Editoriali

Giorgia liquida Fratelli d’Italia

All’inizio fu la svolta di Fiuggi di metà anni ’90, il vecchio MSI si trasformò in Alleanza Nazionale ovvero in un partito afascista, gollista nelle intenzioni dichiarate e collettore di un rapporto tra politica e impresa che avrebbe beneficiato del nuovo, selvaggio,  corso berlusconiano in quelle non dichiarate.  Fu la svolta di una organizzazione, speculare a quella dell’autoscioglimento del PCI: congressi dibattuti in sezione, scissione di MSI-fiamma tricolore, celebrazione mediatica del nuovo partito definito postideologico. Per la cronaca Giorgia Meloni aderì ad Alleanza Nazionale che, per trovarsi qualche anno al centro della politica istituzionale, non disse poco. Per bocca del suo primo segretario Gianfranco Fini, ultimo del MSI, affermò infatti che il nuovo partito aderiva ai “valori democratici che il fascismo aveva conculcato”. Una dichiarazione così forte che, con il tempo, permise a Fini, legittimandolo come democratico, di diventare ministro degli esteri senza causare incidenti diplomatici.

Del resto da anni in una parte nello stesso neofascismo, per bocca dello stesso Almirante, esplicitamente definito come stella polare da Giorgia Meloni, si teorizzava il superamento del fascismo storico come precondizione per entrare nel gioco del potere istituzionale. Certamente la svolta di Fiuggi non fu priva di ambiguità, una parte del partito sui territori rimase identitariamente fascista, ma sicuramente rappresentò una realizzazione della linea storica prefigurata da Almirante: superare il fascismo storico per entrare nel pieno gioco del potere politico dal quale il MSI era stato escluso per quasi cinquant’anni. Del resto il fascismo, senza potere, perdeva la sua ragione d’essere e c’è sempre un aspetto del potere, nelle società occidentali, che permette di essere fascisti senza dichiararsi tali.

All’epoca Fiuggi fu evento incrocio tra necessità di organizzazione interna del partito e un rito pubblico che guardava alla società. Ancora, nonostante molto fosse cambiato negli anni ’90, si guardava al modello del partito di massa così come si era sviluppato negli anni del fordismo magari “temperato” nel modello del partito liberale di massa berlusconiano che allora sembrava prender piede. Poi è cambiato tutto, ed è questo il punto, le reti di relazioni sociali face-to-face, territoriali sulle quali si costruiva comunque un partito del genere sono state sostituite, nella formazione del consenso, dai social molto più efficaci e flessibili nell’estrazione di consenso elettorale rispetto all’apparato di partito. E, oltretutto, utili in una situazione nella quale i costi della politica vanno abbattuti, visto che la circolazione della ricchezza nel mondo politico istituzionale ha visto una restrizione della base beneficiaria dei flussi di denaro legati alla politica.

In questo senso almeno due cartelli elettorali,  nei lustri successivi alla svolta di Fiuggi, seppur in senso molto diverso, hanno fatto vedere efficacia e criticità, entro grande capacità di raccogliere consenso, di un modello di costruzione del consenso, legato ai social. Si tratta del M5S di Grillo e della Lega di Matteo Salvini entrambi, in elezioni differenti, capaci di raggiungere livelli di percentuale elettorale ottenuta simile a quella dei maggiori partiti della prima repubblica. Successivamente la rilettura di questo modello, il personaggio “Giorgia” all’interno del cartello elettorale di Fratelli d’Italia, si vuole sia continuazione del modello Fiuggi, ricordato durante la campagna elettore delle politiche 2022, che modello capace di superare le criticità emerse nei precedenti cartelli elettorali basati sui social (che hanno avuto effetti centrifughi e di rigetto).

Ora nel momento in cui “Giorgia”, la presidente del consiglio Giorgia Meloni si presenta sui social con la sua agenda di governo direttamente da sottoporre all’attenzione degli utenti,  e con almeno iniziale successo di accessi, compie due operazioni: cerca di correggere le criticità dei modelli social precedenti, con uno inclusivo genere discussione al caminetto più simile al modello Conte,  e, di fatto, liquida Fratelli d’Italia inteso come partito.

Del resto è proprio il modello social basato sul personaggio “Giorgia” che ha permesso a Fratelli d’Italia di passare da 1 milione e 700 mila voti delle europee del 2019, ancora legata al modello “immagine di partito”,  a oltre 7 milioni e 300 mila alla camera nel 2022, per una percentuale del 26 per cento di voti che oggi, nei sondaggi, viene accreditata vicina al 30 per cento. Siccome in politica comanda chi raccoglie consenso, all’interno del cartello elettorale FdI, comandano i social, e la loro gestione, finché estraggono consenso. E i social qui hanno al centro la figura di Giorgia prima ancora di quella del partito, i temi “Giorgia” piuttosto che quelle strategici, se andiamo a vedere l’iconografia dell’agenda della presidente del consiglio. E qui il problema, come sappiamo dai modelli Grillo e Salvini, ma anche dalla sinistra basata su personaggi da casting, è che se il partito non cresce l’unica alternativa, per restare nel gioco, è rincorrere di tutto nei processi di comunicazione fino ai fisiologici calo di attenzione, rigetto e schianto dei livelli di consenso determinati dai social

La conseguenza politica di tutto questo, nel frattempo è davanti agli occhi: primato della discussione della presidente del consiglio sulle piccole cose (la polemica sul POS ad esempio), vicinanza spettacolo ai piccoli problemi e assenza di strategia politica di lungo corso nel momento in cui il partito è giusto un vivaio per estrarre nuovi personaggi utili a trasmissione del potere FdI piuttosto che un dispositivo di elaborazione di una strategia per salvare un paese malato. Anche questa, versione social, è una realizzazione del pensiero di Almirante visto che si esce, non di poco, dal fascismo storico per entrare in un gioco di potere che lega legittimazione istituzionale e quella via social di chi proviene da destra.

Donald Kurz, un interessante antropologo americano, un ventina di anni fa, all’alba della società come la conosciamo oggi fece uscire un testo, Political Anthropology, di rilettura di temi classici dell’antropologia politica già da lui trattati negli anni ’70: quelli della leadership, della legittimazione dell’autorità e delle regole di successione del potere. Se andiamo a vedere il modello Giorgia rappresenta, volente o nolente, un tentativo di definizione della leadership, e della legittimazione delle autorità, nel quale meccanismi istituzionali e social finiscono per intrecciarsi. Non è un fenomeno nuovo anzi, è un fenomeno consapevolmente successivo ad altri (Grillo, Salvini) con degli elementi correttivi rispetto al passato – inclusivi e amicali – che accetta delle regole di successione del potere che si danno sul piano social. In questo senso la forma partito, più o meno tradizionale, serve a poco se non come strumento di sostegno al funzionamento del nesso potere istituzionale-social che si evidenzia nel comportamento della presidente del consiglio.

Insomma, Giorgia liquida Fratelli d’Italia definendo leadership, legittimazione e modi di successione del potere in autonomia dalla residua forma partito che a suo tempo l’ha espressa. Del resto il compito del governo Meloni è durare con poche risorse, nella diffidenza dei partner europei e con diverse crisi da fronteggiare (energetiche, economiche, belliche e, forse, finanziarie). La liquidazione di Fdi, ufficialmente non avvenuta, è una delle conseguenze della presa d’atto, da parte della presidenza del consiglio, della complessità dei nuovi livelli di potere raggiunti dagli eredi di Giorgio Almirante. I successivi capitoli, di questa storia, sono tutti da scrivere.

Per Codice Rosso, nlp