Editoriali

Natale Cromatico

Boccia, Speranza, Lamorgese, Azolina, De Michelis. No, non è la parziale formazione di una squadra di calcio, ma un pool di cinque ministri messi insieme a un tavolo per discutere molto e decidere poco sulla scuola del 2021. I nodi da sciogliere sono i soliti di sempre ovvero: come compensare la perdita di mesi di scuola, come organizzarsi per fare i tamponi agli studenti che rientrano a scuola, come organizzare trasporti e ingressi scaglionati, se prolungare la fine dell’anno scolastico al 30 giugno come già avviene per le scuole materne da anni, quale percentuale definire per il rientro a scuola in presenza se il 50% o il 75%. In attesa di decisioni che il buon senso dovrebbe far definire in tempi brevissimi rimaniamo in standby, constatando che fino ad ora non si sono ancora le risorse sufficienti a dare risposte concrete ed efficaci a tutte le questioni. In pratica, con buona probabilità, la ripartenza scolastica, se ci sarà, avverrà senza grossi cambiamenti, nonostante i numerosi vincoli burocratici e di sistema che ci sono stati fin qui, sia per aumentare i mezzi pubblici che per ridurre il numero di alunni per classe e assumere nuovi ATA e docenti, e considerato l’aspetto economico piuttosto opaco. Sul fronte della sanità il frammentato fronte regionale fa a pugni con la necessità logico-organizzativa di una sanità a guida Nazionale, onde snellire e uniformare scelte e distribuire risorse più equamente. Nella situazione di particolare emergenza sanitaria, prevalgono purtroppo i vari feudi regionali. Ad aumentare la confusione si è aggiunto il decreto legge del 18 dicembre che ha istituito il Natale cromatico e temporizzato, in barba ai 21 criteri indicati dal CTS (Comitato Tecnico Scientifico), che stabilivano i colori da assegnare alle regioni in considerazione alle diverse condizioni delle varie realtà, sia livello di strutture sanitarie che di organici. La cosa più razionale sarebbe stata quella di un coraggioso lockdown breve (Vedi Germania, Inghilterra, Francia, Austria) correlato da adeguati e rapidi sostegni per le categorie in sofferenza e fiscalmente a posto. Ma si sa che la logica ha difficoltà di azione nei palazzi del potere, troppo sensibili alle pressioni di carattere politico ed economico che provengono da più parti. Inoltre il timore di rivolte popolari ha giocato un ruolo non secondario. La creatività di un Natale arcobaleno, messo in campo per decreto governativo, difficilmente riuscirà a dissipare i dubbi e i timori concernenti il plausibile arrivo di una possibile terza ondata, che potrebbe essere aggravata dal sovrapporsi dell’influenza stagionale. D’altra parte gli assembramenti prenatalizi lasciano aperti molti questioni sulla reale efficacia di tali provvedimenti, ridotti nella loro efficacia dal parallelo invito al consumo locale favorito dal cash banck, con tanto di rimborsi sugli acquisti effettuati. In tempi di Covid dovrebbe prevalere un invito ad una maggiore sobrietà sia dei comportamenti che dei consumi. Anzi, potrebbe essere l’opportunità per “decolonizzare l’immaginario collettivo” volto al consumo sfrenato di merci spesso inutili. Come afferma S.Latouche: “dalla decolonizzazione dell’immaginario economico alla costruzione di una società alternativa” per tentare di sopravvivere allo sviluppo. In questo contesto la politica in generale e i partiti di sinistra in particolare dovrebbero richiamarsi nell’ azione politica alle 8 R: “rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare e riciclare”. Sfortunatamente la politica è da tempo ammaliata dal “libertinaggio liberista” e fa da ancella servile alle ragioni di mercato. Essa tollera fin troppo la manipolazione mediatica delle coscienze strumentale all’affermazione di saperi fondamentali al dominio del modo di produzione capitalista. C.Castoriadis nel Libro una società alla deriva scrive: “L’ecologia è sovversiva poiché mette in discussione l’immaginario capitalista dominante. Ne contesta l’assunto fondamentale secondo cui il nostro orizzonte è il continuo aumento della produzione e dei consumi. L’ecologia mette in luce l’impatto catastrofico della logica capitalista sull’ambiente naturale e sulla vita degli esseri umani”. Occorre marcare “l’assenza di un analisi della megamacchina tecno-economica capitalista e mercantilista, di cui siamo gli ingranaggi forse complici ma sicuramente non molle (S.Latouche)”. E’ quindi necessaria una chiamata al principio di responsabilità collettiva che superi l’appello alla semplice responsabilità individuale del rispetto dei comportamenti di profilassi medica, seppur essenziale in questa fase, ma non sufficiente a far cambiare rotta ad un mondo che sta andando verso il suicidio. Il virus non è altro che il prodotto di una continua offesa e alterazione della natura. Le cose stanno sfuggendo di mano e diventando incontrollabili sia per la scienza che per la tecnica. Citando P.Virilio e il concetto di incidente, come creazione ineliminabile di ogni tecnica e progresso, “la nave, il piroscafo che inventa il suo naufragio insieme al suo varo” (Città panico). Così il virus come prodotto accidentale del dominio della tecnica che modifica la natura che poi si ribella al dominio umano che la sta distruggendo. Occorre quindi andare molto piano nelle speranze e sui toni celebrativi per le misure cromatiche di contenimento del DL e dei vari piani nazionali di vaccinazione. Come se il vaccino, così frettolosamente messo a punto, avesse la forza di essere la carta vincente, il jolly per far ritornare tutto agli antichi fasti precovid. Tutto questo atteggiamento fiducioso potrebbe cozzare ancora una volta contro la reazione della natura e spengere in breve tempo le speranze di aver trovato una soluzione definitiva al contagio. L’improvvisa novità di una variante inglese del covid-19 apre a scenari poco rassicuranti sull’efficacia degli attuali vaccini, seppur tutto rimanga ancora da valutare attentamente. Gli stati europei, a scopo preventivo, hanno comunque chiuso le frontiere da e verso la Gran Bretagna. Il Natale arcobaleno si riempie così di oscuri presagi e nella sua veste consumistica ci mostra il degrado dei sentimenti di pietà e di empatia e di rispetto verso i caduti da covid-19. Manca il silenzio e la sobrietà del lutto condiviso da un paese pesantemente colpito, di una giornata della memoria per i caduti sul campo di battaglia, negli ospedali e in solitari letti domestici abbandonati a se stessi o nello svolgimento delle proprie mansioni. Morti bianche per curare gli altri, spesso senza adeguati strumenti di protezione e con scarsi mezzi. Anziani lasciati soli nel momento estremo della dipartita e poi subito dopo cancellati dalla memoria dal fuoco della cremazione o da veloci sepolture. Questo aspetto di occultamento e di mascheramento della morte offende l’umanità e stride con le piazze affollate di gente in cerca di merce da consumare. Questo è un aspetto dell’ideologia dominante insensibile ad una visione più comune di società e di organizzazione collettiva. La stessa responsabilità individuale è curvata sull’autonomia del singolo per celebrare l’individualismo che è poi la chiave di volta che tiene in piedi tutto il sistema mercato. Il produttore-consumatore è ben costruito, plasmato, disciplinato e responsabilizzato sulle necessità di un capitalismo predatorio che produce sapere e soggettività ai fini di estrazione di valore per la catena di sfruttamento e consuma-produci, consuma e crepa-. Ideologia che si esprime pure nel bollettino giornaliero dei morti per covid-19, subito seguito da chiassose pubblicità imbottite di sorrisi, di famiglie benestanti e felici e nel susseguirsi di stupidi programmi televisivi. Ideologia che scorge nella libertà la possibilità di agire senza alcun ostacolo di sorta che possa ostacolare la ricerca del profitto. La stessa ideologia in cui nuotano le figure di grido dei self made man con le loro startup, mentre la plebe reietta e fallita affoga per le conseguenze nefaste dell’alta marea di un debito pubblico, in ascesa iperbolica al 155%, che mai potrà essere pagato e che divora risorse e servizi. Tutto questo ci dovrebbe spingere ad una riflessione non accademica né tanto meno erudita su quella libertà tanto sbandierata dal senso comune e dai media per le insofferenze e disagi che la sua limitazione impone alla libertà di movimento e di relazione per necessità di profilassi medica e a tutela dell’altro. L’altro è di solito un anziano solo e vecchio quindi non più utile né produttivo. Per Marx la libertà […] vive storicamente come uno strumento di liberazione economica, sociale e politica il cui termine ultimo è quello di liberare l’uomo dalla miseria, dalla guerra, dalla lotta di classe quando finalmente ognuno sarà concretamente libero, materialmente e spiritualmente. La libertà poi, intesa come “tempo libero”, esiste solo laddove finisce il “regno delle necessità”, che impone all’uomo (in qualsiasi forma sociale egli viva, compresa quella futura) di “lottare con la natura per soddisfare i suoi bisogni, per conservare e per riprodurre la sua vita”. Il “regno delle libertà” ha luogo quindi solo oltre questo processo di produzione per le necessità, dove “comincia lo sviluppo delle capacità umane, che è fine a sé stesso”. La libertà, dunque, “può fiorire soltanto sulle basi di quel regno della necessità”, ma solo se organizzato efficientemente dagli uomini stessi, invece che esserne dominati come da una forza cieca. Dunque, “condizione fondamentale di tutto ciò è la riduzione della giornata lavorativa”, possibile tuttavia soltanto abolendo il modo di produzione capitalistico” (cit. Wikipedia)”. Il concetto di libertà legato alle questioni economiche mette a nudo l’aspetto pericoloso di una libertà confinata nella gabbia della pura individualità o della mera disquisizione posata sulle nuvole della metafisica. Circoscrivere la libertà nella cornice economico-sociale intende mettere in luce il contrasto della libertà di tutti contro la libertà di pochi che possono permettersela. La libertà dei deboli contro la libertà dei più forti. La libertà declinata nelle dimensioni dell’economico e del sociale ci permette di affermare che per essere veramente liberi occorrono degli strumenti concreti, materiali e culturali imprescindibili per la sua realizzazione collettiva e non egoistica, in modo da poter affermare la pari dignità, la giustizia e l’uguaglianza tra gli uomini e le donne. Le disuguaglianze non sono la fonte delle libertà ma la radice delle schiavitù. Occorre perciò togliere di mezzo qualsiasi ostacolo economico e sociale, che possa produrre disuguaglianze sulle quali poi si radicano vari tipi di diseguaglianze sociali che impediscono “il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (cost.art.3)”. Diceva Sandro Pertini: “per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà”. Serve rilevare un aspetto che è diventata un’abitudine, un costume, che grida contro la libertà e che si fa vedere in testimonianze e comportamenti di vita che poco o nulla hanno a che fare con essa, anzi, trattasi di vera e propria schiavitù. È la schiavitù del consumo smodato, dello shopping compulsivo, aspetti che nella pandemia vengono sciorinati come fossero il vero volto della libertà. Agghiacciante è il fatto che si scambi la libertà per le catene che la legano al modo di produzione e consumo prescritto dalle classi più forti. Prigionia, ammaestramento, incasellamento e conformismo dei regali natalizi, della standardizzazione dei black Friday, della sincronizzazione mondializzata dello shopping, nella processione globale nei “non luoghi” dei centri commerciali, nelle consuetudini mercificate del tempo libero, nel chiuso degli ambienti artificiali dove si cerca di catturare l’eterna giovinezza, nel turismo industriale fatto merce per il consumo di massa, nelle vacanze invernali ed estive volte al consumo della natura. Tutto questo non è libertà. Siamo di fronte al domino di un “pensiero monocefalo (Virilio)” che produce un’egemonia culturale che imprigiona e controlla menti e corpi. Una monocultura che ha colonizzato e narcotizzato l’umanità sopra un unico modello di pensiero e di vita. Il covid-19, al di là dei suoi terribili aspetti, ha reso più palese l’anomalia. Qualcuno potrebbe osservare che i danni che la crisi sta provocando vadano comunque superati con la ripresa della catena dei consumi e degli acquisti cioè senza mettere in discussione gli equilibri di potere tra le classi e salvaguardando l’attuale modo di produzione e i mercati. Probabilmente occorrerebbe invece un cambio di direzione e porsi dei punti di domanda, iniziare un percorso in grado di guardare al di là del muro del capitalismo per metterlo sotto accusa, non soltanto per la distruzione che ha causato al nostro mondo, per il fatto che esso è geneticamente iniquo e continua fonte di forti discriminazioni economiche e sociali. Certamente è un passaggio difficile che non potrà essere né indolore, né breve ma ora più che mai è diventato ancor più necessario iniziare a cercare seriamente alternative all’attuale sistema prima del naufragio completo di tutto il pianeta. La stessa campagna di vaccinazione è un chiaro esempio di non libertà, in quanto fondata sulla discriminazione tra due popoli, quelli ricchi che potranno beneficiare della salvezza chimica del vaccino e quelli poveri perché troppo poveri per comprarselo. Tale divisione non può essere minimamente accettata da chi ha un briciolo di umanità e aspira alla libertà.

Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza (cit. Da L’Ordine Nuovo, anno I, n. 1, 1° maggio 1919)”

{D@ttero}

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