L’estate più lunga del mondo in via Giordano Bruno
A Livorno a partire dalla primavera abbiamo assistito a una campagna di comunicazione nella quale le esigenze del marketing turistico e dello spettacolo si sono sovrapposte a quelle della ricerca del consenso da parte dell’amministrazione comunale. Niente di sconvolgente, una amministrazione cerca sempre di capitalizzare consenso, ma, come al solito, il rischio è che accada inevitabilmente qualcosa che trasforma in parodia i tentativi di farsi un’immagine.
Ora, che Livorno abbia bisogno di potenziare l’economia dello spettacolo, in un territorio dove è rimasto praticamente il solo lavoro portuale, è chiaro a tutti. Meno chiaro è che senza un complesso e robusto piano di marketing integrato – come per la provincia di Mantova, i comuni di Arezzo e Assisi nel recente passato – gli sforzi legati alla costruzione dell’immagine del territorio sono dettati soprattutto dall’improvvisazione. Come è evidente che senza la costruzione di criteri statistici di rilevazione dei progressi, o meno, di una campagna i “risultati” del marketing territoriale sono consegnati alla propaganda che a Livorno è il solito, culturalmente povero, corto circuito tra stampa locale, siti, social e televisioni strutturatosi attorno alla figura del primo cittadino.
Puntalmente è andata così anche quest’estate: screenshot trionfali, slideshow celebrativi, interviste stampa dove si dichiarava che si era rafforzata l’immagine della città, aspetto invece rilevabile solo con qualche seria indagine di gradimento, sindaco onnipresente in ogni dichiarazione di successo delle iniziative. Insomma, il marketing turistico livornese, in una stagione concorrenziale come la prima del turismo di massa del dopo Covid, è sembrato piuttosto una campagna di comunicazione della città istituzionale su se stessa nella quale qualche fritto misto fotografato meglio rispetto al passato è stato elevato a certezza di sviluppo economico futuro.
L’estate più lunga del mondo in via Giordano Bruno ci mostra invece un altro genere d’immagini: quello di un inesorabile cambiamento di economia e vivere sociale nel nostro territorio che rischia continuamente di sovrapporsi, fino a cancellarlo, all’effetto marketing della città che rinasce. Finisce così per imporsi la realtà di un territorio che vive fenomeni abbondantemente già visti altrove nel nostro paese e non solo: quelli del ritiro del capitale, della sua economia, ma anche delle sue dinamiche disciplinari e di controllo, dallo spazio urbano. Si crea così un vuoto fatto di economia informale, di cui la droga è core business, mentre l’ordine, quando c’è, viene via via imposto dalle esigenze delle bande. Dalle testimonianze di via Giordano Bruno, qualunque sia la dinamica che ha portato alla morte del ventinovenne Denny, esce questo tipo di territorio che convive, in questo modo, tra la propria disgregazione e le promesse di essere fatto oggetto d’interventi di un professionismo della socialità (assistenti sociali, operatori dello spettacolo etc) che preludono, nel migliore dei casi, a una sorta di convalescenza permanente.
Certo turismo e degrado convivono, si pensi al caso estremo del Brasile fatto di flussi turistici che coabitano con una guerra tra bande che in un anno, prima del Covid, aveva provocato più morti della guerra civile in Bosnia. Solo che da noi, dove la parola degrado ha una venatura infinitamente meno pericolosa, questa coabitazione non tiene: nel vivere quotidiano e sui social e quindi dell’economia.
Per arrivare alla situazione attuale di via Giordano Bruno, fatta di turnover degli abitanti, sovrapposizione di disagio e d’imposizione, brutale, delle esigenze dell’economia informale naturalmente ci sono voluti anni. Ci hanno accompagnato alla situazione odierna l’invecchiamento demografico della città, la lunga crisi dello stato sociale della sinistra locale, accelerata dai tagli nazionali degli anni ‘10, e quella economica di Livorno che non è mai veramente uscita dalle fratture nella produzione di ricchezza imposte dalle grandi crisi più recenti (2008, 2011-12, covid). Situazione nella quale, in zone come via Giordano Bruno, il vivere sociale non è solo contraddistinto da fenomeni di pauperizzazione, comunque in aumento in tutto il paese, ma anche da aggregazioni di bande attorno all’economia microfisica delle droghe. Bande che, ovviamente, tendono a imporre le loro modalità comportamentali sul territorio. Tanto più Livorno ha visto ritrarsi l’economia, chiamiamola, formale dal territorio tanto più l’economia informale, nella quale quella delle droghe è egemone, si è sviluppata generando un protagonismo di soggetti impongono la propria presenza in quartieri invecchiati e impoveriti attirando i consumatori tra le generazioni più giovani del nostro territorio.
Non sorprende quindi che le istituzioni, a loro volta indebolite da ristrutturazioni e tagli, perdano controllo sul territorio affermando la loro esistenza giusto nei blitz, a uso e consumo dei media, che controllano il campo per un pomeriggio.
Al di là di ogni considerazione soggettiva l’indice di questa situazione sta nel primo posto di Livorno in Italia nella speciale classifica di denunce legati a furti in esercizi commerciali. È un indicatore grave perché gli esercizi commerciali, proprio come attività economica, se sotto stress mostrano tutta la debolezza istituzionale di un territorio incapace di difenderli. Oltretutto la povertà, e la debolezza sociale, di un territorio si vedono nell’assalto a quelli che sono, in quanto esercizi commerciali, i presidi di prossimità di un minimo di ricchezza. Insomma, nell’incontro tra istituzioni indebolite e società che si dà a fenomeni di predazione per sopravvivere, Livorno ha perso il controllo del proprio territorio. Recuperarlo sarà il lavoro quasi di una generazione, se cominciato bene oggi, sempre se a qualcuno interessa la realtà.
In questa situazione è inutile perdersi a fare polemica con un’amministrazione comunale che, oggettivamente, e soggettivamente, non è strutturata per affrontare problemi di questa portata. Bisogna poi pensare a far capire che la mitologia dell’occupazione militare non risolve i problemi, che non svaniscono con le pantere della polizia e che, dopo questa giunta, Livorno deve strutturarsi per dare un futuro alle proprie periferie e quindi a sé stessa. Allo stesso tempo ciò che resta della sinistra dovrebbe anche fare il favore di uscire dalle retoriche dell’assistenza, che al massimo generano qualche assunzione precaria per precari servizi alla persona in zone di rischio. Livorno ha bisogno di quartieri che camminano da soli, non di figure di accompagnamento in un dolore senza fine. Certo c’è chi pensa che costruendo qualche casa popolare, ristrutturando qualche muro le cose si risolvono. Sulla stampa locale al momento dell’inaugurazione, con le foto di rito e i servizi di tv concettualmente vecchie di quaranta anni, si risolvono di sicuro.
Livorno, nel momento in cui l’economia informale si prende porzioni del suo territorio, invecchia e perde popolazione. È evidente che fino a che perdura questo fenomeno, che va monitorato con strumenti straordinari, tutte le misure prese (dalle ristrutturazioni degli immobili e dall’arredo urbano all’assunzione di figure di assistenza) finiscono inevitabilmente per essere inghiottite e dissolte dalle esigenze, e dai personaggi, dell’economia informale. La questione, quindi, è invertire la tendenza: attivare una economia formale che disgreghi quella informale attiri popolazione giovane aprendo alle innovazioni. Il liberismo non è in grado di risanare i territori, la politica si, se sa lavorare.
Quello che Livorno necessita è un piano periferie originale, costruito localmente, organico, differenziato per zone della città, che riunisca competenze e definisca scopi, pianificazione, fund raising e implementazione nell’obiettivo storico di sostituire l’egemonia dell’economia informale dai nostri quartieri con un nuovo livello di economia formale. Solo la capacità di lavorare su questo obiettivo storico, giorno per giorno, toglie spazio alla disgregazione di Livorno. Già perché non si tratta di aspettare una generazione per risolvere i problemi ma di cominciare una battaglia difficile, giorno dopo giorno, con politiche sensate.
È, va ripetuto, la sfida di una generazione che va saputa far partire. Il resto va lasciato agli ultimi colpi di figuranti della politica che appaiono in più inaugurazioni al giorno, ad assessori che affermano di aver fatto il loro compitino mentre tutto crolla tra gli applausi e le giustificazioni di qualche ruffiano. Il futuro di Livorno abita altrove, rispetto a queste persone, questo almeno è sicuro.
Per Codice Rosso, nlp