Memorie

Evelina e il suo fascio di erbe

“Questo vento fresco di maggio mi infiamma il trigemino e ho di nuovo mal di testa”
Dicevo tra me e me mentre rientravo nella casa di mia madre che si affaccia sulla piazza della città.
Stavo per solcare la soglia del giardino quando vidi sindaco assessori e un sacco di operai che toglievano le recinzioni dal luogo dove un tempo si ergeva maestoso (o così appare nelle poche e vecchie foto) il palazzo del Fascio e, distrutto quello a causa dell’esplosione di un deposito d’armi, un parcheggio prima e delle recinzioni poi finché fu comprato per una possibile speculazione edilizia e infine abbandonato per anni.

Entro, e un prato immenso con fiori lilla che componevano la scritta Viareggio faceva bella mostra di se’. Persone eleganti e uno stuolo di curiosi che si avvicinava per immergersi nel nuovo paesaggio.
Il mal di testa era ormai tale che la vista mi si annebbiava e la luce forte del mezzogiorno nuvoloso viareggino faceva sì che chiudessi gli occhi.
“Hai veduto?”
E vicino a me una graziosa ragazza coi capelli raccolti in due trecce unite sul suo capo mi parlava come se mi conoscesse.
“È da molto che la mia casa non c’è più e vi hanno costruito quell’ orrendo palazzo poi esploso, poi il parcheggio e infine l’hanno recintato per anni”. Sì, ha ragione signorina, è stata finalmente restituita alla città una delle sue zone più belle. “Questa volta la speculazione non ha vinto” interveniva mio nonno “voglio sedermi a leggere il giornale proprio qui, chissà se metteranno le panchine”.
Il trenino, quello della pineta, vi transitava, sopra mia madre e mia zia piccine coi vestiti delle foto che ci salutavano sbracciandosi dai finestrini.
La carrozza con i cavalli aveva trovato il suo posto in un angolo e aspettava i clienti mentre il tram lambiva il prato lato monte sotto le lanterne dei lampioni.
“Hai appreso? È esploso tutto mentre c’era una festa da ballo” sentivo dire intorno.
Da una colonna una voce familiare e antica faceva la radiocronaca dell’evento, era di quel signore a cui avevano poi dedicato un’aiuola, pensavo un po’ stupita.
La ragazza mi guardò “Sei Stefania, vero? Io sono Evelina! Non ti ricordi? Giocavamo insieme al laghetto di fronte all’ hotel e ci nascondevamo nel garage proprio qui dove sorgeva la mia casa “
“Sì certo che ricordo, ma mi sembra impossibile, sei ancora adolescente!”
“Come te!” E mi accorsi di non avere più il cellulare così mi specchiai in un’auto parcheggiata all’interno del prato.
In effetti ero me stessa adolescente e in quel momento rividi il laghetto dell’hotel Belmare e nel laghetto me stessa bambina che giocava con la piccola Evelina e di nuovo la mia nonna che decantava a tutti le possibilità della mia fantasia “s’immagina una bimba che non c’è “.
Non esisteva Evelina allora, non poteva esistere ora ma era accanto a me e parlava: “Sono stata io, sai? Non ho mai permesso che qualcosa fosse costruito nel luogo della mia casa, solo il laghetto e ora il prato verde. È un prato diverso dagli altri, se entri dentro e pensi intensamente alla tua città ti porta in vita ciò che c’era. Fanne buon uso” e la bambina che non esiste in un battito d’ali svani’ nel nulla, nonno mi sorrise guardandomi da sopra il giornale sotto il platano, mi avviai allora a casa, da mia madre che stava con i miei piccini, il pranzo era in tavola.
In quel prato vi era la chiave del passato di Viareggio, Evelina la custodiva gelosamente e io non lo avrei rivelato a nessuno, eccetto che, un giorno, ai miei bambini.

Stefania Guidi

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