The Last of Us, l’ultimo di noi a Livorno
torna il nostro Jack RR, con una riflessione a partire dalla trasposizione televisiva di Last of Us (redazione)
Riflettevo in questi giorni sui negazionisti del clima, poi per caso guardando la carta del tempo ho notato sull’Asia del Nord una alta pressione di 1056 Mb. Non so chi di voi abbia mai letto una carta del genere. Stamani mi appare una pubblicità di una nuova serie televisiva credo su Netflix, The Last of Us (trad. letterale L’ultimo di noi) quindi non più l’ultimo dei Moicani ma proprio l’ultimo di noi.
I contenuti sono ripresi da l’omonimo videogioco PS3 lanciato nei primi anni ’10 da una azienda, la Naughty Dog, ormai nelle mani di Sony ma creata in California negli anni ’80 da due sedicenni, Andy Gavin e Jason Rubin. Andy ha proceduto poi con studi e ricerca sulle neuroscienze e addirittura ha lavorato ai programmi di Mars Rover Vision.
Viene da dire: ma cosa è successo in California che non sia successo qua in Italia e anche a Livorno?
È possibile avviare ricerche, il materiale c’è e in abbondanza ma alla base della differenza c’è un fattore: la differente capacità di astrazione.
Nei nostri luoghi industriali l’astrazione è scomparsa. I lavori che ci sono stati permessi hanno sempre obbligatoriamente mortificato l’astrazione. Probabilmente è accaduto ovunque dove gli sforzi dell’industria estrattiva, meccanica e logistica sono stati tali da assorbire ogni energia mentale degli uomini che stavano vivendo quel tipo di realtà.
Inoltre la dipendenza del dopo Piano Marshall ha fatto subire l’impossibilità di intraprendere quel tipo di industria dell’intrattenimento per ogni nazione che non fossero gli USA. L’intrattenimento era una loro produzione con obbligo di fornitura a tutti gli stati occidentali.
Sarebbe interessante ricostruire come i contenuti proposti nell’offerta di intrattenimento siano correlabili alla formazione di una base di pensiero conservatore, quindi alla cultura della conservazione sia sul piano giuridico che politico.
Il negazionista in genere, del clima in particolare, è pericoloso socialmente perché non accetta a priori la critica di certezze conseguite costruite spesso anche su falsità. Si, perché non è detto che i presupposti su cui si è organizzata tutta la fase industriale della società siano stati veri. Prima fra tutte la disponibilità di risorse.
Nel momento in cui ci sono guerre per l’acqua fossile (Libia) insieme ad altre fonti fossili come il petrolio, ritenuto invece dai media prioritario, capiamo bene perché siamo in una situazione difficile. E tutto ciò che ne consegue per l’intera economia mondiale. Gli shock che stiamo subendo non sono neanche da spiegare, li vediamo e viviamo tutti. E si spiegano riuscendo a comprendere come l’economia della finanza si combina con l’economia reale.
Il negazionista si arrocca assieme al potere dominante, ha da mantenere una posizione su presupposti ormai apparsi nella loro falsa natura in termini di indisponibilità.
Allo stesso tempo viene da chiedersi se si siano affermati negli ultimi quarant’anni dei giochi virtuali legati a dei contenuti del tutto opposti alle convinzioni ortodosse del potere politico che ha tracciato la storia.
“L’ultimo di noi” dovrebbe far inorridire i negazionisti. Invece no, ai negazionisti non dispiace presentare contenuti apocalittici. Fate caso alla produzione attuale di certi contenuti sulle piattaforme a pagamento. Tra zombie e fine del mondo c’è l’imbarazzo della scelta. E nella fine del mondo alieni e malvagità umana sono a contendersi la titolarità della distruzione completa. Ad un certo punto spunta l’eroe americano che risolve la situazione.
Nel frattempo l’attenzione mi cade su una lettura di un estratto da un documento pubblicato recentemente da Aspen Institute che ci da una indicazione precisa sulla realtà dei giochi:
“Approfondendo l’analisi settoriale, è certamente interessante individuare le varie componenti che contribuiscono alla produzione di ricchezza e occupazione. Le industrie creative sono supportate dalle attività dell’architettura, della comunicazione e del design; nelle industrie culturali, oltre l’editoria, sono soprattutto le attività dei videogiochi e software ad alimentare la creazione di valore aggiunto (11,2 miliardi) e posti di lavoro (157mila). Anche la produzione di contenuti audiovisivi mostra un ruolo non secondario (7,5miliardi e 58mila occupati), mentre residuale appare l’apporto della produzione musicale, da cui sono comunque escluse le attività relative ai concerti e alle rappresentazioni dal vivo, che confluiscono all’interno delle performing arts. Infine, a certificare l’importanza delle attività creative driven, è certamente utile ricordare i contributi già evidenziati in precedenza, in termini di valore aggiunto (34,3 miliardi di euro) e occupazione (577mila addetti), pari a quasi il 39,0% dei valori complessivi del Sistema Produttivo Culturale e Creativo.”
fonte: https://www.aspeninstitute.it/system/files/private_files/2016-07/doc/Io_sono_cultura.pdf
Quindi è probabile che per uscire dalla crisi del sistema economico un tempo trainante dovremmo partire dal focalizzare l’astrazione come primo elemento su cui lavorare. Che non significa tentare di avviare l’economia dei giochi virtuali. Tenendo sempre l’attenzione sul sistema finanziario internazionale particolarmente agitato si dovrebbe capire quale siano le opportunità economiche del futuro praticabili sul nostro territorio.
Se non si cambierà prospettiva, soprattutto localmente, agiremo come dei negazionisti però senza patrimonio disponibile per potersi garantire un futuro. Negazionisti suicidi in parole povere a cui le forze politiche nazionali e locali hanno organizzato a partire dagli anni ‘90 una vera e propria death room. I report dei vari Osservatori sulla Componentistica che furono presentati come proposito di rilancio dell’aree produttive nazionali e a cascata anche per l’area livornese sono rintracciabili solo a livello nazionale ma del locale non c’è traccia.
Sarebbe opportuno fare una fotografia della situazione e riattivare se si è capaci una mentalità tesa all’astrazione. L’ultimo rapporto della Camera di Commercio per Livorno e Maremma mette in evidenza le tendenze negative per Livorno. L’Irpet ha misurato la ripresa toscana presentando tendenze positive ma misurate rispetto agli shock covid e guerra. Sul futuro non si pronunciano.
Jack RR