Restare umani nella guerra quotidiana
Non è un caso che il sottofondo sonoro proveniente da una radio accesa che spesso ascoltano i personaggi di Foglie al vento (2023), di Aki Kaurismäki, sia una cronaca della guerra in Ucraina, fatta di morte e di distruzione. Crudele sfondo dei risvolti più terribili della contemporaneità, essa appare come un onnipresente specchio nel quale si riflette metaforicamente la quotidianità che i personaggi si trovano ad affrontare. Con questo suo nuovo film, il regista finlandese ci offre un altro meraviglioso affresco – come solo lui sa fa fare – della vita quotidiana ‘al grado zero’, rappresa nella solitudine e nella lotta incessante per la sopravvivenza. La guerra, purtroppo, si insinua anche nella quotidianità, soprattutto se si appartiene ai ceti meno abbienti: Ansa e Holappa, come molti personaggi di Kaurismäki, conducono le loro esistenze rapprese nella marginalità e nella solitudine, in una lotta quotidiana senza sconti. Siamo a Helsinki: lei vive in un piccolo e desolato appartamento, lui in una baracca nel cantiere dove lavora ed entrambi dovranno fare i conti con svariati licenziamenti perpetrati da crudeli datori di lavoro. Si può ricordare che è proprio il licenziamento la molla che fa scattare la decisione nel personaggio di Henri Boulanger (Jean-Pierre Léaud), l’immigrato francese in Inghilterra protagonista di Ho affittato un killer (I Hired a Contract Killer, 1990), di suicidarsi facendosi uccidere da un killer professionista.
La macchina del capitale, basata su un lavoro che procede meccanicamente come un’epidemia zombie, stritola inesorabilmente i più deboli nelle sue ciniche tenaglie. Penso sia significativo il fatto che i personaggi si rechino al cinema e vadano a vedere proprio uno zombie movie, il bel I morti non muoiono (The Dead Don’t Die, 2019) di Jim Jarmusch, in cui i poliziotti di una cittadina rurale americana si trovano ad affrontare un’invasione di zombie. Come diversi studiosi hanno sottolineato, la figura dello zombie può rimandare all’abulia meccanica del capitale: una struttura che procede in modo robotico come un morto vivente, che si nutre di qualunque cosa incontri sul suo cammino unicamente per sostentarsi. Di zombie del capitale, Ansa e Holappa ne incontreranno diversi nel loro cammino: il vigilante che denuncia la ragazza perché sottrae di nascosto pochi rimasugli di cibo scaduto del supermercato in cui lavora (destinati ad essere gettati nella spazzatura), lo stesso proprietario del supermercato, il dirigente del cantiere che licenzia Holappa senza ripensamenti, il dirigente di un altro cantiere che, puntando il dito contro il giovane, si lamenta del suo rendimento ecc. ecc. Queste figure, al pari di zombie, sono gli squallidi automi del lavoro salariato, meschine marionette del capitale. Nel mondo in guerra tratteggiato da Foglie al vento non c’è neppure spazio per i momenti ‘incantati’ e fiabeschi, connotati da piccoli universi di resistenza, presenti ad esempio in Miracolo a Le Havre (Le Havre, 2011). Gli interni, come spesso in Kaurismaki, sono connotati da colori vivaci e iperrealistici e rappresentano altri sfondi della guerra quotidiana, perduti nel duro dolore di ogni giorno. Eppure una resistenza continua a sussistere perché, nonostante tutto, i personaggi riusciranno a lottare senza soccombere, perdendosi e ritrovandosi in giorni uguali fino ad un ricongiungimento che li fa assomigliare agli innamorati degli antichi romanzi greci che, dopo mille peripezie, riescono a coronare il loro amore.
I protagonisti del film, come mille altri personaggi marginali che popolano il cinema del regista finlandese e che vediamo seduti nei bar, perduti per strada, intrappolati in crudeli lavori, nonostante tutto, non si trasformano in zombie ma restano umani. Resistono alle vicissitudini della vita quotidiana come se fossero le peripezie di un romanzo d’avventura. Come loro, restano umani anche tante comparse che li incrociano nel loro cammino: l’amico di Holappa e l’amica di Ansa, il gestore del bar che viene arrestato per droga, l’infermiera dell’ospedale e i buffi personaggi cinefili che, all’uscita del cinema, discettano dello zombie movie di Jarmusch avvicinandolo inopinatamente addirittura al cinema di Godard (viene in mente il personaggio che, in Io e Annie di Woody Allen, mentre è in fila al cinema, discute dei film di Fellini con atteggiamento intellettualoide e altezzoso). Le scene del film ambientate davanti al cinema, dove i personaggi si perdono e si ricercano, sono del resto sature di sane citazioni cinefile: ci sono diverse locandine di film dello stesso Godard – soprattutto Il bandito delle 11 (Pierrot le fou, 1965), che mette in scena un percorso assurdo e avventuroso di perdita/ritrovamento fra due amanti e che sembra ammiccare in modo curioso nel bel mezzo degli scarni dialoghi fra i due – e di Bresson, soprattutto L’Argent (1983). Ma il perdersi e il ritrovarsi dei personaggi ci potrebbe far pensare a un altro film di Bresson, Diario di un ladro (Pickpocket, 1959), ispirato al dostoevskijano Delitto e castigo (oggetto di un rifacimento cinematografico anche da parte dello stesso Kaurismäki): Holappa potrebbe rivolgersi ad Ansa con le stesse parole che Michel, il protagonista del film di Bresson, alla fine dice a Jeanne (“che strana strada ho dovuto percorrere per giungere fino a te”). D’altra parte, all’interno di un bar, compare anche un’altra locandina di un altro celebre film che mette in scena un amore difficile e contrastato: Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti.
Anche le frequenti citazioni cinefile funzionano come tanti piccoli specchi che riflettono la guerra quotidiana dei personaggi: perdersi, ma soprattutto ritrovarsi a tutti i costi per condividere il cammino di ogni giorno, intessuto di resistenza, insieme a un compagno o una compagna di strada. Perché, per citare la chiusa del bellissimo Praga magica di Angelo Maria Ripellino, “non ci resta altro che percorrere insieme il lunghissimo, chapliniano cammino della speranza”.
Guy van Stratten