Memorie

1991-2021: Moby prince strage senza colpevoli

In occasione del trentesimo anniversario della tragedia del Moby Prince pubblichiamo alcuni materiali tratti dal sito dell’Associazione 10 Aprile: una ricostruzione di quanto avvenuto e una lettera inviata dai familiari delle vittime alle massime cariche istituzionali nel novembre scorso, dopo che il Tribunale di Firenze ha rigettato l’istanza di risarcimento nei confronti dello Stato per le inadempienze relative al controllo nel porto di Livorno e alle carenze nei soccorsi. L’ennesimo schiaffo per chi ha perso i propri cari in una vicenda incredibile caratterizzata da omertà e depistaggi che lasciano spazio a molte ipotesi su traffici poco chiari in corso quella notte in rada a Livorno. Di certo erano presenti navi “misteriose” e navi impegnate nelle operazioni militari legate alla Guerra del Golfo. Così alla tragedia del Moby sono state collegate molte morti oscure avvenute negli anni successivi, prima tra tutte quelle di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia. Ufficialmente, a distanza di così tanto tempo non c’è ancora una verità. Per gli approfondimenti invitiamo gli interessati a consultare il sito dell’Associazione 10 aprile (red.).

Lettera aperta alle massime Cariche Istituzionali

 

Ill.mo Presidente della Repubblica

Sergio Mattarella

Ill.mo Presidente del Consiglio dei Ministri

Giuseppe Conte

Ill.mo Presidente del Senato

Maria Elisabetta Alberti Casellati

Ill.mo Presidente della Camera

Roberto Fico

Illustrissimi Presidenti,

dopo quasi 30 anni dalla strage del Moby Prince, avvenuta nella notte del 10 aprile del 1991, con un tragico tributo di 140 morti bruciati sul traghetto in navigazione da Livorno per Olbia, nelle acque antistanti al porto di Livorno, dobbiamo subire l’ennesimo duro colpo.

I familiari delle vittime del Moby Prince ad aprile 2019 hanno citato lo Stato per inadempienze legate al mancato controllo del porto di Livorno e all’assenza di soccorsi alle persone presenti sul Moby Prince, azione quest’ultima che ha contribuito alla morte, dopo atroci sofferenze dei passeggeri e dei membri dell’equipaggio del traghetto.

Ebbene è di questi giorni la sentenza della Sezione Civile del Tribunale di Firenze, a nome del Dott. Massimo Donnarumma, ha rigettato l’istanza per intervenuta prescrizione.

Tra le varie argomentazioni viene riportato che le conclusioni risultanti dal lavoro della Commissione Parlamentare di Inchiesta della precedente legislatura, che hanno ribaltato le verità scaturite dalle indagini e dai processi del passato, non possono essere prese in considerazioni avendo solo e unicamente una valenza politica. La sentenza ha inoltre  ha sminuito il lavoro fatto dalla Commissione, evidenziando  che la stessa  “non ha individuato nuovi e diversi elementi su cui poter fondare nuove ipotesi di responsabilità, ma ha fornito una valutazione diversa degli stessi elementi”; che  “non ha disvelato verità e certezze nuove, avendo solo rivalutato fatti già conosciuti ed accertati in sede penale”; che  “ha solo espresso valutazioni e giudizi e, per vero, in qualche caso, ha solo sollevato dubbi sull’operato dell’autorità giudiziaria”; e infine “la sua Relazione finale è un atto politico, non essendovi nell’ordinamento norma o principio alcuno  per cui, all’esito di una inchiesta siffatta, possa dirsi superato l’accertamento compiuto sui medesimi fatti in sede giurisdizionale e possa ancorarsi alle risultanze della commissione d’inchiesta il decorso del termine di prescrizione”.

Illustrissimi Presidenti, come familiari riteniamo che le affermazioni riportate nella sentenza della Sezione Civile del Tribunale di Firenze siano gravissime e precludano la possibilità di avere giustizia in questa vicenda come in tutte le vicende mai chiarite nella storia della nostra Repubblica.

Inoltre, la sentenza mortifica il lavoro esemplare fatto e concluso da una Commissione Parlamentare del Senato della Repubblica, presieduta dall’ex Senatore Silvio Lai e composta da Senatori, alcuni ancora parlamentari nell’attuale legislatura, Commissione che dovrebbe essere ricordata nel tempo come esempio virtuoso di una Istituzione dello Stato.

Illustrissimi Presidenti, esattamente sette mesi or sono, in occasione dell’anniversario della strage, abbiamo fatto un appello a voi Presidenti e tutti voi avete risposto prontamente, dichiarando la necessita di avere verità e giustizia.

Illustrissimi Presidenti, abbiamo sempre agito nei modi previsti dalla Costituzione subendo ritardi, omissioni di cui anche Voi sembra Vi siate accorti. Non ci sembra che la direzione intrapresa dalla Sezione Civile del Tribunale di Firenze, un Tribunale della Repubblica Italiana, vada nel senso delle Vostre dichiarazioni e esortazioni.

Illustrissimi Presidenti, rendendoci conto della situazione contingente in cui stiamo vivendo, legata al costante aumento dei contagi per SARS-CoV-2 e di concittadini ospedalizzati, ricoverati nelle terapie intensive e morti, in punta di piedi vi chiediamo di intervenire per ricordare che le stragi, come quella del Moby Prince, non vanno relegate in un angolo o dimenticate e che deve essere necessario agire in ogni modo per avere giustizia.

Ovviamente noi familiari non ci arrenderemo e presenteremo ricorso presso la Corte d’Appello del Tribunale di Firenze. Ma non basta! A questo punto abbiamo necessità di sapere cosa sta facendo la procura di Livorno, dove è stato aperto un fascicolo in seguito alla trasmissione delle carte della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Moby Prince.

Non è possibile che in trent’anni, dal 1991 ad oggi, tra processi penali, inchieste bis, causa civile, si sono avvicendati ben 12 magistrati e siamo ancora ad un nulla di fatto.

Non ci fermeremo e non staremo in silenzio, ma continueremo a gridare con forza giustizia per i nostri cari morti bruciati dopo ore di sofferenze

Fiduciosi di un Vostro intervento inviamo i nostri più calorosi saluti.

16 novembre 2020

Luchino Chessa, Presidente Associazione 10 Aprile-Familiari Vittime Moby Prince Onlus

Angelo Chessa, Presidente Onorario Associazione 10 Aprile-Familiari Vittime Moby Prince Onlus

Loris Rispoli, Presidente Associazione 140 Familiari Vittime Moby Prince

 

IL DISASTRO

È il 10 aprile 1991 nella rada del porto di Livorno quando alle 22.25 il traghetto passeggeri “Moby Prince” della compagnia Navarma appena partito con direzione Olbia e la petroliera Agip Abruzzo all’ancora nella rada del porto entrano in collisione.
La prua del traghetto squarcia una delle cisterne del greggio trasportato e si scatena un incendio.
Nonostante la vicinanza al Porto l’incendio fuori controllo provoca ingenti danni sia alla petroliera che al traghetto.
Tutte e 30 le persone di equipaggio a bordo della petroliera non riportano danni fisici.
Tragico è il bilancio sul traghetto Moby Prince: delle 141 persone a bordo, 65 membri dell’equipaggio e 76 passeggeri vi è un solo superstite.
Nel più grave incidente della marineria italiana muoiono 140 persone.
Porto di Livorno, mercoledì 10 aprile 1991. Sono da poco passate le 21 quando la telecamera di Angelo Canu, agente di polizia penitenziaria di 28 anni, sta riprendendo la moglie e le loro due bambine all’interno del bar di prua della nave traghetto “Moby Prince”, l’ammiraglia della flotta “NAVARMA Lines” che meno di un’ora dopo dovrebbe lasciare la banchina Calata Carrara numero 55 e portarli ad Olbia in Sardegna.
Sara, 5 anni, si muove agilmente tra i tavoli del salone bar e si avvicina al papà incuriosita da quel nuovo “giocattolo” appena acquistato dalla famiglia. Ilenia invece, la sorellina più piccola di appena 15 mesi, se ne sta tranquilla  in braccio alla mamma Alessandra Giglio. Sono partiti poco prima da Pisa, dove Angelo lavora,  per andare a trovare i nonni, a Burgos, provincia di Sassari. Per Ilenia sarà la prima volta ed anche la piccola Sara non vede l’ora di iniziare questa avventura. Seduti ai tavoli vicini al loro, ci sono altri passeggeri. C’è chi è intento a fumare, chi a sorseggiare una bibita, chi ad osservare le immagini trasmesse dal monitor della televisione. Ma nel complesso il bar non è per nulla affollato. La “Moby Prince” è una bella nave, in grado di accogliere 1590 persone e di trasportare comodamente nel suo vano garage che la percorre da poppa a prua 360 autoveicoli. Nel labirinto di cabine al suo interno, trovano posto una discoteca, due boutique per lo shopping, un ristorante, un self-service, sala videogames e due sale con poltrone reclinabili per chi preferisce una sistemazione più economica rispetto alle cabine. Ma in quella che sarà la sua traversata numero 19 nella stagione, lascerà Livorno per un viaggio di una decina di ore con non più di una settantina di passeggeri ed una trentina di mezzi. I marinai sul ponte auto, non hanno molto da affannarsi. Il carico è davvero scarso rispetto ai ritmi a cui devono sottostare nei periodi di punta. Giusto un solo camion, messo nella corsia centrale a prua che trasporta un piccolo yacht cabinato di 8 metri in vetroresina. Lo stanno traghettando in Sardegna l’autista Alberto Bisbocci ed il suo titolare Erminio Gnerre che, parcheggiato il mezzo, si dirigono al self-service per consumare la cena. Passeggiando per i saloni notano una piccola coda di persone in fila davanti all’ufficio del commissario di bordo, Umberto Bartolozzi, in attesa di ricevere le chiavi delle proprie cabine o informazioni riguardo la traversata. Tra questi passeggeri ci sono una giovane coppia in viaggio di nozze, Bruno Fratini di 34 anni e Giuseppina Granatelli di 27, a cui è stata assegnata la cabina numero 148 e l’altra giovanissima coppia di sposi, Diego Cesari ed Anna Difendenti di Lodi che hanno scelto le bellissime spiagge di Palau come meta per la loro luna di miele. A chiudere la coda, tre giovani amici valtellinesi Carlo Ferrini, Sergio Belintende e Giorgio Gianoli. I tre giovani amici vanno in Sardegna a godersi le immersioni nelle cristalline acque dell’isola con le loro attrezzature da sub che hanno lasciato sul loro fuoristrada bianco parcheggiato lungo la paratia di dritta del garage laterale. Tiziana Ciriotti, 22 enne hostess di bordo, consegna loro la chiave della cabina 112.  A bordo si respira un’aria rilassata, quell’aria di festa che accompagna ogni partenza di un traghetto verso le vacanze. Che accompagna anche chi, come Giovanni Filippeddu e la moglie Maria, sta rientrando a casa ad Arzachena dopo una visita al figlio che frequenta l’università in Toscana. O ancora il carabiniere Gianfranco Campus,  ed il collega Raimondo Vidili che rientrano rispettivamente a Bonarcado e a Birori per una breve licenza. Proprio a Birori, centro di poco più di mille abitanti in provincia di Oristano,  un lieto evento sta portando altri nove passeggeri. Sabato infatti,  il rappresentante di commercio Pino Cossu, 32 anni, sposerà  Claudia Saccaro una giovane trevigiana. I due,  già sposati civilmente,  hanno deciso di suggellare la loro unione con il rito religioso e  alla cerimonia hanno invitato i parenti della sposa che vivono in continente: Ernesto Saccaro la moglie e il figlio Ivan che sono i genitori ed il fratello della sposa, due cognati, la madrina, una sorella, la zia e perfino la nonna Maria Marcon di 85 anni. A trasportare quella fetta di civiltà che si sposterà sulle onde del mar Tirreno,  In plancia di comando,  c’é il Comandante Ugo Chessa, 54 anni sardo anche se nativo di La Spezia,  pronto ad impartire gli ordini. Chessa è un vero lupo di mare,  famiglia di marinai, con alle spalle ogni tipo di esperienza in mare. Dalle navigazioni oceaniche di lungo corso, a quelli con mari agitati e nebbie fittissime del Nord Europa. Senza dimenticare quella come comandante del megapanfilo “Nabila” del miliardario Kasshogi. Ma è ormai da qualche anno che, per stare più vicino alla moglie Maria Giulia ed ai due figli Angelo, medico chirurgo, e Luchino gastroenterologo, ha preferito scegliere le più comode rotte mediterranee e di breve durata. È entrato così alla “Navarma Lines”, dell’armatore Achille Onorato e del figlio Vincenzo. Da 5 anni percorre la tratta Livorno-Olbia, per la flotta della Balena Blu di cui è  stato anche comandante d’armamento.
Quella sera è  accompagnato nella traversata dalla moglie, Maria Giulia Ghezzani, 57 anni nativa di Vicopisano.
Quando ormai mancano pochi minuti alla partenza, nel salone principale della nave, il Salone “De Lux”, la videocamera di Angelo Canu riprende proprio di fronte al bancone della Reception, una scena dolcissima che rapisce l’attenzione di tutti: Sara coi capelli castani legati in una coda di cavallo lunga fino alle spalle, un grosso colletto bianco sulla maglia rossa scuro ed il visino furbo, gioca con Ilenia, appena un cucciolo di poco più di un anno che  cammina in modo goffo e incerto e con un ingombrante fiocco rosa che le sosta buffamente sulla testa stimolando le risate della madre ed il divertimento della sorella maggiore che si fa seguire ed imitare, agitando le braccia e muovendo il bacino al ritmo di “Quando, quando, quando”, già attempata canzone trasmessa in quel momento dagli altoparlanti di bordo. Il padre la sta filmando con la sua telecamera dicendole di continuare a ballare, e lei, tutta contenta e per nulla affaticata, così fa.
Esattamente due ponti più in alto, nella plancia di comando, è appena entrato il Comandante Federico Sgherri. È salito sul traghetto pochi minuti prima via terra, dal portellone di poppa. Sgherri è uno dei piloti del porto di Livorno in servizio quella notte e a lui spetterà il compito di coadiuvare il Comandante Chessa nelle manovre di partenza che permetteranno al traghetto di staccarsi dalla Calata Carrara e di evoluire in uscita dal Bacino Firenze. La “Moby Prince”  potrà così iniziare il suo solito viaggio notturno verso il porto dell’Isola Bianca. Insieme ai due Comandanti, sul Ponte, il personale che sarà impegnato nella manovra è già presente al proprio posto. Il timoniere Aniello Padula porge una tazza di caffè appena fatto ai  Comandanti mentre sull’aletta di sinistra aspettano l’autorizzazione dell’ufficiale che si trova a poppa, l’ufficiale radio Giovanni Battista Campus comunica, microfono alla mano, con l’Avvisatore Marittimo in servizio quella notte che è Romeo Ricci. A poppa, il 1 ufficiale Giuseppe Sciacca,  accertatosi che tutti i passeggeri in zona sono saliti a bordo, può far chiudere il portellone.
L’ordine che tutto è pronto per la partenza arriva poco dopo. Alle 22.03 Chessa e Sgherri lo ricevono via radio, chiedono i comandi alla sala macchine, e dopo averli ottenuti iniziano a manovrare.
L’attenzione dei due è come ogni sera, massima, ancor più  perché sanno che usciti dal Bacino Firenze,  incroceranno il Comandante Giuseppe Muzio, l’altro pilota in servizio quella notte, che sta eseguendo la manovra in ingresso del piccolo mercantile “Atlantic Horizon”.
Nonostante ciò tutto si svolge regolarmente, il “Moby Prince” si presenta alla Vegliaia (la diga a protezione dell’imboccatura sud del porto di Livorno) alle 22.12.  “Arrivederci a domani Comandante” – con l’abituale stretta di mano, Federico Sgherri saluta il Comandante Chessa ed il personale di plancia della nave. Lo accompagna il giovanotto di coperta Giovanni d’Antonio. I due lasciano il ponte di comando e si dirigono al garage attraversando i saloni della nave. A bordo Sgherri lascia le consuete attività tra le quali alcuni giovani che stanno  sistemando i sacchi a pelo per la notte ed alcune persone che chiedono al commissario di bordo una cabina. Poi raggiunto il garage e salutato D’Antonio, Sgherri salta sulla pilotina e si dirige insieme al marinaio  Renzo Cavallini, nuovamente verso Livorno con la radio accesa sul canale 16 VHF (il canale internazionale di chiamata e di soccorso in mare). Ha così modo di sentire un ufficiale del “Moby Prince” chiamare Compamare Livorno (la Capitaneria di Porto) per comunicare i dati di partenza – Compamare Livorno Compamare Livorno Moby Prince – alle 22.14.33.
Proprio lì a pochi metri di distanza, l’Avvisatore Marittimo Romeo Ricci, dopo averne segnato sul registro l’orario di uscita alle 22.14 ascolta anche lui la stessa comunicazioni tra la “Moby Prince” e  la sala operativa della Capitaneria di Porto. La nave passeggeri non ottiene subito risposta ed è costretta a richiamare una seconda volta fin quando l’operatore non risponde – Chi chiama Compamare Livorno? – Buonasera Moby Prince, Moby Prince – Avanti Moby Prince, canale 13 – Tredici – l’ultima parola pronunciata sul 16 dall’ufficiale di guardia del traghetto prima di spostarsi sul canale di lavoro per fornire alla Capitaneria i dati di partenza.
Il “Moby Prince” lascia Livorno con a bordo 66 marittimi, 75 passeggeri e 31 tra vetture al seguito e mezzi commerciali, almeno per quanto ufficialmente riferito dall’Autorità Marittima.
Mentre il traghetto sta uscendo dal porto, sul piazzale prospiciente il mare vicino al porticciolo di San Leopoldo, due ufficiali dell’ Accademia Navale, Paolo Thermes e Roger Olivieri, prima di rientrare nei loro rispettivi alloggi, vengono attratti da uno strano fenomeno. Quella notte ferme all’ancora nella rada del porto, ci sono diverse navi. Almeno cinque di queste sono navi militarizzate NATO cariche di armamenti e munizioni, appena rientrate dal Golfo Persico. Poi è presente un mercantile che trasporta granaglie, diversi pescherecci intenti a battute di pesca, una gasiera norvegese ed infine due  grosse petroliere italiane della Snam.
Ancorate  lungo il porto da Nord verso Sud, è la nave più a sud di tutte che colpisce l’attenzione dei due guardiamarina dell’Accademia Navali. Sono circa le 22.15 e questa grossa nave comincia ad essere interessata da un qualcosa di anomalo anche per chi, come loro, essendo ufficiali istruttori dell’Accademia, ha confidenza con le cose di mare.
La grande nave infatti, inizia apparentemente ad essere avvolta da una sorta di nuvola biancastra. I due notano subito questo fenomeno perché quella è l’unica imbarcazione ad essere coinvolta al punto tale da rimanere oscurata come da un black-out. Thermes e Olivieri nel mentre vedono uscire dal porto anche la nave traghetto “Moby Prince” che ha già doppiato la Vegliaia, pronta ad impostare la rotta per l’uscita dalla rada. Il traghetto è completamente illuminato a giorno, e grazie al tipo dell’illuminazione i due riconoscono la nave passeggeri in servizio di linea.
Dal lungomare della Rotonda anche il signor Luciano Massetti vede il traghetto in uscita dal porto regolarmente illuminato.
In quegli stessi minuti, il mozzo della “Moby Prince”, Alessio Bertrand, fa il suo ingresso in plancia comando portando con sé il vassoio con i panini per il personale in servizio di guardia. Lì, secondo le sue testimonianze, trova oltre al Comandante, il primo ufficiale Giuseppe Sciacca ed il marinaio di guardia Aniello Padula.
Consegnati la colazione, Alessio ha finito con quell’operazione il suo servizio giornaliero, e può così  tornare in saletta equipaggio per assistere alla tv, ai minuti finali della partita della Juventus.
Thermes e Olivieri intanto,  si spostano dal lungomare fino a raggiungere le loro rispettive stanze,  un tratto di strada di poco più di un minuto;  poi quando si riaffacciano per scrutare l’evoluzione della situazione da loro prima osservata in mare, rimangono stupiti da ciò che l’orizzonte presenta loro.  La grossa nave che era ormeggiata più a Sud di tutte e che era protagonista solo pochi minuti prima del fenomeno (che poi si scoprirà essere la Moto Cisterna “Agip Abruzzo”), è completamente sparita alla vista, e adesso i due, non riescono neanche più a scorgere la nave passeggeri che poco prima era uscita dal porto. Ma le stranezze non sono finite, perché laddove fino ad alcuni minuti prima erano visibili  le luci della  nave cisterna, ora è tutto completamente buio e fanno capolino  dei bagliori giallo-rosso-arancio.
Alle 22.20, sulla traccia audio del canale 16, viene registrata la frase: “The passenger ship, the pass…”, un riferimento ad una nave passeggeri, poi dalle 22.22.20 una stessa frase fino alle 22.23.14:  “Livorno Radio Livorno Radio da Moby Prince Moby Prince” ma stavolta con una  qualità dell’audio piuttosto bassa.
A fare queste ultime chiamate è l’ufficiale marconista della nave, Giovanni Battista Campus; il traghetto sta facendo una richiesta di traffico commerciale, in pratica chiede alla stazione radiocostiera di Livorno Radio PT la linea per effettuare una telefonata ad un fornitore.
Da Livorno Radio risponde l’operatore di turno Giancarlo Savelli:  “Oh Moby Prince da Livorno proviamo canale 61 ma si sente debolissimo eh!” -“Sei uno vado” – la risposta di Campus.  Poi, a detta di Savelli, si passa sul canale di lavoro e l’audio del Moby arriva meglio. Il dialogo tra i due prosegue,  Campus fornisce il numero a Savelli che lo chiama ma nessuno risponde e cosi i due si accordano per riprovare caso mai più tardi.
Secondo  le dichiarazioni di Savelli il dialogo sul canale di lavoro dura circa un minuto o  un minuto e mezzo.
Alle 22.25.03 mentre quindi Campus si congeda da Livorno Radio, sul canale 16 si sente la frase : “Chi è quella nave?” poi dopo, nulla.
A due miglia e mezzo dal porto di Livorno sta avvenendo la più grave tragedia della marineria italiana in tempo di pace. La “Moby Prince” sta entrando in collisione con la superpetroliera italiana “Agip Abruzzo”, un gigante di 280 metri carico di 82.000 tonnellate di greggio crudo tipo Iranian-Light.
Sono le 22.25 di quella notte e sulle due navi scoppia l’inferno. Il boato è forte come un terremoto, viene udito in tutta la nave e lo stridore delle lamiere delle due navi che si accartocciano l’una sull’altra mette i brividi.
Al marconista Giovanbattista Campus viene immediatamente dato l’ordine dal comandante Chessa di lanciare l’SOS, ordine che Campus esegue all’istante e viene registrato alle 22.25.27: “May-day May-day May-day!Moby Prince Moby Prince May-day May-day May-day Moby Prince siamo in collisione…” -poi un disturbo copre le parole di Campus ma dopo qualche secondo si riesce ancora a capire la frase:  “siamo in collisione prendiamo fuoco…siamo entrati in collisione prendiamo fuoco!”.
Ma sul canale 16, né terra con Compamare e Livorno Radio  né le altre navi in rada o in navigazione nei dintorni, sembrano accorgersi del drammatico appello nonostante siano perfettamente udibili il nome del traghetto ed il may-day ripetuti per tre volte come da procedura.
Il petrolio fuoriesce dallo squarcio sulla fiancata destra della “Agip Abruzzo” e si riversa sulla nave-passeggeri. Le due navi sono avvinghiate ed il Comandante Chessa giustamente, non dà l’ordine di macchine indietro perché sa che la situazione potrebbe peggiorare. Per qualche motivo però, dopo alcuni minuti,  le due navi iniziano a staccarsi. Le lamiere continuano a sfregare tra loro provocando scintille che innescano il greggio e per il traghetto passeggeri, che inizia i suoi tragici giri andando alla deriva in fiamme, comincia la fine.
Il fuoco si sviluppa all’interno del garage, da prua verso poppa e dal basso verso l’alto; il mozzo Bertrand scende sul ponte auto a poppa insieme ad altri compagni, ma vista la situazione decide di tornare su nella zona dei saloni, passando per le cabine dei passeggeri che corrono avanti ed indietro spaventati.
Il traghetto ha sfondato la settima delle ventuno cisterne della petroliera penetrando per diversi metri sul lato destro della “Agip Abruzzo” sotto il castello. La prima delle cisterne non in zavorra.
Sulla “Abruzzo” il comandante Renato Superina cerca immediatamente di affrontare l’emergenza e contrastare l’incendio. Superina chiede al direttore di macchina Marco Pompilio  se è possibile salpare con urgenza e Pompilio risponde di sì.
Sul canale 16 alle 22.26.09 irrompe una voce concitata :  “Capitaneria di Porto..Capitaneria Capitaneria.. Capitaneria!” – la voce affannata da bordo della “Agip Abruzzo” e alle 22.26.26:  – “Capitaneria di Porto di Livorno avanti pure canale 13” – “Qui è l’Agip Abruzzo!” poi l’Avvisatore Marittimo –  “Attenzione Compamare Compamare Livorno Avvisatore” – “Avanti Avvisatore canale 10” – e nella confusione torna nuovamente la voce concitatissima della petroliera: – “Capitaneria Agip Abruzzo!” – “Agip Abruzzo da Genova Radio” – “Siamo incendiati siamo incendiati c’è venuta una nave addosso! Presto presto elicotteri qualcheduno!!!”
La richiesta di assistenza della petroliera è affannata e confusionaria, ma ancor più confusionaria è nei minuti iniziali la risposta della centrale operativa della Capitaneria di Porto di Livorno.
Sui cieli toscani il volo Alitalia Roma-Pisa AZ 1102 è in fase di avvicinamento alla città di destinazione e a bordo il passeggero Roberto Cini mentre cerca di scorgere l’Elba illuminata vede uno spettacolo molto diverso: un punto di fuoco piuttosto considerevole e altri intorno più piccoli. Il comandante dell’aereo Enzo Bertolini osserva lo stesso spettacolo e avvisa il controllo aereo di Pisa.
A casa dell’armatore Nello D’Alesio, il figlio Antonio, vede un bagliore e chiama il padre ed il fratello; poi accende VHF e videocamera ed inizia a filmare.
In Capitaneria, il marinaio di leva Gianluigi Spartano prova a capire cosa stia accadendo ad una manciata di chilometri da lui; alla radio arrivano anche l’altro marinaio di leva Giuseppe Berlino ed il sottufficiale di guardia Antonio Fuggetti.
Nello d’Alesio avvisa il suo vicino di casa Tito Neri, armatore dei rimorchiatori del porto di Livorno, di preparare subito degli equipaggi pronti ad uscire; è chiaro ormai a tutti che qualcosa di grave sta avvenendo di fronte ai loro occhi ma nelle Autorità competenti a farla da padrone è ancora  la confusione testimoniata dalle comunicazioni sul canale 16:  – “Compamare Compamare Livorno Compamare Livorno da Agip Abruzzo incendio a bordo incendio a bordo!” – “Agip Abruzzo da Compamare Livorno cambio!” – “Incendio a bordo da Agip Abruzzo incendio a bordo chiediamo subito assistenza!”- “Dove vi trovate voi che chiamate incendio a bordo qui è Compamare Viareggio cambio” – “In rada in rada a Livorno in rada a Livorno in rada a Livorno, Livorno ci vede e ci vede con gli occhi! Incendio a bordo!” – poi un’altra stazione radio, probabilmente l’atra nave della stessa compagnia presente in rada quella notte, la “Agip Napoli”, interviene con un esplicito:  – “Che fai Livorno dormi!!!” e di nuovo – “Compamare Livorno Compamare Livorno!!!” – “Ricevuto Agip Abruzzo siamo già informati e stiamo provvedendo”.
Alle 22.31, il Comandante Vito Cannavina della “Agip Napoli”, accortosi dell’ impreparazione con cui hanno reagito in Capitaneria di Porto, sei minuti dopo le prime richieste via radio specifica in modo tale che non ci dovrebbero essere più molti dubbi su quanto stia avvenendo nel tratto di mare di loro competenza e sulla necessità urgente di un intervento di soccorso: – “Compamare Livorno Agip Napoli, la Abruzzo si è incendiata probabilmente ha la nave in collisione che gli è andata addosso ed è in rada a Livorno, bisogna fare uscire immediatamente i mezzi antincendio!” .
Cannavina è chiaro: c’è un grosso incendio sulla “Agip Abruzzo” causato da una collisione con un ‘altra nave e sono necessari al più presto tutti i mezzi antincendio.
Poco dopo un ulteriore dialogo tra “Agip Abruzzo” e Capitaneria di Porto ribadisce ulteriormente la situazione: “Allora noi la nave che ci è venuta addosso non vediamo né nome né niente voi a che punto siete?” – “Ho fatto uscire i vigili del fuoco e sto cercando di fare uscire i pompieri i rimorchiatori di assistenza sto cercando di fare uscire” – “Eh guardi che l’incendio è grosso eh!”- “Ricevuto ma chi è la nave incendiata?” – “Eh qua adesso è un macello!” – “ Bene ho capito Abruzzi d’accordo” – “Sembra una bettolina quella che ci è venuta addosso!”.
A pronunciare quest’ultima frase è il marconista della petroliera, Imperio Recanatini. Ormai non può che essere chiaro che i mezzi coinvolti sono due, ma l’informazione nuova che giunge direttamente da bordo della “Agip Abruzzo” è che l’altro natante, dovrebbe essere una bettolina. Una di quelle bettolina che, a Livorno, sono di proprietà della famiglia d’Alesio. “Una bettolina? Ma allora è la nostra!!!” – è il commento allarmato che infatti uno dei due figli fa dopo aver sentito la comunicazione di Recanatini.
Escono i primi rimorchiatori e la motovedetta CP 232 ma, appena fuori dal porto, si imbattono in un autentico muro di fumo.
Il “Moby Prince” intanto, vaga in fiamme senza che nessuno se ne preoccupi. Nemmeno Livorno Radio, che dopo aver avvisato la Capitaneria dell’incidente alla petroliera, alle 22.26.58, un minuto e mezzo circa dopo il may-day dal traghetto, l’aveva chiamata con l’operatore Giancarlo Savelli ma senza ottenere risposta lasciando nella traccia audio un interrogativo che, a chi lo ascolta, ancora oggi mette i brividi: – “Moby Prince da Livorno mi ricevi?”. Silenzio, nessuna risposta. Da un minuto e più  si è appena scatenato l’inferno in quella rada, su quel canale radio una petroliera ferma sotto i loro occhi urla di essere in fiamme colpita da un’altra nave, e a nessuno viene il sospetto che quella mancata risposta al contatto radio della “Moby Prince” (ultima nave partita poco prima dal porto, ed unica ad essere ufficialmente in navigazione proprio in quel tratto di mare oltre alla “Car Express” in arrivo, che però ha già comunicato con l’Avvisatore Marittimo sul canale di lavoro e quindi dando “segni di vita”), possa suonare anomala. Questa, in ordine di tempo, è la prima avvisaglia di quel che si scoprirà in conseguenza della tragedia di quella notte:  un’organizzazione a dir poco approssimativa ed una gestione pessima, per la sicurezza del traffico marittimo e della salvaguardia della vita umana, in quel tratto di mare da parte delle Autorità e degli enti competenti a Livorno all’epoca. Infatti,  sarà solo una triste conferma scoprire che, a quei tempi,  chi ormeggiava in rada non era obbligato a fornire le coordinate precise del suo punto di fonda ma solo genericamente indicare in che zona della stessa ancorasse. O ancora accorgersi di come, alle navi in partenza da Livorno, comprese quelle di linea come la “Moby Prince”, durante le chiamate radio relative ai dati di partenza effettuate con Compamare Livorno, la Capitaneria di Porto non chiedesse (come era ed è tuttora buona norma fare), le condizioni meteo compresa la visibilità in zona, o la rotta e la velocità con cui si stava impostando l’uscita dalla rada (prova ne è che l’Autorità marittima fornì ufficialmente solo ed esclusivamente come dati di partenza riferiti dalla “Moby Prince”, i dati commerciali. Nessun dato sulle condizioni meteo o sulla navigazione). Mancanza di elementi importantissimi che saranno protagonisti nei 22 anni di indagine su questa tragedia, ma che sono determinanti in negativo, già nella notte stessa. La mancanza di semplici informazioni infatti, genera fin da subito una confusione mai vista che, unita ad un coordinamento dei soccorsi inesistente, trasforma quella bella notte di primavera, nella pagina più nera della storia della Marina Mercantile italiana, e, per le circostanze in cui è avvenuta,  nella notte più nera anche nella storia del corpo delle Capitanerie di Porto.
Confusione che domina sulle tracce audio del canale 16,  perché quando fuori dal porto un’intera flotta di mezzi di soccorso sta concretamente cercando di dirigersi verso la moto-cisterna in fiamme senza un reale controllo, e nonostante siano passati più di venti minuti dal momento della collisione, ancora non si riesce a capire dove andare a cercare quel bestione illuminato dall’incendio come certifica questo dialogo delle 22.48.19: – “Volevamo sapere se è possibile avere le coordinate Loran della barca dell’Agip che sta prendendo fuoco” – chiedono dalla motovedetta 446 dei vigili del fuoco e la risposta dalla centrale operativa della Capitaneria di  Livorno: – “No negativo non le abbiamo le coordinate Loran” – “Siamo i vigili del fuoco volevamo sapere se è possibile avere le coordinate Loran della nave che sta in…bruciando” – e dalla petroliera con voce concitata il marconista Recanatini replica stizzito: –“Mah!Eh…Vigili del fuoco non vedete l’incendio non lo vedete c’è nebbia? Non lo so noi qua siamo pieni di fiamme! Noi eravamo all’ancora, all’ancora  al massimo un miglio e mezzo due miglia dall’entrata del porto di Livorno!”
Sulla nave del comandante Superina l’incendio sta assumendo proporzioni quasi incontrollabili, l’equipaggio sta cercando di affrontare l’emergenza in attesa di soccorsi che tardano inspiegabilmente ad arrivare, nonostante la vicinanza dal porto, motivo che porta il marconista a fare cenno alla nebbia con tono stizzito.
A Livorno, a casa Campi, Giulia sta osservando dalla finestra il cielo stellato poi, come tanti livornesi quella notte, colpita dai bagliori e pensando che sia la Gorgona in fiamme chiama la madre Marcella Bini. Le due osservano l’incendio e, vedendo le fiamme troppo vicine alla costa, capiscono che è in realtà  una nave a bruciare; poi sopra la sagoma nera della “Agip Abruzzo” vedono apparire quello che loro sono sicurissime essere un elicottero.
Come loro anche tre paracadutisti che dal lungomare di Ardenza stanno assistendo all’immane disastro. Marcella e la figlia Giulia non si scompongono più di tanto perché pensano che finalmente siano arrivati i soccorsi ma, poi, il velivolo complice il denso fumo che sta avvolgendo la zona, sembra sparire nel nulla.
Alle 22.49.39 di quella terribile notte, una strana comunicazione radio in inglese viene registrata sul canale 16: – “This is Theresa, this is Theresa to ship one in Livorno ancorage, I am moving out I am moving out, breaking station…” – che tradotto significa – “Questa è Theresa, questa è Theresa a Nave Uno in rada a Livorno, sto andando via, sto andando via, passo e chiudo…”
Chi è questa nave che si identifica in “Theresa” e che non è nei registri del porto? A chi si rivolge quando chiama “…questa è Theresa A NAVE UNO…”?. Inizia così uno dei capitoli scomodi di questa vicenda da sempre totalmente ignorato dalle Autorità inquirenti e Giudiziarie ma, come vedremo più avanti, oggi alcune delle domande “scomode”  di quella notte, possono finalmente trovare risposte.
Le richieste si fanno più concitate:  – “Venite subito! La pelle è mica la vostra!” –   e nel mentre che il suo equipaggio si interroga su cosa abbia innescato quell’inferno (tutti sono sicuri della collisione e alla sua domanda sull’accaduto il primo ufficiale di macchina Antonio Cannarella si sente rispondere: “è un passeggeri che è in fiamme e c’è venuto addosso”) il comandante Renato Superina capisce di non poter più combattere l’incendio e decide di lanciare un razzo per farsi individuare assumendo toni sempre più drammatici:
“La nave che ci è venuta addosso è incendiata anche lei però non lo so dove si trova, non lo so state attenti che non scambiate lei per noi!”.
Sulla motovedetta CP 250 sale il responsabile di quel tratto di mare, e teoricamente anche di quel soccorso in atto, il comandante del porto Sergio Albanese.
Finalmente dopo aver visto i razzi, alle 23.05, quaranta minuti dopo la collisione, i primi mezzi arrivano sottobordo alla “Agip Abruzzo” e cominciano a spruzzare acqua e schiumogeno sulle fiamme che invadono il lato di dritta del castello di poppa.
Il comandante Superina, constatata  l’impossibilità di rimanere a bordo, organizza l’allontanamento degli uomini dalla nave e nel mentre la motovedetta CP232 comunica con la centrale operativa: – “No dicevo noi siamo sottobordo a debita distanza sul lato sinistro della nave in fiamme e niente rimaniamo su questa zona in attesa di disposizioni perché intanto mi dicevano che la bettolina non corrono rischi e pertanto…” – risposta da Compamare: –  “232 chi è sta bettolina interrogativo cambio” – silenzio poi di nuovo Compamare:- “232 ripeto avete notizie su chi sia questa bettolina interrogativo cambio”- “ Ma negativo son, vedo un’altra navetta sempre più avanti con, in fiamme ho sentito parlare di bettolina probabilmente è la bettolina che è andata addosso alla nave ecco!”. In quella notte di orrore e confusione, la gestione del soccorso è talmente assurda che anche quando individuano l’altra nave avvolta dalle fiamme, alla deriva, la lasciano ancora al suo destino, perché gira voce che intanto non corrano rischi.
L’equipaggio della cisterna sale su una lancia e abbandona la nave intorno alle 23.40 ed è allora che, in maniera quasi spettrale, la seconda nave spunta dalla coltre di fumo che avvolge la zona. È alla deriva in circolo ed il momento del suo ritrovamento, viene vissuto così:  – “Insomma Franco fai attenzione che c’è la nave vedrai che sicuramente è abbandonata e sta facendo giri su se stessa capito! Eh… e l’è tutta in fiamme non vor…si sta avvicinando ancora una volta alla Agip Abruzzo quindi fai attenzione Franco guardati in giro perché c’è, ora dovesti vedere sulla tua sinistra una nave tutta quanta in fiamme” -il primo rimorchiatore nell’avvisare gli altri: –“La vedo la vedo la vedo si vede la corrente la porta qua!”.
Nonostante sia quasi passata un’ora e mezza, la seconda nave ha un abbrivio di circa 5 nodi; gli ormeggiatori del porto con la loro piccola barca e la motovedetta CP232 si avvicinano: – “Avvisatore Avvisatore da Ormeggiatori rischio è per noi questa è senza nessuno e va a giro da sè!”.  La CP232 compie due giri intorno alla nave e al secondo passaggio sulle ringhiere del ponte di poppa le luci illuminano un uomo. È il giovane mozzo, Alessio Bertrand, di Ercolano Si trova appeso alla ringhiera del parapetto a poppa dritta, ha fischiato, ha chiamato aiuto, ma non era giunto nessuno fino a quel momento. Poi dal mare, una voce gli grida di buttarsi, lo chiama. Ma la paura lo blocca, perché può finire risucchiato dalle eliche, o sbattere sul ponte e morire lì. Quando si decide, si lascia andare e dopo aver perso per un attimo i sensi, si risveglia sulla barca degli ormeggiatori del porto. Scalcia, è agitato: – “CP uomo a mare! S’è buttato da poppa della nave ci siamo sopra…CP siamo alla tua sinistra punta sulla nave per favore che c’è altra gente che ci dice questo naufrago che abbiamo raccolto!” – e dalla lancia della “Agip Abruzzo”:  – “Come?” – “Abbiamo raccolto un naufrago dice che c’è ancora persone sulla nave” – “Non c’è nessuno sulla nave l’abbiamo…ci stiamo allontanando per sicurezza cambio” – “Sto parlando della nave che ha fatto la collisione in collisione” – “Non l’ho vista! Non so dov’è! non so dove si trova!”. Poi gli ormeggiatori, provano a fare un po’ di chiarezza comunicando con l’Avvisatore Marittimo: –“Non c’è più nessuno uno lo abbiamo raccolto la nave sta andando noi la stiamo seguendo aspettando che qualcuno si butti. Quella va quella è una bomba vagante!” –“Sta andando??!!!Sai mica dirmi il nome della nave?”- “Dalla struttura mi pare un traghetto mi pare però non ti so dire di più!”
L’ormeggiatore Mauro Valli chiede al naufrago che nave siano e la risposta  gela il sangue. Valli ed il collega Walter Mattei si guardano, poi alla radio con voce disperata: – “La nave è la Moby Prince Moby Prince!”. Sono le 23.45.33. “Attenzione Compamare gli ormeggiatori riferiscono che è la Moby Prince!” – “È la Moby Prince per cui ha fatto operazioni commerciali c’è un sacco di gente sopra! Sono 50 passeggeri mi dicono! CP mi stai ascoltando? Compamare Compamare Avvisatore qualcuno mi deve rispondere oh!che ti è successo?”
Ma ancora una volta, è il silenzio, stavolta quello dei responsabili dell’operazione di soccorso, ad essere protagonista.
Il naufrago dalla piccola imbarcazione degli ormeggiatori viene trasferito sulla motovedetta CP232 mentre comincia  a prendere forma l’immane dimensione della  tragedia. Il panico è chiaro negli stessi soccorritori come si evince dalle parole degli ormeggiatori: – “Capo Manganiello (nostromo della Capitaneria di Porto, imbarcato sul rimorchiatore Tito Neri Secondo, nda) la nave del Moby Prince non riusciamo più a trovare nessuno non si butta nessuno noi gli stiamo dietro eh!” – “Va bene avete comunicato con il Moby Prince s’è fatto vivo qualcuno?”– “Negativo abbiamo affiancato la nave sottovento ma nessuno risponde!”– “Va bene Moby Prince Moby Prince da Tito Neri II°”. Silenzio. Poi Capo Manganiello comunica con la centrale operativa: – “Avete i dati del Moby Prince con quanti passeggeri era partito da Livorno?” – “ Negativo negativo non sono ancora riuscito a farlo ora ci guardo” – e ancora una volta sono i due ormeggiatori a provare a mettere un po di chiarezza:  – “Abbiamo raccolto un naufrago ha detto 50 passeggeri!”–  Compamare:  – “ Ha detto 50 passeggeri raccolti? Chiedo conferma” – “No hanno raccolto un naufrago e dovrebbe avere a bordo, l’ho ricevuto ci…cinquanta passeggeri” – “Va bene ricevuto…Moby Prince Moby Prince Moby Prince da Compamare Livorno!”– “Ormeggiatori da Capo Manganiello”– “Avanti Capo Manganiello” – “ Siete sempre in zona? C’è mica qualche altro naufrago?” – “Capo Manganiello abbiamo anche la motovedetta viae…vicina, nelle vicinanze stiamo perlustrando io non trovo nessuno “ – “Dunque il naufrago eh…ha dichiarato se si sono buttati altri oppure no?”  – “ Il naufrago ha detto sono tutti morti bruciati!”.
Proprio mentre l’equipaggio della “Agip Abruzzo” è ormai in salvo, si scopre l’identità della seconda nave coinvolta: un traghetto carico di passeggeri. Ma nonostante questo, come risulta dal brogliaccio di bordo del rimorchiatore “Tito Neri” e come si evince dalle registrazioni radio del canale 16, i mezzi di soccorso invece di dirigersi anche sulla “Moby Prince” , vengono dirottati tutti sulla “Agip Abruzzo” ad esclusione della barca degli ormeggiatori e di un solo rimorchiatore, quello del Comandante Sergio Mazzoni.
Il “Moby Prince”, si sta dirigendo in acque pericolose e rischia l’incaglio; così Mazzoni, fa prendere una scala e manda a bordo del traghetto un marinaio per incappellare un cavo ad una bitta a poppa della nave.
La prima persona a salire a bordo del traghetto dopo la collisione, è intorno alle 02.00 della notte, il marinaio Gianni Veneruso che sale laddove poco prima, si era gettato Alessio Bertrand. Veneruso tocca lo scafo a mani nude, è tutt’altro che incandescente; così, senza protezioni o tute antincendio, prende coraggio e sale. Non ci sono fiamme. Incappella il cavo alla bitta di poppa e poi vuole andare a dare un’occhiata nei saloni ma gli viene ordinato di tornare sul rimorchiatore per non correre pericoli.
All’alba si alzano i primi elicotteri che osservano il corpo di una persona esanime a braccia aperte sul ponte.
Alle 10.02 del giorno 11, il mare restituisce la prima vittima. È il barista della discoteca della “Moby Prince”. L’uomo non è morto a causa dell’incendio ma annegando nel mare pieno di petrolio. È riuscito a gettarsi in mare ed il suo orologio si è fermando sulle ore 06, 20 del mattino del giorno 11. Meno di quattro ore prima del ritrovamento. Ma otto ore dopo la collisione nell’ora in cui, presumibilmente, quest’uomo mai raggiunto dalle fiamme,  si è gettato in mare, senza che nessuno se ne accorgesse.
La notte del 10 aprile 1991, la notte entrata nella storia per la più grave tragedia della marineria mercantile italiana, è accaduto anche questo.