Le cronache di Leg Horn un incubo dietro l’angolo – Recensione
Per parlare di questo libro di Luca Baroncini in arte “Kremo”, scrittore Milanese di origine Livornese o viceversa, ho sin dall’inizio una difficoltà non da poco: vorrei dire che si tratta dell’ultimo libro scritto da questo eclettico scrittore, musicista, agitatore culturale e politico, docente e mille altre cose; ma data la sua frenetica attività, ho paura che la recensione arrivi molto più tardi di una possibile altra opera che l’ameno Baroncini possa sfornare a sorpresa del povero e lento recensore. Ma, bando alle facezie, è proprio il caso di dire rapidamente qualche parola su questa opera del sullodato Kremo, che è una narrazione sicuramente includibile nel campo della distopia, ma – ahi noi – di una distopia talmente vicina al reale da avere inquietato un lettore (io) che si trova ad abitare nel luogo dove questa distopia è ambientata, per l’appunto Livorno, qui evocata nel titolo “Le cronache di Leg Horn”, due termini che, se li mettete insieme, danno realmente il nome inglese della città di Livorno, città di cui condivido la cittadinanza con l’autore. Il libro è uscito per i tipi delle Edizioni la Nuova Carne, una bella banda di zuzzurelloni che perseguono un’idea piuttosto estrema di letteratura di genere, a cui il Baroncini sì accoda – penso volentieri – nella sua opera: questo romanzo, che è tale per coerenza interna, nonostante sia composto da una serie di episodi (esattamente 10) tutti autoconclusivi, racconta le storie di una città dove in un futuro prossimo non specista convivono allegramente esseri umani, insetti, molluschi e altre simpatiche specie animali, come anche gli anfibi, che sono all’inizio delle storie la razza, diciamo così, dominante. Soprattutto tra le prime ci sono delle storie legate alla mitologia propria della città contemporanea scelta come modello, facilmente riconoscibile sebbene trasfigurata dal disfacimento distopico e ribattezzata nei luoghi con eteronomi sovente spassosi: ad esempio nel libro compaiono personaggi che ancora adesso fanno parte dell’immaginario Popolare, come Johnny Paranza, nella realtà odierna un venditore di fritto dal look fricchettone, che nel primo racconto per una specie di contrappasso diventa un astice coi dread, continuando però a vendere fritto come nella realtà, insomma dando da mangiare nel libro dei suoi parenti di specie; oppure troviamo anche un’inquietantissima storia di sdoppiamento di personalità che evoca un recente mistero della storia popolare di Livorno, tirando in ballo il popolarissimo personaggio di Zeb, locale graffitaro che è scomparso nel nulla oramai diversi anni fa e che aveva allietato per tanti anni i muri della città toscana con una serie di disegnini semplici e divertenti, ma soprattutto di curiose riflessioni di varie umanità espresse in frasi rimaste proverbiali.
Un personaggio ricorrente del libro è invece Glauco Moncherini, poliziotto umano la cui figura direi deve molto invece a un altro genere, quello del Noir, che si combina benissimo con la distopia, peraltro. Il Moncherini, che viene trasferito a Leg Horn dalla polizia della Palude, si trova a risolvere dei casi intricati, soprattutto per le loro complicazioni interspeciste, a volte ci riesce, a volte lui e gli altri personaggi devono abdicare di fronte alla dura realtà. Un tratto curioso delle avventure di Moncherini sono anche gli incroci sociali, amorosi e anche sessuali tra le varie specie, descritte con precisione a volte entomologica, come è proprio il caso di dire. Non starò qui, ovviamente, a riassumere tutte e dieci le storie, perché è necessario che il lettore prenda il libro e se ne faccia un’idea più approfondita da solo; aggiungerò solo che nell’andare avanti della lettura, che si fa via via secondo me più interessante, mi sono trovato a provare una curiosissima e per niente piacevole sensazione, quella già sopra adombrata che la Livorno distopica, malsana, marcia e quasi invivibile del libro non mi sia apparsa così distante dalla realtà contemporanea della mia città natale, in cui adesso vivo, come vive l’autore: fatto questo che non mi ha reso certo di buon umore; ciò ovviamente non è imputabile alla lettura del libro, che anzi lo può sicuramente rivendicare come suo punto di forza, tale capacità di leggere la realtà attraverso la sua trasfigurazione tramite un genere così particolare come la fantascienza distopica.
Si giunge quindi a questo risultato senza che la realtà nulla ne perda, ma ne guadagna in quanto a disvelamento di una situazione ormai ad un passo dell’insostenibilità, sebbene in pochi purtroppo se ne rendano conto in maniera responsabile.
Ma credo non sia così solo la mia, la nostra città, ma che tale disfacimento riguardi un po’ tutto il nostro disgraziato paese, in preda a una divisione così devastante nei propri corpi sociali, tale come quella che possono provare delle specie che sono diverse, costrette a tentare di andare d’accordo per condividere un ambiente urbano e naturale sempre più malsano, al limite ormai del punto di non ritorno, come appunto quello della distopica Leg Horn.
Per Codice Rosso Falco Ranuli