C’eravamo tanto amati.
Ricordare è una dote umana che non dovrebbe essere mai persa anche se può farci soffrire per gli errori passati e le occasioni perse. Era il 1 dicembre 1970 quando il parlamento italiano votò la legge che introduceva il divorzio. Fu una svolta epocale. Il matrimonio fino ad allora visto come indissolubile e perno fondamentale della solidità sociale veniva riformato. Il sigillo della sacralità cattolica della romana chiesa non era bastato a renderlo immune e invulnerabile agli effetti dei cambiamenti culturali e socio-economici dell’Italia di quegli anni. L’instabilità coniugale attestata a quell’ epoca da oltre cinque milioni di separati, molti con tanto di nuova famiglia, ne era una prova forte e indiscutibile. Ma era l’idea stessa di amore per sempre che faceva acqua da tutte le parti, di fronte ad una realtà in continuo mutamento e gli uomini e le donne con lei. Tutto scorre. Nessun uomo o donna entra mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo ne la solita donna. Le dinamiche di coesistenza dell’amore nella coppia non trovano più una collocazione statica, totalitaria, immutabile. Nemmeno si poteva tacere sull’alto numero di matrimoni falliti tenuti in piedi da un atavico comune senso del pudore che calpestava la donna e prevedeva il reato di adulterio solo per lei (abrogato nel 1968), il matrimonio riparatore in caso di violenza carnale e il delitto d’onore (art.587 c.p. “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni”). Quest’ultimo abrogato con la legge n°442 del 1981 dopo il referendum sul divorzio del 1974. Il cambiamento epocale oltre a togliere di mezzo istituti esclusivamente maschilisti, lasciavano scoperte le dinamiche relative alle diseguaglianze sociali ed economiche. L’affidamento dei figli molte volte suddiviso in modo non equo ed equilibrato fra gli ex coniugi, alimentavano forti tensioni e il ricorso ai tribunali ed introducevano le nuove problematiche delle famiglie allargate, al rapporto tra padri, madri e figli non più conviventi. Molti all’epoca e tutt’oggi, affermano che con il divorzio muore una visione romantica dell’amore, visto come un sentimento indelebile nel tempo vincolata dal matrimonio che ne sanciva contrattualmente l’indissolubilità civile e sacrale. Era insomma un matrimonio a tempo indeterminato, non soggetto al licenziamento di uno dei due coniugi neppure se mettevano in essere comportamenti poco rispettosi per l’altra. Questo ci porta ad oggi per ricordare che il 1 dicembre ricorrono i cinquanta anni da quel giorno in cui l’Italia aprì gli occhi alla modernità. Da quel giorno molte cose tra i generi sono cambiate ma ancora molta strada rimane da percorrere affinché si possa parlare di effettiva parità di trattamento sociale-politico-penale-civile ed economico tra i generi maschile e femminile e a tutto l’altro mondo fino ad ora rimasto fuori dalla porta che viene indicato con la sigla LGBTIQ. L’amore, la sessualità, in tutte le loro forme più svariate non possono essere fatte oggetto di discriminazioni e neppure essere squalificate a mera tipologia di convenzioni contrattuali o patrimoniali, di convivenza senza scadenza. Se si riconosce l’autonomia contrattuale delle parti e la possibilità di poter esprimere la propria volontà in piena libertà occorrerebbe fare un passo oltre il divorzio, poter introdurre il “matrimonio a tempo determinato” rinnovabile su richiesta delle parti ogni 5 anni, lasciando inalterati i diritti e gli obblighi passati e futuri verso i figli. Questo sarebbe senza dubbio una rivoluzione culturale e un ulteriore passo avanti, un modo molto più realistico di quello attuale per la tutela di tutti i generi che decidono di vivere insieme finché si amano. Questa è a mio parere il messaggio di quel 1 dicembre. Messaggio che doveva filtrare nelle coscienze di noi tutti. L’amore non è per sempre, in un modo dove purtroppo la morte ci separa dall’altro anche contro la nostra volontà. Credere il contrario è una pia narcisistica illusione, frutto di un epoca dominata dalla tecnica in qui si nasconde la caducità e transitorietà del mondo in cui viviamo.
{D@ttero}
“Io non ho mai sentito tanto di vivere quanto amando, benché tutto il resto del mondo fosse per me come morto. L’amore è la vita e il principio vivificante della natura, come l’odio il principe distruggente e mortale. Le cose son fatte per amarsi scambievolmente, e la vita nasce da questo”.
Cit: dal Zibaldone di G.Leopardi
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