Il Governo Meloni criminalizza la protesta sociale – Sergio Ferrari
In un angolo del ring, Giorgia Meloni e i suoi alleati all’attacco. Nell’altro, le organizzazioni sociali non abbassano la guardia. Un combattimento impari in una Italia governata dall’estrema destra.
Da quando l’alleanza guidata da Fratelli d’Italia si è insediata due anni fa, il 23 ottobre 2022, non ci sono state buone notizie per i settori sociali più emarginati, che hanno visto svanire diritti essenziali e sono diventati anche il principale obiettivo della repressione.
Il governo Meloni ha promosso politiche che favoriscono chiaramente il grande capitale; sta operando tagli significativi all’istruzione e alla sanità pubblica, aggredisce i diritti dei migranti privi di documenti di soggiorno ed ha eliminato il Reddito di Cittadinanza, un sussidio di cui beneficiavano gran parte delle famiglie povere e dei disoccupati.
Allo stesso tempo sta promuovendo una nuova legge repressiva, recentemente approvata alla Camera dei Deputati e in attesa di ratifica al Senato.
Criminalizzare la protesta
La legge 1660 o “legge bavaglio”, che introduce più di venti nuove tipologie di reato e circostanze aggravanti, prevede pene fino a 2 anni di carcere per gli scioperanti e i partecipanti ai blocchi stradali come protesta sociale. Incorpora il concetto di “terrorismo della parola” con possibili pene fino a 6 anni per chi propaganda le lotte sociali. Occupare una casa o un terreno vuoto o mostrare solidarietà con un’occupazione può significare 7 anni di carcere. Qualsiasi tipo di resistenza attiva potrebbe essere punita con una pena di 15 anni e la cosiddetta resistenza passiva con un massimo di 4 anni. Il testo incorpora nuove misure e sanzioni contro gli immigrati senza permesso di soggiorno nel Paese.
“Si cerca di criminalizzare qualsiasi tipo di protesta, di escludere le voci critiche, snaturando così i diritti democratici essenziali”, ha dichiarato Paolo Banci, ex sindacalista e attivista sociale di lunga data nella regione toscana (Rignano sull’Arno) e presidente della sezione locale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI). L’ANPI è oggi una delle più grandi organizzazioni presenti su tutto il territorio nazionale. È stata creata nel giugno 1944 a Roma, quando il Nord era ancora sotto l’occupazione nazifascista. Il 5 aprile 1945 le viene riconosciuto lo status di “Ente Morale”, che le conferisce personalità giuridica, promuovendola, di fatto, ad associazione ufficiale dei partigiani.
Indipendente dai partiti politici, l’ANPI, secondo la sua stessa definizione “rimane in prima linea nella custodia e nell’applicazione dei valori della Costituzione, quindi della democrazia, e nella promozione della memoria di quella grande epoca di conquista della libertà che fu la Resistenza”. (https://www.anpi.it/).
Disorientamento politico, disillusione sociale
Guardare alle elezioni politiche del settembre 2022, in cui Meloni (Fratelli d’Italia) e i suoi alleati (Lega, Forza Italia e i democristiani di Siamo Moderati) hanno ottenuto il 44% dei voti, implica un esercizio attivo di critica alle forze di centro e di sinistra. Queste, con le loro precedenti tiepide politiche di governo, “hanno abbandonato i settori più poveri, hanno facilitato la crescita del malcontento popolare e hanno aperto la porta all’arrivo dell’estrema destra al governo”, ricorda Paolo Banci. Sottolinea che, da allora, l’alleanza tra Meloni e il suo potere economico e mediatico “ha vinto la battaglia culturale, la disputa ideologica e ha messo il popolo sulla difensiva”.
“Hanno fatto promesse di miglioramenti che non hanno mantenuto; hanno attuato alcune politiche che non avevano annunciato in campagna elettorale e hanno imposto, in questo modo, argomenti e discorsi paternalistici, semplicistici e autoritari che hanno colpito e continuano a colpire le forze progressiste nel loro complesso”, aggiunge Banci.
Da parte del movimento delle organizzazioni della società civile e di base, “siamo molto critici nei confronti dei grandi partiti di sinistra e di centro, che non hanno risposto alle aspettative della gente e hanno promosso lo scenario attuale. Pensavano che il buon governo sarebbe stato sufficiente, ma la realtà ha dimostrato il contrario, con la diretta conseguenza che il popolo italiano ha perso la speranza di un cambiamento e ha optato per un’alternativa conservatrice. Oggi non esiste una vera alternativa progressista al potere”, sottolinea il militante dell’ANPI di Rignano sull’Arno.
Per Banci, che nel 2009 con un gruppo di compagni ha ricostruito e rilanciato l’associazione nel Comune della Toscana centrale, sebbene l’attuale situazione politica possa apparire pessimistica per i settori popolari, “nulla è definitivo: il movimento delle organizzazioni della società civile e di base non è morto e continuano ad apparire alcuni segnali di speranza per il futuro”.
La sua analisi comprende non solo una grande varietà di iniziative sociali di base su tutto il territorio – molte delle quali promosse da giovani – ma anche alcune proposte politiche importanti.
Esiste anche l’alba
Paolo Banci cita, ad esempio, il grande fronte associativo che in Italia manifesta a favore della fine dell’aggressione a Gaza, che si impegna per una soluzione pacifica del conflitto e che promuove il riconoscimento ufficiale dello Stato palestinese. “I partiti di centro e di sinistra fanno parte di questo fronte, ma non hanno una voce essenziale”, sottolinea.
In una logica simile, il militante dell’ANPI e attivista della solidarietà internazionale rivendica l’importante mobilitazione degli ultimi mesi a favore di un referendum contro la nuova legge sull’autonomia differenziata, promossa dalla Lega (ex Lega Nord). Banci spiega che sono state raccolte un milione e trecento mila firme, tra cui molte digitali, soprattutto da parte dei giovani.
Si tratta di un numero superiore al doppio rispetto a quello richiesto dalla legge per arrivare al voto. E anche se i partiti di centro e di sinistra l’hanno sostenuta, non svolgono in questa iniziativa il ruolo di guida che ha il movimento socio-culturale e sindacale”.
Ora si prevede che nei prossimi mesi la Corte costituzionale riconosca l’incostituzionalità della legge e apra così la porta a un voto popolare, che sarà, secondo l’attivista sociale, “una nuova e grande sfida per raggiungere una maggioranza alle urne”.
Secondo le numerose associazioni e organizzazioni sociali e culturali che hanno promosso il Referendum, la legge sull’autonomia differenziata deve essere abrogata perché “dividerà l’italia in tante piccole patrie, aumenterà le disparità territoriali e aggraverà le già insopportabili disuguaglianze sociali, a danno dell’intera collettività e, in particolare, di lavoratori e lavoratrici, pensionati e pensionate, giovani e donne”.
Privilegiando il ricco Nord Italia, essenzialmente a scapito del Sud meno sviluppato, questa legge “divide il Paese e danneggia sia il Sud che il Nord; impoverisce la forza lavoro; mina le politiche ambientali; colpisce l’istruzione pubblica e la sanità; penalizza i Comuni e le aree interne; complica la vita delle imprese e ostacola lo sviluppo nazionale” (https://referendumautonomiadifferenziata.com/).
La resistenza a questa legge, secondo Paolo Banci, è di notevole importanza, in quanto costituisce il primo strumento giuridico della grande riforma conservatrice promossa dall’attuale alleanza di governo. Se l’Autonomia Differenziata passerà senza opposizione, sarà seguita dalla legge Meloni per concentrare il potere attraverso l’elezione diretta del primo ministro – indebolendo tutti gli altri poteri dello Stato – e anche dalla legge per ristrutturare la magistratura, un’iniziativa reazionaria a cui Forza Italia è principalmente interessata.
Sebbene il futuro politico dell’Italia sia pieno di incertezze e sfide, “noi continuiamo a scommettere su tutta questa mobilitazione dal basso”, riflette Paolo Banci. Certezze concrete: “è molto importante che organizzazioni come la nostra, l’ANPI, abbia ormai più di 150.000 iscritti in tutto il Paese – più di quelli affiliati ad alcuni dei maggiori partiti – e che molti giovani che non vogliono iscriversi a un partito politico chiedano costantemente di entrare nella nostra associazione”.
Non meno significativa è anche la rinascita della protesta contro la guerra e la militarizzazione dei territori e della scuola. Tra queste, ad esempio, le proteste nella città di Firenze contro l’iniziativa del governo di installare nell’area il Comando NATO (Organizzazione del Trattato Nord Atlantico) per il Sud-Est Europa, che si aggiungerebbe alle numerose basi USA e NATO già presenti sul territorio italiano.
Indubbiamente, conclude Banci, queste piattaforme, reti e mobilitazioni “potrebbero essere il punto di partenza per la costruzione di un’alternativa futura e affidabile all’attuale governo, che restituisca ai cittadini la speranza e la fiducia in un vero progetto di cambiamento”. Un laboratorio politico, una scommessa di speranza che, come un lievito, deve continuare a crescere e moltiplicarsi”.
Sergio Ferrari di ritorno dall’Italia