La scuola virtuale di Lucignolo
“Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia. Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”. (Cit. Don Milani)
E’ il tempo sospeso dell’attesa quello che caratterizza la scuola italiana al epoca del covid-19. La modalità tradizionale della presenza in classe degli alunni e dei docenti, sembra ormai un’opzione troppo rischiosa per essere attuata. Troppa è la paura del contagio e come vuole la saggia tradizione popolare, le scelte prese sotto temperie emotive, risultano sempre le peggiori. L’ipotesi più probabile, a settembre, sembra quella di continuare con la didattica a distanza (DAD), alternandola con la lezione frontale in classe a piccoli gruppi. Ma come spesso avviene in Italia le soluzioni tampone o emergenziali, da transitorie diventano definitive, un antico vizio che mai ha lasciato la presa sulla politica nostrale. La nuova didattica on-line prende maggior forza con il decreto “Cura Italia”che stanzia 85 milioni di euro per il potenziamento delle attività di didattica a distanza e sostiene la formazione dei docenti, riguardo all’uso delle nuove metodologie (sostegno mai effettuato). A supporto dei docenti, sono stati assunti, nella scuola primaria e secondaria di I grado che ne era sprovvista, degli assistenti tecnici fino a fine giugno.
In pratica, buona parte delle risorse stanziante, sono spese per l’acquisto di dispositivi informatici da dare in comodato d’uso alle famiglie e agli studenti. Lo sforzo richiesto ai docenti che in pochissimo tempo hanno dovuto adattarsi all’uso della nuova metodologia, è stato notevole anche se non ha riguardato tutto il corpo docente. Il motivo di questa anomalia sta nel fatto che il numero di ore che il ministero ha indicato per la formazione a distanza, è di tre per giorno, per cui il primo effetto concreto è quello di una fortissima riduzione dell’offerta formativa e l’esclusione di molte materie presenti nel piano di studio curricolare. Ma le aporie di tale organizzazione non finiscono qui. Passare da 18 ore settimanale per materia a tre ore per le materie ritenute più importanti, significa traslare nelle scuole superiori, dalle 30 ore settimanali alle 15 ore, a cui si associa la difficoltà di poter effettuare compiti scritti e interrogazioni. Anche la suddivisione della formazione in sincrona (lezioni on-line in tempo reale o registrate) e asincrona (con l’invio di materiale in file PDF) non permette di mantenere lo stesso livello di qualità della lezione tradizionale e di guadagnare tempo. Quello che più salta agli occhi, è che la relazione discente-docente, nella virtualizzazione, va in pratica a farsi friggere, danneggiando il rapporto che lega maestro e allievo. I rapporti umani tipici del gruppo classe, sono messi all’angolo dall’isolamento sociale che si crea tra i vari alunni, compromettendo pertanto le relazioni amicali. Occorre rilevare l’impossibilità di poter differenziare la didattica in relazione alla tipologia e ai bisogni educativi dell’alunno, alle sue difficoltà di apprendimento, che spesso scaturiscono come conseguenza dello stato sociale e della fascia di reddito della sua famiglia. Un esempio basti per tutti: nel caso di compito d’italiano o di storia, all’alunno è richiesta una competenza nel trattamento dei testi che in buona parte non possiede e ciò produce errori di formattazione del testo, refusi, errori di punteggiatura e di sintassi che nel maggior parte dei casi sminuisce l’elaborato obbligando il docente ad un doppio lavoro di correzione. In pratica con tale tipologia di insegnamento si allarga la forbice della discriminazione culturale, economica e sociale tra le classi del paese. Gli alunni diversamente abili (259.757), i bambini in età prescolare (infanzia 901.052), sono di fatto espulsi dalla formazione DAD in attesa che tutto ritorni alla normalità, con tutte le ricadute negative del caso a livello educativo e sociale. Inoltre, tutto il carico grava sulle spalle delle famiglie. C’è anche da rilevare che una bella fetta di ragazzi in età scolare è priva dei mezzi necessari alla connessione on-line (circa un milione e mezzo su una popolazione di oltre otto milione di alunni). L’UNESCO ha diramato un comunicato in cui sottolinea negativamente la riduzione dei tempi di apprendimento, aggravando le diseguaglianze educative. Insomma la “#lascuolanonsiferma “ ad una disamina più attenta sembra un formaggio groviera scadente e pieno di buchi, al di là delle celebrazioni mediatiche che ce lo vendono come un buon prodotto frutto del parto di grandi “Soloni”. Per quanto invece riguarda il tema infrastrutturale, l’epidemia ha messo in luce le diverse problematiche che affliggono la rete di connessione italiana: lenta, ingolfata, disomogenea territorialmente e ancora molto indietro sulla fibra. Le piattaforme digitali dedicate alla formazione a distanza, utilizzate da un notevole numero di docenti e scuole, sono per buona parte made USA (Google, Microsoft) pur essendoci anche buone piattaforme made in Italy o Open source come Moodle. Ma sull’ utilizzo degli applicativi, programmi, piattaforme, serve mettere in rilievo che un eventuale passaggio strutturale a sistemi open source o freeware, tipo linux, permetterebbe un notevole risparmio di risorse economiche da dirottare nelle scuola italiana che gode solo del 3,6% del PIL contro il 5% degli altri stati europei. Ma allora viene da dire, cosa si poteva fare di meglio? Si potevano lasciare le scuole aperte? Certamente no! Ma si potrebbe recuperare due mesi persi facendo partire la scuola dal primo di settembre e, pur promuovendo tutti, pensare a corsi di integrazione e potenziamento nel mese di luglio. Inoltre occorrerebbe pensare alla formazione di nuove classi introducendo il limite max di 20 alunni per classe, da abbattere ulteriormente in presenza di alunni diversamente abili o di aule piccole. Ciò comporta un potenziamento degli organici sia docenti che ATA. La didattica on-line dovrebbe essere utilizzata per affiancare e potenziare quella curricolare, senza abbattimenti orari, introducendo anche nuove discipline o reintroducendo materie utili alla formazione. Ma tutto questo richiede investimenti e di quelli non se ne vede che le briciole.
La scuola continua ad essere quella di sempre, povera e malandata, anche se ha cambiato d’abito e si è arricchita di fronzoli informatici hardware e software (LIM, Tablet ecc). Basti considerare tra le mote cose alla prevalenza dell’atavico voto che appiattisce su una fredda base numerica tutti gli studenti con o senza difficoltà, alle classi “pollaio”, alla forte riduzione degli organici (ATA e docenti), all’accorpamento delle classi di concorso, alla riduzione del monte ore didattico, alla stesura di programmi e obbiettivi formativi fatta escludendo la comunità scolastica ecc… ecco alcuni motivi che non permettono alla scuola di formare e funzionare come si deve. A riprova di quanto fin qui sostenuto basti il riferimento al successo scolastico che si registra in uscita dalle scuole medie dove su 100 promossi la sufficienza piena in lingua italiana riguarda soltanto il 65,5% degli alunni, mentre per la matematica il dato è fermo al 59,9% (dati invalsi 2018). Infine la scuola, come sottolinea l’Istat, ha un dato “particolarmente preoccupante” che è quello relativo all’uscita precoce dei ragazzi tra i 18 e i 24 dal sistema di istruzione e formazione che risulta del 14% “. Si tratta di ragazzi che hanno lasciato la scuola dopo aver al massimo raggiunto la licenza media. Sembra dunque che la scuola di lucignolo sia al di fuori dall’articolo 3 co2 della nostra costituzione.
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
{Dattero}
foto: da Pexel-pixabay