Economia di guerra oggi. Parte XVII
Italia 2022: l’impatto dell’inflazione sul livello dei salari reali
Sulla dinamica salariale regressiva di lungo periodo che alimenta disuguaglianze e il fenomeno dei lavoratori poveri, nel 2022 si abbatte la ripresa dell’inflazione
Dopo diversi anni di quiescenza, la fiammata inflazionistica improvvisamente iniziata sotto la spinta al rialzo delle quotazioni del gas naturale nel secondo semestre del 2021 e proseguita nell’anno successivo (grafico 1), ha determinato come riflesso diretto un’erosione del potere di acquisto delle pensioni e dei redditi da lavoro che ha inevitabilmente impresso nuovo impulso al processo di ampliamento delle disparità reddituali già in atto da un trentennio in Italia e nell’Unione Europea.

2022: la dinamica dei salari reali affossa i bassi redditi
Una gravosa problematica purtroppo non inedita per il nostro paese visto che è risultato l’unico fra i membri dell’Ocse ad aver subito una contrazione generalizzata dei salari reali fra il 1990 e il 2020[1] (-2,9%). Una dinamica regressiva che ha anche determinato un ampliamento della platea dei working poors[2] e delle persone in stato di povertà assoluta e relativa.
L’inflazione, con i suoi vari effetti, diretti e indiretti, ha quindi fornito ulteriore linfa, oltre che alle disparità economiche fra le classi sociali a danno dei salariati in generale, anche a quelle interne alla forza lavoro dipendente ed in particolare fra lavoratori a tempo indeterminato e quelli con contratti atipici e a scadenza, con significativa penalizzazione per i redditi medio-bassi e bassi.
In relazione a tale dinamica, è sempre l’Ocse che evidenzia come la perdita di potere d’acquisto abbia maggiormente impattato sui lavoratori a reddito inferiore, in quanto la diminuzione dei salari reali ha inciso in modo più gravoso sulle basse retribuzioni. Queste ultime, infatti, fra il primo trimestre 2022 e il corrispondente periodo del 2023, in Italia sono diminuite in termini reali addirittura del -10,3% (tabella 1[3]), al cospetto di una corrispondente media Ocse di -3,5%, alle spalle della sola Lettonia con -13,9%.
A completamento del quadro della dinamica reddituale del nostro paese, rileviamo che la fascia intermedia dei redditi da lavoro accusa un -7,5%, contro una media Ocse di -3,8%. Mentre la più elevata, conseguentemente, registra una minor perdita di potere d’acquisto, pari al -6% che peraltro risulta molto meno distante dal valore medio Ocse che infatti risulta del -4,8% (tabella 1).
Tabella 1: variazione dei salari reali in Italia per livelli di reddito con raffronto media Ocse fra il primo trimestre 2022 e il primo trimestre 2023. Fonte Ocse
Variazioni dei salari reali per fasce di reddito in Italia | |||
Redditi da lavoro dipendente | Italia | Media Paesi Ocse | Differenza |
Redditi bassi | -10,3% | -3,5% | -6,8% |
Redditi medi | -7,5% | -3,8% | -3,7% |
Redditi elevati | -6,0% | -4,8% | -1,2% |
In sintesi, la politica salariale nel nostro paese ha finito per penalizzare in modo ancor più rilevante i lavoratori già in condizioni di fragilità, sia in valore assoluto, sia in rapporto alla corrispondente fascia di reddito della media dei paesi Ocse.
Non risulta pertanto casuale che nel nostro paese nel 2022 le persone relegate nelle condizioni di povertà pur risultando impiegate siano salite all’11,5% del totale dei lavoratori e che tale condizione affligge particolarmente i lavoratori e le lavoratrici in ambito domestico, stimati nell’ordine del 30% (grafico 2).

Per quanto riguarda invece i redditi a livello familiare, il rapporto dell’Istat sulle “Condizioni di vita e reddito delle famiglie anno 2023”[4] in Italia, pubblicato il 7 maggio 2024 mette in risalto come il reddito familiare netto nel 2022 sia stato in media di 35.995 euro, corrispondenti a 3.000 euro mensili. Tuttavia, l’istituto nazionale di statistica rileva che la crescita dei redditi familiari in termini nominali nel 2022, pari a +6,5%, nonostante il traino della ripresa economica post covid (+3,7% nell’anno in questione) non è stata sufficiente a riequilibrare l’impennata dell’inflazione[5] (grafico 1) determinando una diminuzione dei redditi delle famiglie in termini reali del -2,1%.
Un tendenza in atto da almeno 3 lustri, visto che nello stesso rapporto l’Istat rende noto che la contrazione complessiva dei redditi familiari reali nel quindicennio 2007-2022 è ammontata a livello nazionale a ben -7,2%, con una maggior incidenza nel Centro (-10,8%) e nel Mezzogiorno (-10,2%) rispetto al Nord-ovest (-5,1%) e, soprattutto, al Nord-est (-2,8%) (tabella 2).
Tabella 2: variazione percentuale dei redditi familiari in termini reali fra 2007 e 2022 in Italia e nelle sue macroregioni. Fonte: Istat.
Variazione redditi reali familiari fra 2007 e 2022 | |
Italia | -7,2% |
Nord-ovest | -5,1% |
Nord-est | -2,8% |
Centro | -10,8% |
Mezzogiorno | -10,2% |
La struttura contrattuale del mercato del lavoro nel 2021 e nel 2022
Le cause della grave questione salariale, in generale, e del crescente fenomeno dei lavoratori poveri, in particolare, vengono ricondotte dall’Istat principalmente alla peculiarità delle forme e delle tipologie dei contratti che caratterizzano il mercato del lavoro in Italia.
Infatti, nel suo rapporto annuale riferito all’anno 2021, l’Istituto nazionale di statistica evidenzia come i lavoratori a tempo determinato abbiano percepito una retribuzione oraria inferiore del 26,6% rispetto ai colleghi assunti a tempo indeterminato, mentre prendendo in considerazione le retribuzioni su base annuale, lo scostamento sale al 30%.
La differenza retributiva assume dimensioni ancora maggiori dalla comparazione delle tipologie di orario di lavoro, visto che un lavoratore temporaneo part-time percepisce il 35,2% in meno come paga oraria e sfiora il 65% su base annuale rispetto ad un pari mansione assunto a tempo indeterminato e impiegato a tempo pieno (grafico 3).
Considerando invece solamente l’orizzonte temporale dei contratti, rileviamo come, escludendo il primo quintile che è afflitto da una maggioranza assoluta di non impiegati del 62,3% (grafico 4 – parte blu), a fronte di una media generale di lavoratori a tempo determinato dell’8,1%, le quote più elevate caratterizzano il secondo quintile col il 9,9% e il terzo con il 9,8%, mentre in quello coi i redditi più elevati solo il 5,2% (grafico 4 – parte azzurra) .
Da quanto analizzato emerge dunque che le marcate disuguaglianze reddituali rispetto ai cosiddetti lavoratori “standard” affliggono sia i lavoratori temporanei che quelli con contratti part time, questi ultimi tuttavia in misura maggiore per quanto riguarda la retribuzione annua totale.

L’Istat quantifica infatti nella misura del 40% i dipendenti a tempo determinato che, tra il 2015 e il 2021, hanno percepito un reddito da lavoro in modo continuativo.
Mentre, nello stesso arco di tempo, circa la metà di quelli assunti part-time ha affrontato periodi di instabilità lavorativa.
Tradotto in valori assoluti, significa che un lavoratore part-time assunto con contratto a tempo determinato percepisce una paga oraria di 9,6 euro contro i 14,8 di un pari mansione impiegato a tempo pieno e a tempo indeterminato.
Ulteriore fattore che influisce sull’aggravamento della condizione di instabilità lavorativa che affligge milioni di lavoratori nel nostro paese è costituito dalla breve durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato, almeno per la prevalente parte degli stessi che non viene trasformata in assunzioni permanenti. La durata media dei contratti a termine nel 2022 è risultata, infatti, di soli quattro mesi per i lavoratori a tempo pieno e poco più di tre mesi per quelli a tempo parziale[9].
Il part-time involontario piaga sociale e di genere
Dal rapporto pubblicato il 6 maggio 2024 dal Forum disuguagliane e diversità dall’eloquente titolo “Da conciliazione a costrizione: il part-time in Italia non è una scelta”[10], apprendiamo come “In Italia, più della metà dei 4.203.000 lavoratori e lavoratrici part-time, censiti dall’Istat nel 2022, si sia trovata in una condizione di part-time involontario”.
Innanzitutto rileviamo come il tempo parziale in generale risulti soprattutto fenomeno di genere, dal momento che i 3/4 dei dipendenti assunti con tale tipologia di contratti risultano femmine.
Le lavoratrici, inoltre, subiscono l’imposizione del tempo parziale involontario più dei maschi alla luce del fatto che tale situazione interessa il 16,5% delle donne occupate totali contro il solo 5,6% degli uomini.
Infine, i dati dell’Eurostat relativi al 2022 riportati nel rapporto in questione, rivelano che l’abuso del part-time involontario risulta un fenomeno tipicamente italiano visto che, a fronte di una quota di lavoratori part-time lievemente inferiore rispetto alla media dell’Ue (18,2% contro 18,5%), il part-time involontario riguarda addirittura il 56,2% dei nostri assunti totali con questa forma contrattuale, contro una media comunitaria de solo 19,7%.
Il quadro delle tipologie contrattuali nel I semestre 2022
Dall’analisi dei dati dell’Inps relativi all’andamento dei contratti lavorativi attivati nel corso del primo semestre del 2022, emerge un’ulteriore crescita della “precarietà e della debolezza contrattuale” delle lavoratrici, causata dal perverso combinato disposto dettato dalla “forma precaria contrattuale e il tempo parziale, quale forma di orario ridotto”.
In primis rileviamo come nel primo semestre 2022, dei 4.269.179 contratti lavorativi attivati solo il 41,5% del totale risulta a beneficio di donne.
Per quanto riguarda, invece, l’orizzonte temporale dei nuovi contratti, quelli a tempo indeterminato costituivano nel 2022 solo del 20% del totale per i maschi e il 15% di quelli femminili, di queste ultime il 51,3% erano assunte a tempo parziale, a conferma dei crescenti squilibri di genere di cui è afflitto il nostro mercato del lavoro.
Degli oltre 4,2 milioni di contratti attivati nel primo semestre 2022, ben il 35,6% risultavano part-time, con le differenze di genere che hanno ormai assunto carattere strutturale; infatti, sul totale dei contratti attivati a donne ben il 49% era a tempo parziale, al cospetto di un 26,2% agli uomini.
Il quadro estremamente critico e regressivo della dinamica del mercato del lavoro nel nostro paese è stato a nostro avviso efficacemente ed impietosamente tracciato dai coordinatori del Forum Disuguaglianze e Diversità, Fabrizio Barca e Andrea Mornioli: “Ormai è noto che sempre più lavoro è precario e mal retribuito, e non è sufficiente a uscire da una condizione di povertà. In questo quadro anche il part-time da strumento di conciliazione di vita e lavoro, rischia di diventare uno strumento di ulteriore precarizzazione, soprattutto quando viene imposto e non è una scelta del lavoratore e in particolare della lavoratrice. Uno dei segni più evidenti di come abbiamo affrontato la sfida della globalizzazione mortificando il lavoro, in particolare delle donne”.
L’analisi prosegue nel prossimo saggio Economia di guerra oggi. Parte XVIII
Andrea Vento
9 marzo 2025
Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati
NOTE:
- Economia di guerra oggi. Parte XV. Le sanzioni gravano sui lavoratori. Grafico 2 e 3 ↑
- I lavoratori poveri vale dire coloro che pur lavorando si trovano al di sotto della soglia di povertà. ↑
- https://www.ilsole24ore.com/art/ocse-italia-maggiore-calo-salari-reali-i-grandi-paesi-75percento-pre-pandemia-AFCnOeB?refresh_ce ↑
- https://www.istat.it/it/files//2024/05/REPORT-REDDITO-CONDIZIONI-DI-VITA_2023.pdf ↑
- Nel 2022 secondo l’Istat la variazione media annua dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo, IPCA, è stata del +8,7% https://www.istat.it/it/files//2024/05/REPORT-REDDITO-CONDIZIONI-DI-VITA_2023.pdf ↑
- Fonte: elaborazione ADAPT su dati Istat ↑
- https://www.istat.it/comunicato-stampa/mercato-del-lavoro-e-redditi-unanalisi-integrata-anno-2022/ ↑
- Un quintile rappresenta 1/5 del totale (20%) in caso di suddivisione in parti uguali ↑
- https://www.bollettinoadapt.it/lavoro-povero-quale-il-ruolo-delle-forme-e-tipologie-contrattuali/ ↑
- https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/il-part-time-involontario-colpisce-piu-le-donne-degli-uomini-presentato-il-report-in-senato/ ↑