Antropologia visuale a Gaza, recensione a “To See in the Dark” di Mirzoeff
Introduzione
“To See in the Dark” di Nicholas Mirzoeff è un veloce libretto che contiene tutto il potere catalico dell’antropologia visuale che emerge, stavolta, nel contesto del conflitto israelo-palestinese. Mirzoeff, molto conosciuto e attivo nel campo della cultura visuale, intreccia analisi politica e personale, offrendo una prospettiva unica sulla situazione a Gaza e sul ruolo delle immagini nel definire la percezione globale del conflitto. Non solo, Mirzoeff fa uscire le immagini prodotte dai social dallo stato di antropologia negativa, evaporazione dell’esperienza, permanenza dell’inautentico che sembra, oggi, il modo prevalente di codificazione di questo tipo di morfologia culturale da parte delle scienze sociali.
L’Antropologia visuale secondo Mirzoeff
Mirzoeff definisce l’antropologia visuale come un metodo di indagine che utilizza immagini e media visivi per comprendere la cultura e la società. In “Too See in the Dark”, dove l’oscuro, il buio è la Palestina circondata fisicamente dalla urbanistica securitaria e astrattamente dalla rappresentazione visuale israeliana , Mirzoeff applica questo approccio per analizzare la situazione a Gaza, ricordando come le immagini e i video prodotti dai giovani palestinesi, tramite social, abbiano contribuito a cambiare l’opinione pubblica globale sul conflitto . L’autore sostiene che queste immagini, condivise su Instagram e TikTok, offrono una prospettiva diretta sulla realtà del conflitto, permettendo al pubblico di “vedere nel buio” e di superare la “cortina visiva coloniale” che oscura la bestiale condizione dei palestinesi . Qui vediamo un importante rovesciamento antropologico: le immagini dei social passano da essere il buio, quello della esperienza autentica che sarebbe negata secondo il mainstream delle scienze sociali ridotto a chiacchiera iconoclasta, a manifestazioni dirette di esistenza non solo di emergenza umanitaria ma proprio di vita piena.
Mirzoeff vede nelle immagini, nella visuale astratta di Gaza una forza di resistenza umana, una testimonianza della vita che continua nonostante la violenza estrema e il livello schiacciante di oppressione subite. Le immagini veicolano senso per affermare la propria identità, per connettersi con il mondo esterno, per esprimere vita. Mirzoeff utilizza linguaggio e categorie dell’antropologia visuale per rappresentare un frame, paradossalmente, vivo della condizione umana a Gaza. Attraverso l’analisi di immagini e video, mette in luce le sfide quotidiane affrontate dalla popolazione, tra cui la violenza, la povertà e la mancanza di libertà . I giovani di Gaza, in particolare, utilizzano i social media per documentare la loro vita sotto assedio, condividendo video di edifici bombardati, testimonianze di vita quotidiana in condizioni di estrema precarietà, e immagini di resistenza e di forte resilienza .
I concetti dell’antropologia visuale di Mirzoeff si scontrano implicitamente (finalmente) con la concezione entropica dell’immagine di Jean Baudrillard. Baudrillard, ha analizzato il ruolo dei media e della tecnologia nella società postmoderna, sostenendo per tre decenni che la proliferazione di immagini e simulacri ha portato a una perdita di significato e a una disintegrazione del reale. Per Baudrillard, l’immagine non è più una rappresentazione del reale, ma una sua simulazione, un segno che non rimanda a nulla al di fuori di sé stesso. Questa proliferazione di simulacri crea un “iperreale”, un mondo di immagini che sostituisce il reale, rendendolo indistinguibile dalla sua rappresentazione (amen, verrebbe da aggiungere). Nel contesto di Gaza, la visione di Baudrillard potrebbe suggerire che le immagini del conflitto, pur essendo potenti, rischiano di diventare simulacri, perdendo il loro legame con la realtà e contribuendo a una spettacolarizzazione della violenza. Mirzoeff, al contrario, vede nelle immagini di Gaza non solo una forza di resistenza, una testimonianza della vita che continua nonostante la violenza ma proprio una vera e propria formazione del simbolico della vita tramite social. Le immagini sui social, altro che iperreali, sono la realtà che mette concretamente in difficoltà l’occupante israeliano, afferma la propria identità, denuncia le ingiustizie, si connette con il mondo esterno, sedimentando l’esistenza della forma di vita. Mirzoeff, di origini ebraiche e dichiaratamente antisionista, ci mette poi la propria forma di vita, la propria storia, intrecciando la sua storia familiare alle riflessioni sul conflitto, offrendo una prospettiva intima e, assieme, globale sulla capacità della antropologia visiva di raccogliere l’esistenza del vivente là dove è più buio, dove sembra ci siano sono distruzione materiale generalizzata e quel disastro culturale chiamato informazione.
“To See in the Dark” non si limita a offrire una antropologia del conflitto, ma è anche un lavoro militante: rappresenta anche un invito all’azione. Mirzoeff incoraggia i lettori a informarsi, condividere, agire e riflettere sul conflitto israelo-palestinese e sul proprio ruolo nel contesto globale. Nel complesso si tratta di un lavoro stimolante che offre una nuova prospettiva sul conflitto israelo-palestinese e sul ruolo dell’antropologia visuale nella comprensione della condizione umana. Il libro rappresenta un contributo significativo alla letteratura sul conflitto, evidenziando il potere delle immagini nel contrastare le narrative dominanti e nel promuovere la solidarietà. Il paragone implicito con la concezione entropica dell’immagine di Baudrillard arricchisce la sua analisi, invitando ad emanciparsi da letture con esiti decadenti, troppo a lungo considerate “la linea” in campo filosofico e antropologico.
per Codice Rosso, nlp