmq, 8 milioni di abitanti in maggioranza hutu (80%). La capitale è Kigali. Colonia tedesca fino alla Prima Guerra Mondiale, passò poi al Belgio. Al momento dell’indipendenza (1962) gli hutu presero il potere scatenando la violenza contro i tutsi. I tutsi tentarono di riprendere il potere con altrettanta violenza. Dal 1990 al 1994 200mila hutu furono uccisi dai tutsi. Nel 1994 l’aereo del presidente hutu Habyarimana fu abbattuto da un missile terra-aria, episodio mai chiarito da cui ebbe origine il genocidio di 800mila tutsi da parte di estremisti hutu (si tratta dell’episodio più conosciuto in Occidente, quello del film Hotel Rwanda). Dopo la guerra civile è diventato presidente Paul Kagame, tutsi. Negli anni 1996-’97 2-300mila hutu rifugiatisi in RDC sono stati uccisi dalle truppe di Kagame. Kagame viene descritto dalla stampa occidentale come l’uomo della pacificazione, e ha sempre vinto le elezioni con una maggioranza talmente “bulgara” da far sospettare brogli clamorosi. Ha creato un’opposizione di comodo ma i veri oppositori vengono imprigionati o spariscono.
Il ruolo ambiguo dei caschi blu
Nel Kivu la popolazione scende spesso in piazza per chiedere l’allontanamento dei caschi blu (MONUC). Una manifestazione apparentemente inspiegabile dato che le truppe ONU (circa 20mila uomini) dovrebbero proteggere gli abitanti dai massacri delle varie fazioni. Ma quando i villaggi vengono attaccati, i caschi blu non ci sono quasi mai. Inoltre non sono imparziali: intervengono solo quando le bande filoruandesi hanno la peggio. Gli episodi più clamorosi sono quelli di ribelli che attaccano l’esercito congolese con uniformi delle truppe ONU (che non avevano denunciato alcun furto). Si parla inoltre di violenze contro la popolazione e traffici di diamanti in cambio di armi. I comandanti della MONUC sono sempre stati nordamericani o britannici, e gli USA sono i maggiori finanziatori della missione.
Nello Gradirà
tratto da Senza Soste n.62 (luglio-agosto 2011)