Stop Comprensivi: intervista al Coordinamento
La scuola italiana, dopo decenni di tagli strutturali e di riforme inutili, sta vivendo un momento di crisi devastante in termini di abbandoni scolastici, strutture che cadono a pezzi e programmi inservibili. La pandemia in corso, con chiusure generalizzate e didattiche a distanza, ha moltiplicato i problemi già esistenti. Proprio in questo periodo delicato Il Comune di Livorno e l’Ufficio Scolastico Provinciale vogliono attuare gli istituti comprensivi nella città di Livorno a partire dall’anno scolastico 2022-2023. Diverse le critiche pervenute dal personale scolastico, con una forte mobilitazione di diversi organi scolastici, culminata, il 10 dicembre 2021, con lo sciopero indetto sul tema dei comprensivi che ha avuto una percentuale elevata di adesione.
Quali sono i maggiori problemi e contraddizioni che si possono rilevare in questa riforma radicale degli istituti comprensivi?
Partiamo da quella che è una contraddizione di fondo. Oggi alla città viene proposta una soluzione di trasformazione delle scuole che porterà alla nascita di istituti numericamente superiori a 1000 alunni. Nel 2001 diverse regioni italiane, tra cui la Toscana, fecero una battaglia legale contro un decreto del governo Berlusconi che estendeva per ragioni di razionalizzazione economica l’accorpamento dei circoli didattici (infanzia e primaria) e delle scuole medie (secondarie di primo grado) in istituti comprensivi con l’obbligo di raggiungere almeno 1000 alunni. All’epoca la Toscana si appellava al Tar (e vinse) perché non riteneva funzionale il numero imposto, oggi invece è la stessa regione che spinge sull’amministrazione comunale per arrivare a una soluzione ben peggiore. In quella occasione la regione Toscana presentò un ricorso anche contro la soppressione dei dirigenti scolastici per le scuole autonome con un numero inferiore a 600 alunni. Oggi la comprensivizzazione a Livorno prevede il passaggio da 12 istituti a 9 comprensivi con la conseguente perdita di tre dirigenti scolastici (oltre a tre direttori dei servizi generali e amministrativi). E questo nonostante nella legge di Bilancio 2022 sia presente una norma che garantisce alle scuole con 500 alunni un D.S. e un DSGA. Come si fa a non pensare che l’operazione non sia innanzitutto una razionalizzazione economica?
Per quanto riguarda i problemi più pratici: per prima cosa la comprensivizzazione porta al taglio di alcuni servizi: come appena detto, spariranno tre D.S. e tre segreterie e questo avverrà in un periodo storico in cui ai D.S. e alle segreterie sono state delegate importanti funzioni per il contenimento dell’epidemia; i comprensivi inoltre non sono equilibrati: c’è squilibrio fra il numero di sezioni dei diversi cicli e questo limita in partenza le possibili ricadute pedagogiche positive sugli alunni. Inoltre la divisione in comprensivi non rispetta le caratteristiche del territorio, perché ci sono scuole vicinissime tra loro divise in comprensivi diversi e scuole lontane accorpate. Non è chiara poi la ricaduta sull’occupazione. In base alle tabelle ministeriali si perderanno almeno 13 posti nel personale ATA. Le rassicurazioni dell’amministrazione comunale, che sostiene che ciò non avverrà, si basano su accordi ancora solo orali; inoltre, nel caso i posti di lavoro si potessero effettivamente mantenere, non è chiaro per quanto tempo e con quali modalità. Per concludere non è stata fatta nessuna analisi delle strutture, per cui i comprensivi nascono senza gli ambienti necessari (aule magne, palestre, laboratori…) e non sono previsti investimenti per sanare queste carenze.
Ancora una volta gli studenti pagherebbero queste scelte dell’amministrazione comunale e scolastica. In che senso si assisterebbe a un “impoverimento dell’offerta formativa, un’impossibilità di portare avanti, per le singole scuole, la progettazione che risponde a bisogni educativi specifici diversificati per fasce d’età”?
Alcune scuole, e parliamo in particolare delle scuole medie, hanno avviato nel tempo progetti di ampio respiro che hanno importanti ricadute su tutta la popolazione scolastica; pensiamo ad attività di gemellaggio e scambio culturale, compresi i progetti europei Erasmus, o ad attività musicali. Questi progetti hanno bisogno di ampi numeri per andare avanti; cioè, c’è bisogno di un numero minimo di famiglie che facciano partecipare attivamente i figli al progetto e solo grazie a queste famiglie il progetto può essere avviato e potrà coinvolgere indirettamente anche gli altri alunni della scuola. Progetti che funzionavano in scuole con dieci, dodici sezioni non è detto che possano essere portati avanti quando le sezioni di scuola media saranno dimezzate. C’è poi l’aspetto del tipo di utenza. Le nostre scuole attuali sono abbastanza omogenee fra loro perché, essendo formate da plessi diversi che insistono su bacini diversi di utenza, sono molto eterogenee al loro interno. In ogni scuola c’è quindi un gruppo di alunni con famiglie attente al percorso educativo dei figli e disponibili a recepire le proposte della scuola; questa disponibilità permette di avviare attività che poi coinvolgono tutti gli studenti, anche quelli provenienti da famiglie che, per problemi di vario tipo, sono meno attente all’educazione dei figli. Isolando i diversi plessi e inserendoli in comprensivi che insistono su territori meno eterogenei, c’è il forte rischio che alcune scuole, cui afferisce un’utenza meno sensibile alle dinamiche dell’educazione dei figli, non abbiano la possibilità di portare avanti per tutti le iniziative che adesso funzionano con regolarità. Nelle scuole con un’utenza mediamente attenta alle esigenze educative le cose magari non cambieranno (e in ogni caso sarebbe un danno piccolo, essendo tali famiglie in grado di integrare autonomamente le offerte educative per i figli); in altri contesti, dove invece è proprio la scuola a fare la differenza nell’educazione dei ragazzi, l’offerta educativa rischia di essere fortemente impoverita.
Quali sarebbero i costi in termini di perdita del personale scolastico e ATA in un momento storico e sociale dove invece le assunzioni all’interno del comparto pubblico potrebbero risolvere alcune problematiche della scuola?
Come già detto si perderanno sicuramente tre dirigenti scolastici e tre DSGA. I sindacati hanno denunciato inoltre la perdita di 13 posti in pianta stabile per il personale ATA. L’amministrazione comunale sostiene di esser riuscita a strappare un accordo con gli uffici regionali che gestiscono il personale chiedendo la possibilità di salvare i 13 posti per il personale ATA per un anno qualora il percorso di comprensivizzazione si concludesse entro il 2022-2023. Ma su questo accordo esistono pensanti incognite. Innanzitutto non è stato ancora formalizzato e ascoltando le parole del provveditore non sembra che si vada oltre a un accordo verbale. E poi esistono delle tabelle ministeriali che, se non da subito a partire dall’anno successivo, imporranno una riduzione del personale tecnico-amministrativo e dei collaboratori scolastici all’interno dei nuovi istituti comprensivi. Su questo tema il sindaco ha voluto precisare, durante uno dei tavoli a cui abbiamo partecipato, che la città di Livorno non può più permettersi perdite di posti di lavoro. Ha dichiarato che interverrà in prima persona con il responsabile regionale e che se non sarà garantita una stabilità pluriennale al personale ATA è disposto a rivedere le decisioni dell’amministrazione comunale. Ci chiediamo a questo punto cosa intenda fare il sindaco di fronte a uno scenario da lui stesso ritenuto inaccettabile.
Come si potrebbe situare una riforma di questo tipo all’interno delle problematiche legate alla mancanza di spazi e all’attuale, spesso fatiscente, edilizia scolastica?
L’amministrazione comunale sbandiera il miglioramento della continuità come elemento a supporto della realizzazione dei comprensivi. La realtà però ci dice che sul territorio livornese il progetto di comprensivizzazione avverrà all’interno di istituti scolastici che manterranno edifici separati e spesso distanti tra loro. In quali modalità e in quali spazi avverrà la condivisione dei percorsi formativi? Cosa cambierebbe rispetto alla situazione attuale?
Al momento non esistono nemmeno spazi sufficienti per poter riunire i nuovi collegi, in quanto nessuna scuola ha spazi così ampi per svolgere riunioni che accoglieranno i docenti di tre gradi di scuole. E questo è molto grave per una scuola che dovrebbe tutelare il ruolo dei suoi organi collegiali. Ma per l’amministrazione comunale, ascoltando le risposte date dalla vicesindaca Camici l’idea di base per gestire le complessità connesse a questa iniziativa sembra essere quella di contare sul rafforzamento dei poteri dei dirigenti scolastici che si vorrebbero sempre più manager e decisionisti, riducendo gli spazi di partecipazione. Una scuola meno collegiale, meno democratica.
Quali strumenti di lotta utilizzare, oltre allo sciopero, per fermare questo ennesimo tentativo di attacco alla scuola pubblica? Come coinvolgere le famiglie e gli studenti?
Le studentesse e gli studenti che saranno toccati dal processo di comprensivizzazione sono troppo piccoli per poter essere coinvolti. Per quanto riguarda le famiglie abbiamo provato a informarle facendo circolare un prospetto di quelli che saranno i cambiamenti e le difficoltà principali che accompagnano questa riforma. Per approfondire ulteriormente la questione abbiamo organizzato anche un dibattito pubblico la cui registrazione si trova in rete. In generale stiamo cercando di porre l’attenzione sulle criticità non risolte, cercando il coinvolgimento di chi ha una diretta responsabilità nel progetto di comprensivizzazione o chi si occupa di scuola a livello politico: giunta locale e regionale, presidenti di commissione, responsabili scuola dei partiti, consiglieri. Scriviamo a queste persone, le invitiamo a confrontarsi con noi, con il personale scolastico e con le famiglie. Quello che notiamo è che la maggior parte preferisce evitare di esporsi e confrontarsi e questo per noi è un segnale che le risposte mancano e che il progetto non ha evidentemente una valenza pedagogica così inattaccabile. Per noi si stanno semplicemente tagliando le risorse sulla scuola e nessuno si prende la responsabilità di ammetterlo. Ma siamo molto determinati a far luce sulla questione.
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Foto di copertina di Roberta Bancale