Oltre il virus: dalla città del 900 alla città di TikTok – 5 video per capire
Siamo e viviamo le città da molto tempo,
Siamo parte di un processo storico che viene da lontano e questo virus, indefinito e indefinibile, ci ricorda che siamo anche parte provvisoria, illusoria, soggettiva, parziale di questo divenire.
Le nostre città derivano da grandi trasformazioni economiche, sociali, antropologiche e strutturali che sono diventate e diventeranno, senza interruzione, tempo, spazio, azione, pensiero, corpo e linguaggio. Tutto quello che stiamo vivendo come vita, essere, lavoro, sogno, futuro, lo stesso virus che ormai è diventato una parte costitutiva del nostro mondo, ha bisogno necessariamente di un nuovo progetto del nostro modo di essere insieme, di pensare e di condividere, spazi, tempi e relazioni.
È necessario tracciare una linea, un filo rosso tra ciò che siamo stati, le città del passato, la loro crescita, la loro complessa trasformazione, le auto, la viabilità, i grattacieli, i condomini, le piazze, i quartieri, quei luoghi non luoghi (Marc Augè) dove le relazioni ormai non esistono più, i centri commerciali, gli aeroporti, le autostrade e quello che le nostre città potranno mai essere o diventare.
Forse dovremmo partire dalla Parigi della Grande Esposizione che si tenne nella Capitale Francese dal 14 aprile al 10 novembre del 1900 dove furono messi in mostra le più innovative scoperte nel campo della scienza e della tecnica.
Ma preferiamo iniziare da quelle città che hanno profondamente modificato il nostro modo di essere e di vivere la vita quotidiana.
L’auto e la città
L’automobile dopo essere stata considerata oggetto di sviluppo, mercato, conquista di libertà, tecnica applicata al mondo reale, nucleo centrale del fordismo e del post fordismo, decennio dopo decennio, si è trasformata in una parte costitutiva del nostro modo di vivere e di muoverci, dissipatrice di risorse energetiche e responsabile di inquinamento e di disastri ambientali, anche a migliaia di chilometri di distanza. Pensiamo alle sanguinose guerre petrolifere degli ultimi decenni o ai grandi pozzi che hanno devastato intere popolazioni e villaggi, dove si può uscire dalla propria tenda e scivolare in una macchia di petrolio.
Le nostre stesse città sono diventate dei contenitori di auto e di progetti, parcheggi, varianti e quartieri residenziali pensati in nome dell’auto. Come diceva Moravia, 60 anni fa, “Roma è diventata un garage”.
Pensare al futuro in relazione al nostro passato significa che è necessario anticipare pensieri, riflessioni, politiche e sogni per un mondo reale più vivibile e umano.
Forse questo video della San Francisco del 1906 ci può far riflettere su come le auto stavano invadendo le nostre città e su cosa già si poteva intravedere, un secolo fa, in una città “del futuro”.
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Il capitale e la città
“Monete e città sono immerse ad un tempo nella quotidianità più immemorabile e nella modernità più recente. Città e moneta sono ad un tempo motori e indicatori.”
(Fernand Braudel)
In misura sempre maggiore la dinamica e la politica del capitalismo sono influenzate dalla perenne ricerca di territori favorevoli alla produzione e all’assorbimento delle eccedenze di capitale (David Harvey). Tutto, nell’ottica del capitale, deve essere messo a regime: merci, lavoro salariato, moneta, finanziamenti pubblici, geografia e sostenibilità dei territori e di interi quartieri, case, strade, fognature e spazi cittadini di ogni ordine di grandezza. La forza lavoro, lo spazio ed il tempo della vita deve essere disciplinato alla legge del capitale. “La società non esiste!” (M. Thatcher). E tanto meno le città, il loro sviluppo ineguale e caotico e le loro crisi di natura sociale, culturale e relazionale. Il consumismo sfrenato temuto da Pasolini e la società dello spettacolo delineata da Debord hanno trasformato il piano sovrastrutturale dove il capitale ha potuto riprodursi e invadere ogni secondo della nostra vita quotidiana, anche al di fuori dell’attività lavorativa.
Dopo le guerre economiche e dopo il cosiddetto trentennio d’oro, se mai sia esistito nel ristretto spazio occidentale, stiamo vedendo le macerie e le barbarie che si stanno moltiplicando in termini di disoccupazione di massa, degrado sociale e culturale, inquinamento atmosferico e acustico, pessima qualità della vita, risposte fallimentari rispetto alla pandemia in corso. Nelle grandi città occidentali e nelle nuove metropoli orientali le nuove generazioni non riescono più a giocare, crescere, capire e infine cambiare il proprio ambiente vitale.
Nel video successivo, con il sottofondo della musica dei Neu, immagini e spazi di vita cittadina del 900.
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Le città del futuro.
Nel 2009 il musicista inglese Leyland Kirby ha inciso “Sadly, the Future is No Longer What it Was”. Nello stesso anno lo scrittore e blogger Mark Fisher scriveva “Realismo capitalista”.
Entrambi, nell’Inghilterra che qualche anno più tardi voterà per la Brexit, non avevano molta fiducia nel futuro. Ormai il famoso “There is no alternative” è stato affermato, condiviso e moltiplicato sia dalle forze neo liberali sia da quelle che dovevano avversare questo processo; il capitale ormai è inconscio collettivo introiettato ed è “più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo” ( M. Fisher). Nei nostri spazi reali e digitali soffriamo di mancanza di alternative, sogni, progetti di una reale trasformazione del tessuto e della vita cittadina: nelle nostre città sembra non esserci traccia di futuro.
Se da una parte possiamo parlare di mancanza di futuro in termini di aspettative e sogni dall’altra abbiamo un eccesso di futuro per alcuni casi di città già costruite, almeno in alcuni quartieri, come Hong Kong o Dubai, o di progetti di smart city cinesi dove si fondono gli aspetti della sicurezza personale, dell’ecologia e del controllo sociale: rilevatori di ogni genere, videocamere di sorveglianza e riconoscimenti facciali dove i cinesi ormai sono all’avanguardia. Il progetto “occhi acuti” del governo cinese rappresenta tutto un programma specializzato a controllare visi, movimenti, assembramenti e discorsi di ogni singola persona. La smart city delle smart city deve essere “verde e intelligente”, ma, nel suo libro “ Red Mirror” Pieranni si domanda a quale prezzo politico e culturale? E soprattutto chi potrà permettersi città di questo livello tecnologico e ambientale? Quanti saranno gli esclusi?
Qui Hong Kong sembra già realizzare i sogni letterari di Philip Dick o se preferiamo di Blade Runner…
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La città di TikTok
Il linguaggio, le categorie e gli strumenti del 900 non sono però sufficienti per comprendere il fenomeno delle città attuali. Oltre le città del capitale e le città del futuro siamo di fronte ad una serie di spazi virtuali come quelli delle applicazioni, dei social , dei videogiochi, EA Sports che costituiscono e dettano il ritmo e il tessuto della vita quotidiana di una città. A partire dagli anni 80, con un’accelerazione forte negli anni 90 e un’esplosione decisiva negli ultimi 10 anni, con l’ausilio di nuove tecnologie, social e applicazioni, i videogiochi sono diventati una parte costitutiva dell’esperienza delle nuove generazioni. Se non esiste più il futuro di un tempo, allora non esiste più il gioco di una volta che permetteva di crescere, conoscere e controllare una città nel senso delineato da Colin Ward nel suo libro “Il Bambino e la Città”.
Il gioco è elemento legato e sorretto da un’economia reale che sviluppa miliardi di dollari, tecnologie invasive e modelli di riferimento (“Un game designer crea un’esperienza” (Salen e Zimmerman – Rules of play”). Il gioco diventa spettacolo a tutti gli effetti e le aziende per catturare spettatori e sponsor devono offrire un’esperienza sempre varia e fresca. In questo senso Matteo Lupetti ci dice “eSports nasce per essere sia gioco sia spettacolo ed è costantemente piegato alle necessità del suo essere spettacolo” Il gioco, nei videogiochi come nei social come Instagram o TitTok diventa anche droga. La dipendenza da videogioco e l’ansia dei like sono in aumento in tutti i paesi, soprattutto tra i giovani (basti pensare al fenomeno dei ragazzi che non escono più di casa e che non interrompono il gioco nemmeno per mangiare..). La pandemia in corso non ha fatto altro che aumentare un fenomeno già in corso da anni, modificando ulteriormente la geografia, i tempi e gli spazi delle nostre città.
“Dancing in my room” è una canzone del Rapper canadese 347 Aidan dove tutto si può svolgere in una stanza, danzare, baciare, sognare. Ma questa musica sembra nata per i sottofondi musicali di TikTok, come nel caso della Tik Toker Bella Poarch che, in soli diciassette secondi si sveglia, fa ginnastica, balla e gioca con il suo pupazzetto, riscuotendo cinque milioni e mezzo di visualizzazioni in un solo pomeriggio. In quei pochi secondi il tempo della città si trasforma in un tempo interiore, chiuso, potente, pervasivo, algoritmo puro controllato da un potere che forse mai è stato così profondo e invasivo. Nella battaglia che si giocherà per l’accesso alla comunicazione, all’informazione e alla conoscenza sarà bene tenerne conto.
Qui i 17 secondi:
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La natura si riprenderà la vita
Se questa pandemia ci potrà mai insegnare qualcosa è che la nostra società, il nostro modo di produzione, il sistema neoliberista, la diseguaglianza devastante, il nostro rapporto con la scienza, la tecnologia e soprattutto la natura devono essere profondamente e radicalmente cambiati. Forse dovremmo capire che di questa specie sanguinosa, vile e venale la terra non ha bisogno; di noi la natura farebbe volentieri a meno. Pensiamo agli uccelli migratori, alle loro ali potenti e naturali, all’aria che respirano e a quelle pause necessarie per recuperare forze e energie. Di quei voli vitali, semplici e sofferti non abbiamo capito il senso, il tempo, le aperture e la vita reale che rappresentano. Le nostre città interiori e tutto il nostro linguaggio, le nostre metropoli o le smart city del futuro, l’Occidente e quel che ne rimane, l’Oriente che ormai segue inesorabilmente la parabola dell’economia dello sfruttamento, i castelli del passato e i castelli di carta non sono niente di fronte al futuro, alla vita vera e ai sogni di quelle città a venire che ci aspettano da troppo tempo ormai. Forse solo volando via da queste città sfruttate, chiuse in se stesse, legate a senso unico al capitale, all’economico e allo sfruttamento, lavoro e vite rubate oltre ogni limite e progettando altri luoghi, tempi e relazioni potremmo generare davvero le città del futuro,
Volare come loro:
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“Quello che è rimasto,
quello che resiste,
là sotto, tu lo vedi,
airone, sotto le montagne di macerie,
dentro i crateri delle bombe,
sotto le colline di immondizia,
lì dove resiste, continua,
rinasce la semplice vita,
ultima, dimenticata, dileggiata
rimossa, ridotta a poltiglia
nella mente degli uomini,
la semplice vita,
il nascere e morire
rinascere e volare via,
aprirsi, amare,
quello che è vivo, amore,
sotto la semina dell’odio
Antonio Porta, da Airone in “Il giardiniere contro il becchino”
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