Soggetti e Potere

Giovani e COVID-19

Da un anno ormai la pandemia da coronavirus COVID-19 e le misure attuate per limitarne la diffusione hanno stravolto le nostre vite.

Se 15 mesi fa ci avessero parlato di virus pandemico, lockdown, coprifuoco, limitazioni delle uscite e della mobilità, avremmo pensato ad un film di fantascienza di cattivo gusto. E invece è tutto vero.

Il paradosso della propensione al rischio

Ad un anno dal primo caso di coronavirus identificato in Italia, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità sono stati 2.569.147 i casi di COVID-19 accertati al 3 febbraio 2021 e 88.165 i decessi ad esso attribuibili.

I casi di coronavirus nella fascia di età 10-19 anni sono stati 217.353 e 9 sono stati i giovani della stessa fascia d’età che sono deceduti a causa del coronavirus.

Per fare un parallelo, i morti nella fascia di età 10-19 anni, per tutte le cause, nel 2018 sono stati 886: di questi, 288 sono deceduti a causa di incidenti stradali.

In una fase dell’esistenza, quella adolescenziale, nella quale la percezione del rischio è ridotta, il senso di invulnerabilità imperversante, e l’assunzione di comportamenti a rischio (risk-taking) elevata, in modo paradossale i giovani si trovano oggi costretti a vivere una forte limitazione delle proprie libertà individuali in nome di un rischio, di un pericolo, che non li tocca direttamente in prima persona.

Le “primevoltità” sospese

“Primavoltità” non è un neologismo coniato da Checco Zalone, ma un termine che lo scrittore premio strega Francesco Piccolo evoca, attribuendolo a Carlo Emilio Gadda, nel suo bellissmo articolo “Tutte le prime volte perdute” pubblicato su La Repubblica del 20 febbraio 2021.

La primavoltità “è una categoria che comprende tutta una serie di eventi irripetibili che anche se si ripeteranno migliaia di volte non saranno più come quella prima volta, che non andrà mai più via dalla memoria.”

Il primo bacio, la prima notte in discoteca, il primo concerto, la prima gita con gli amici, la prima cena con la fidanzata, la prima vacanza con gli amici, il primo rapporto sessuale, ecc. ecc. ecc.. Tutte queste “prime volte” sono ora in stand-by, rinviate a data da definire.

La scuola

Nello stesso articolo sopracitato, Francesco Piccolo osserva:

È un anno quindi che manca a una gigantesca quantità di ragazzi la consuetudine, quella metà di vita quotidiana che è un dovere e uno spazio e un tempo dove accade quasi tutto. Le scuole non sono soltanto dei contenitori di esseri umani molto giovani, di quantità di ormoni scattanti, e di compiti, interrogazioni e spiegazioni. Ma sono dei contenitori di esperienze e di emozioni che prescindono dal programma scolastico.”

“Ecco cosa manca. Manca almeno mezza vita, adesso. E molto di più se si pensa alle conseguenze che quella mezza giornata avrà sull’altra metà, che quella mezza vita avrà sull’altra metà.”

“A scuola accadono molte cose che non riguardano la scuola.

Con la perdita delle lezioni in presenza, quindi, non solo viene meno la qualità e la quantità dell’istruzione, della crescita culturale, ma vengono meno anche i rapporti umani con l’insegnante, con gli amici, con i compagni di classe e di scuola, con i “bidelli”, e si smarrisce quella fondamentale struttura giornaliera che la scuola rappresenta.

La scuola è lo Yin su cui si staglia lo Yang dell’esistenza del giovane.

Le vacanze estive hanno un senso perché costituiscono un’interruzione tra un anno scolastico e l’altro; i fine settimana sono tanto ambiti, perché rappresentano l’obbiettivo settimanale a breve termine; i pomeriggi, sono belli, perché sono “altro” rispetto alle mattine trascorse in classe; e così per i tragitti casa-scuola e scuola-casa, per la ricreazione a metà mattina, e tutto il resto.

Lo sport

Non credo serva stare ad enumerare i vari aspetti positivi di un’attività sportiva per il giovane: lo sport è scuola di vita, è gioco, divertimento, occasione di relazionarsi con i coetanei, con gli allenatori, è benessere, salute fisica, salute mentale, prevenzione, sfida con se stessi, sfida con gli altri, strumento di autoconsapevolezza, valvola di sfogo, ecc. ecc.

D’un botto, per moltissimi giovani tutto questo non c’è più, e se c’è vi è con restrizioni così forti da rendere l’attività sportiva decisamente meno appetibile.

In situazioni ordinarie, si calcola che intorno ai 15 anni generalmente il 70% dei giovani abbandoni l’attività sportiva. Quali saranno i dati post-COVID? Con quali conseguenze?

Il “non giusto” diventa “giusto”

Computer, tablet, cellulari, videogiochi, tv, social, sono stati sdoganati.

Improvvisamente diviene fonte di gioia per il genitore vedere il figlio attivo su questi mezzi, piuttosto che spento, ripiegato su se stesso, sdraiato su un divano o a letto a dormire.

Dalla rigida limitazione del tempo di utilizzo degli “schermi”, siamo passati ad un obbligo di utilizzo di almeno sei ore, meglio se otto, meglio ancora se dieci.

Se molti giovani smaniano di abbandonare la tecnologia per tornare ai rapporti personali, qualche giovane rimarrà impantanato nel loro utilizzo eccessivo.

Un rischio che diviene più consistente è quello degli adescamenti sessuali online; ciò potrebbe accadere in virtù di un triplice meccanismo:

– i bambini trascorrono più tempo sui social;

– gli adulti confinati in casa hanno maggiori richieste pedo-pornografiche;

– l’isolamento rende più difficile un’azione di controllo sul giovane da parte delle persone significative.

Un po’ di dati sugli effetti psicologici della pandemia sui giovani

La pandemia da COVID rappresenta un pericoloso accumulo di fattori di rischio per i problemi di salute mentale di bambini ed adolescenti: questo avviene per la riorganizzazione imposta alla vita familiare, per la paura della morte delle persone care (specialmente di nonni e bisnonni), per la paura delle infezioni da Covid, per la crisi economica, per il distanziamento sociale, per la perdita dei sistemi di supporto familiare, per la scomparsa delle possibilità di evasione nella vita di tutti i giorni, per l’accesso limitato ai servizi sanitari, per la mancanza della funzione stabilizzante esercitata dal gruppo dei pari, degli insegnanti a scuola e delle attività sportive.

Sono già stati condotti numerosi studi sull’impatto della pandemia da COVID (e delle misure per contrastarla) sulla qualità della vita e sulla salute mentale di bambini ed adolescenti.

Diverse indagini condotte in altrettante nazioni (Cina, India, Brasile, Spagna, Italia, Germania) su campioni non-rappresentativi hanno riportato livelli elevati di stress, ansia e depressione nei giovani: questi livelli sono risultati superiori a quelli generalmente riscontrati prima della pandemia.

Il 25 gennaio 2021 è stato pubblicato un articolo di Ravens-Sieberer (dell’Università di Amburgo) e collaboratori su un’indagine condotta tra il 26 maggio e il 10 giugno 2020 su un campione rappresentativo composto da 1586 giovani tedeschi di età compresa tra i 7 ed i 17 anni. Gli autori confrontano questi dati con quelli rilevati nel corso di un’indagine condotta su 1556 soggetti di pari età nel 2017.

Il 70,4% del campione si è definito stressato dalla pandemia.

È stata riportata una bassa Qualità della Vita con riferimento alla salute fisica, psicologica e sociale in ben il 40,2% dei casi, rispetto al 15,3% del periodo precedente alla pandemia.

L’autovalutazione di problemi mentali è del 17,8%, rispetto al precedente 9,9%.

Il livello di ansia generalizzata passa al 24,1%, rispetto al 14,9% precedente.

Il campione tedesco non ha mostrato differenze nel livello di depressione, ma occorre tener conto del fatto che si tratta di una nazione che nei primi mesi del 2020 non ha imposto regole così stringenti come altre nazioni.

Tra i problemi lamentati dal campione di ragazzi tedeschi figurano in modo consistente difficoltà di concentrazione, scarso interesse o capacità di godere delle proprie attività, tristezza, irritabilità, disturbi del sonno e mal di testa.

“Agli zoppi pedate negli stinchi”

Chi è destinato a subire maggiormente le conseguenze negative di questa pandemia? Chi pagherà il prezzo più alto?

La succitata ricerca di Ravens-Sieberer e collaboratori (2021) dimostra come i giovani che hanno genitori con entrate economiche più limitate, che vivono in uno spazio abitativo inferiore ai 20 mq pro capite e che hanno una storia di migrazione, siano coloro che subiscono maggiormente gli effetti negativi dell’attuale situazione.

Da un’indagine commissionata da Save the Children ad Ipsos e svolta su 1000 giovani italiani tra i 14 e i 18 anni tra il 2 ed il 13 dicembre 2020, emerge in modo significativo l’impatto che determinate problematiche assumono rispetto alla possibilità di seguire adeguatamente le lezioni a distanza (DAD): la carenza di strumenti informatici in famiglia, problemi legati alla connessione ad internet o alla copertura di rete, la mancanza di spazi abitativi adeguati a consentire un opportuno isolamento.

La didattica a distanza può quindi ampliare lo iato tra chi riesce a tenere il passo e chi rimane sempre più indietro, con il reale rischio di un aumento degli abbandoni scolastici precoci.

Le inevitabili perdite economiche causeranno maggiori pressioni economiche sulle famiglie che hanno minori entrate, per la mancanza di risparmi.

Inoltre, bambini ed adolescenti con disturbi cronici hanno visto e stanno vedendo la cancellazione e la riduzione degli incontri con il personale di supporto sociosanitario.

Chi ha una disabilità intellettiva può avere difficoltà nel comprendere la situazione attuale.

Chi ha già problemi di salute mentale antecedenti, subisce con maggior veemenza gli effetti stressanti della pandemia.

Per concludere

I giovani posseggono una forte capacità di resilienza, di adattamento e di riadattamento. Questo può farci sperare in importanti possibilità di recupero, per facilitare le quali sarà però necessario il supporto da parte di chi li ha deprivati in modo così significativo.

Alessio Mini

psicologo psicoterapeuta Per Codice Rosso

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