Sui riti funerari negati: ricordiamo Antigone e la sua ribellione
Ismene: Povera te! Ma se Creonte l’ha proibito!
Antigone: No, lui non può tenermi lontano da lui, da chi amo.
Sofocle, Antigone
Fra le misure di restrizione sociale decise per contenere la diffusione del coronavirus, il divieto di assistere ai funerali è stata uno delle più disumanizzanti. L’impossibilità di recare l’estremo saluto ai propri cari imposta dal governo può ricordare la vicenda di Antigone, raccontata nell’omonima tragedia di Sofocle (442 a.C.). Antigone, figlia di Edipo, decide di dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice (ucciso in uno scontro fratricida con il fratello Eteocle) contro il decreto emesso dal nuovo re di Tebe, Creonte. Scoperta, Antigone viene condannata dal re ad essere imprigionata in una grotta per il resto della vita. Creonte decide infine di liberarla ma sarà troppo tardi: Antigone si è infatti data la morte. Il suicidio della giovane porterà alla morte volontaria anche il suo promesso sposo, Emone, figlio di Creonte, nonché la stessa moglie del re e madre di Emone, Euridice. Il re, estensore dell’inumano decreto, rimarrà solo e disperato a maledire la propria stoltezza.
Sofocle, nel suo dramma, mette in scena il contrasto fra leggi divine e leggi umane: le prime, contraddistinte dalla pietas nei confronti di un defunto, sono difese da Antigone mentre le seconde sono quelle che Creonte cerca di far rispettare (il nòmos, il corpus delle leggi della polis). Secondo Antigone, un decreto umano non può non far rispettare una legge divina. Il divieto di Creonte si trasforma quindi in una volontà tirannica in quanto egli intende porre la legge sovrana al di sopra dell’umano e del divino (Creonte, ai vv. 182-183, lo afferma chiaramente: “e di chi stima più della sua patria un amico, non faccio nessun conto”). Anche il recente decreto ministeriale, se ci pensiamo bene, si è posto al di sopra dell’umano e del divino: è stata negata l’umanità ed è stata negata anche la ritualità religiosa. Antigone cerca di convincere la sorella Ismene a partecipare al suo atto di ribellione ma quest’ultima si rifiuta, temendo le conseguenze della violazione della legge.
Un eventuale atto di disobbedienza al decreto che impone la disumanità della negazione dei riti funebri si trasformerebbe, quasi, in una ribellione simile a quella attuata da Antigone. Nel corso del novecento, la vicenda di Antigone che, da sola, coraggiosamente e rischiando la vita, decide di dare sepoltura al fratello Polinice trasgredendo gli ordini del re Creonte ha offerto una chiave di lettura incentrata sulla libertà che si oppone alla violenza e all’assurdità disumana del potere. La figura di Antigone – ripresa anche dal pensiero femminista (ricordiamo le reinterpretazioni di Luce Irigaray e Adriana Cavarero) – è diventata un vero e proprio simbolo di qualsiasi ribellione a un potere violento e meschino in nome dell’umanità e della libertà.
La più importante reinterpretazione in chiave politica del testo sofocleo, nel teatro del novecento, è sicuramente quella di Bertolt Brecht il quale, con la sua Antigone, rappresentata per la prima volta nel 1948, riveste la vicenda di una chiara impronta antinazista e antifascista nella quale la figura di Creonte, raffigurato come un dittatore nazista, assume chiari rimandi a Hitler. Al dramma di Brecht si ispira anche la versione di Antigone realizzata dal Living Theatre (1966-1967), nella quale vi è una chiara allusione alla guerra del Vietnam. È interessante ricordare anche il dramma L’isola (The Island) di Athol Fugard, rappresentato la prima volta nel 1973 e ambientato in Sudafrica all’epoca dell’apartheid, connotato da una chiara impronta antirazzista. Esso si ambienta in una non precisata prigione che però allude chiaramente al carcere di Robben Island, nel quale venivano rinchiusi i prigionieri politici e dove è stato incarcerato anche Nelson Mandela. Il dramma di Antigone viene messo in scena, in forma metateatrale, dai detenuti del carcere creando così un parallelo tra la situazione dell’eroina greca e quella dei detenuti di colore incarcerati per la loro contestazione al regime di apartheid.
Fra le riletture cinematografiche della tragedia di Antigone risulta particolarmente interessante quella realizzata da Liliana Cavani con I cannibali (1970): il film, che risente del clima di contestazione sollevato dal Sessantotto (è stato scritto che, in questo periodo, “cinema e attualità sembrano essere coinvolti in una gara di velocità”), è ambientato in una cupa Milano del futuro in cui le autorità hanno proibito di seppellire i morti di una ribellione recente, stabilendo la pena di morte per i trasgressori. I cadaveri affollano le strade e chiunque venga scoperto nell’atto di rimuoverli o di seppellirli può essere immediatamente arrestato o ucciso. Inutile dire che, in un clima simile a quello che vige nell’universo distopico di 1984 di George Orwell, la delazione è all’ordine del giorno: grazie a un apposito sistema di comunicazioni, chiunque può denunciare alle autorità il mancato rispetto del divieto. Vediamo anche, in una sequenza fortemente surreale, una macchina che lava le strade preceduta da un prete che benedice i cadaveri. L’Antigone di Liliana Cavani, interpretata da Britt Ekland, incarna lo spirito anarchico, la trasgressione e l’utopia di una società migliore e più libera. Il suo atto di trasgressione si rispecchia nel personaggio di Tiresia (Pierre Clementi), una sorta di messia dalle connotazioni magiche e sacrali, caratterizzato da una forte sinergia con la sfera irrazionale e selvaggia della natura.
La profonda valenza politica del mito di Antigone è presente anche nel film collettivo Germania in autunno (Deutschland im Herbst, 1977-78), realizzato da otto registi tedeschi (Fassbinder, Kluge, Sinkel, Brustellin, Reitz, Cloos, Rupé, Schlöndorff). In esso è tangibile il clima che si è creato in Germania nell’autunno del 1977, in seguito a diversi eventi traumatici: il rapimento del presidente degli industriali tedeschi, Hanns Martin Schleyer, il dirottamento di un aereo Lufthansa da parte di un gruppo di manifestanti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e il misterioso suicidio nel carcere di Stammheim di tre esponenti della Rote Armee Fraktion (RAF). L’episodio dal quale trasuda maggiore inquietudine è probabilmente quello di Fassbinder nel quale egli mette in scena se stesso letteralmente divorato dal clima teso che si respirava in quel periodo. La figura di Antigone compare in forma più esplicita nell’episodio girato da Volker Schlöndorff e scritto da Heinrich Böll. Viene rappresentata un’immaginaria commissione di censura che deve analizzare una versione della tragedia di Sofocle. I commissari giudicano poco edificante mostrare come nel V secolo a.C. ci fossero già ‘donne terroriste’ nel momento in cui nel paese infuriano le polemiche sui funerali dei tre suicidi della RAF. Antigone, in questo modo, diviene un vero e proprio personaggio ribelle senza tempo, una figura che riesce ancora ad essere sovversiva in qualsiasi momento in cui si dimentica l’umanità per perseguire interessi sia politici che finanziari.
Anche adesso Antigone, colei che compie un vero e proprio atto di disobbedienza civile, ritorna di profonda attualità. E siamo tutti Antigone se, esposti alla censura, alla delazione, al controllo, di fronte alla disumanità del potere, compiamo dei semplici atti di umanità, di solidarietà e di socialità per – in fin dei conti – restare umani.
Guy van Stratten
Riferimenti bibliografici:
Massimo Fusillo, Antigone sullo schermo, “Maia”, 54, 2002, pp. 515-526.
Italo Moscati, Un paese in maschera col passamontagna, in 1969. Un anno bomba, a cura di I. Moscati, Marsilio, Venezia, 1998, pp. 135-145.
George Steiner, Le Antigoni, trad. it. Milano, Garzanti, 1990.
In copertina: G. Diotti, Antigone condannata a morte da Creonte (1845)