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Pensieri estivi di un tifoso del Livorno

Mentre tornavo a casa pensando che finalmente avevo un po’ di tempo libero per scrivere qualche stupidaggine sul Livorno, ho sentito alla radio la notizia dell’ennesimo massacro nella Striscia di Gaza. Stavolta, con il pretesto di eliminare il solito comandante di Hamas, l’aviazione sionista ha bombardato il campo profughi di Khan Younis, che doveva essere una “safe zone” per i civili: 71 morti e 289 feriti. Non ci sono più parole per esprimere il dolore per questo popolo martoriato (siamo arrivati ormai quasi a 40mila morti) e il disprezzo per gli assassini e i loro complici.

Non si poteva iniziare questo articolo senza dedicare un pensiero a questa povera gente che sta subendo da mesi un genocidio cinico e crudele, anche se ora è difficile tornare a parlare di calcio…

Comunque, per gli sportivi questo mese di luglio è soprattutto il mese dei campionati europei. Ognuno di noi almeno qualche partita l’ha guardata, e stando a quello che si sente in giro c’è un dubbio che ogni tifoso condivide: “Ma ho perso passione io o è cambiato il calcio? Come mai non riesco più a vedere una partita intera senza addormentarmi o cambiare canale?”. Direi che la risposta è semplice: è cambiato il calcio. 50 anni fa, sempre in Germania, l’Olanda dominava il campionato del mondo (riuscendo incredibilmente a non vincerlo) facendoci assistere all’ultima grande rivoluzione che c’è stata nel modo di giocare. Quest’anno mi sono visto il primo tempo di Olanda-Turchia e penso che uno spettacolo così insulso qualche decennio fa sarebbe stato impossibile perfino immaginarlo. Ventidue fantasmi che camminavano, scambiandosi passaggi orizzontali di 5 metri, non si sa se sperando di arrivare ai rigori o forse di tornare a casa il più presto possibile, spompati da stagioni sempre più lunghe e da decine di partite senza senso. Probabilmente il Livorno di Donadoni con queste squadre di cadaveri avrebbe avuto qualche speranza di passare il primo turno…

Ma poi tutto il contorno: fuorigioco fischiati per mezzo naso, rigori assurdi per falli di mano ininfluenti e involontari, con la presenza opprimente di un VAR che poi si è rivelato anche inutile dato che alla Germania è stato negato un rigore che avrebbe visto anche mio nonno senza occhiali (ma sembra che all’improvviso siano cambiate le regole, per cui evidentemente ora tutti i falli di mano sono rigori tranne quando si para un tiro diretto in porta con il braccio staccato dal corpo).

Le autoreti sono sparite: anche quando il difensore spiazza il proprio portiere su un tiro innocuo è sempre un gol “incredibile” dell’attaccante, che dev’essere pompato dai media come il prossimo fuoriclasse da 100 milioni di euro anche se è un brocco da tre gol a stagione.

Recuperi da 10 minuti, anticamera del tempo effettivo, 34 sostituzioni a partita tipo football americano, maglie ridicole (o la giacca di Spalletti?), tornei nei Paesi dei petrodollari con stadi coperti e aria condizionata e così via.

Ma cos’è successo? Negli ultimi trent’anni i padroni di questo sport hanno deciso di soppiantare il tifoso tradizionale da stadio, quello legato ad una specifica identità territoriale, per privilegiare target più vulnerabili alle strategie di marketing delle grandi aziende che investono nel calcio: cioè lo spettatore da divano e pay-tv e un pubblico adolescenziale globale che segue i singoli campioni più che la squadra della propria città e la cui soglia di attenzione non supera i dieci minuti. Per questo si è imposta la “cultura delle highlights”, con il risultato di creare un ibrido che non piace né ai vecchi tifosi, né ai ragazzi, che preferiscono seguire altri sport… Una bolla destinata a scoppiare, mentre in Italia continuano a spadroneggiare ben noti avventurieri e decine di squadre falliscono1 .

Ma anche se il calcio ormai fa schifo, i tifosi che amano la propria squadra continuano a seguirla come prima e luglio è anche il mese in cui c’è la campagna acquisti, poi il ritiro precampionato fino ad arrivare al mitico “calcio d’agosto” con le prime amichevoli.

Per i tifosi del Livorno questo mese di luglio ha un sapore amaro: il personaggio che si è appropriato della nostra squadra si è ormai guadagnato una tale disistima da parte del pubblico più affezionato che la campagna acquisti passa in secondo piano.

L’impressionante serie di errori che ha portato al disastro dello scorso campionato non induce all’ottimismo, anche perché il padrone del Livorno ha palesato una tale testardaggine che riesce difficile pensare che sappia far tesoro di quella esperienza fallimentare.

In questo quadro essersi accaparrato il miglior allenatore della categoria (a meno che di recente non abbia avuto una “cascata” stile Biden) e aver confermato/acquistato alcuni buoni giocatori non sembra di per sé un fattore decisivo: quando la società non è all’altezza, anche i campioni diventano brocchi. E a Livorno sono anni che chi viene rende molto meno di quanto potrebbe per colpa dell’ambiente tossico creato dai personaggi improbabili che sono arrivati al timone di questa società.

Ma gli errori sportivi di questo presidente non sono neanche il motivo principale che lo rende indigesto: anche Toccafondi ci aveva fatto assistere a due annate horror ma se n’è andato tra applausi e pacche sulle spalle.

Il motivo principale è che questo personaggio, di cui nessuno ha capito cosa faccia realmente per vivere, da quando è arrivato si è impegnato in una battaglia personale contro i tifosi e la città, sparlando di una curva (ma non solo) che remerebbe contro e che non avrebbe a cuore le sorti del Livorno. Fino a superare abbondantemente il ridicolo bannando dai social tifosi che avevano osato muovere semplici critiche.

Poi mettiamoci pure la politica sui prezzi degli abbonamenti (a dimostrazione di quanto voglia riavvicinarsi alla città ecco per la prossima stagione la generosa riduzione di 5 euro rispetto all’anno scorso), o le conferenze stampa sue e dei suoi collaboratori che continuano con gli stessi toni di sempre.

Può darsi che questo presidente sia così presuntuoso da considerarsi anche lui un grande modernizzatore del calcio e sentirsi investito della missione di eliminare la parte del tifo amaranto più legata all’identità della città e creare un pubblico di consumatori decerebrati, ma questa idea, già balzana di suo, fa ancora più ridere quando poi dimostri di non avere un centesimo e prendi gli schiaffi con il Trestina o con l’Orvietana.

Purtroppo la città ha dimostrato di non avere sufficienti anticorpi per tenere lontani personaggi del genere (stendiamo un velo pietoso sul famoso comitato dei saggi), e quello che dispiace di più, ma non sorprende, è che il nostro Elon Musk abbia trovato qualche sostenitore locale, non solo tra coloro che sono abituati per opportunismo o per mentalità a fare da cortigiani a qualsiasi presidente, ma anche tra alcuni che si atteggiavano a bandiere del Livorno.

Ma diciamo la verità: a rendere lui e la sua camarilla un corpo estraneo alla città è soprattutto la sua partecipazione a manifestazioni filo-sioniste con la peggiore destra, quella che da una parte sostiene Israele e dall’altra continua a tenere sul comodino il busto del duce. Partecipare a eventi politici  naturalmente un diritto di tutti, ma quello che è inaccettabile è il tentativo di allontanare dallo stadio chi manifesta solidarietà al popolo palestinese. Oltretutto con accuse di antisemitismo a una città che ha radici multietniche (comprese quelle ebraiche) e antirazziste e dove non è mai esistito un ghetto. Nessuno ha dimenticato la sua incredibile intervista a Repubblica dal titolo “un presidente ebreo a Livorno”, come dire “un nero in Alabama”…

Per tutti questi motivi, personalmente non intendo regalargli nemmeno un centesimo e seguirò la squadra solo in trasferta. Una scelta che naturalmente può essere criticabile, che probabilmente servirà a poco e che non pretendo venga seguita da tutti, tuttavia secondo me a tutto c’è un limite e certi valori sono più importanti del risultato sportivo. Poi certa gente va colpita nel portafoglio, le contestazioni non la toccano.

Certo la soluzione migliore, per non perdere un altro anno, sarebbe una vittoria nel prossimo campionato seguita dalla cessione della società, che con il ritorno tra i professionisti potrebbe essere venduta a qualcosa in più dei miseri 600mila euro a cui è stata acquistata, in modo che l’investimento iniziale venga premiato. Ma siccome il primo a guadagnarci sarebbe il presidente, investa e la smetta di contare sugli incassi di un pubblico che  disprezza. Noi abbiamo già dato…

1. A chi fosse interessato ad approfondire consiglio il bell’articolo di Pippo Russo “Anni Novanta nel pallone: quando si scatenò l’ansia di modernizzazione” https://www.machina-deriveapprodi.com/post/anni-novanta-nel-pallone-quando-si-scaten%C3%B2-l-ansia-di-modernizzazione