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Toccafondi, il “bonus Spinelli” è finito

Per avere la misura della catastrofe sportiva di questo campionato del Livorno basta leggere i nomi delle squadre che a differenza dell’Unione hanno conquistato la promozione in serie D: Tau Altopascio, Corticella, Torviscosa, Fezzanese, Canicattì, Chisola, Montecchio Maggiore, Terranuova Traiana…

Fezzano è una frazione del Comune di Porto Venere, in provincia di La Spezia, che conta circa 950 abitanti. Torviscosa si trova in Friuli, in provincia di Udine, e ha 2.652 abitanti. Il Corticella è la squadra di un rione di Bologna, mentre Chisola è il nome di un torrente lungo 39 chilometri che scorre in Piemonte, la squadra omonima gioca a Vinovo, nel Torinese.

Squadre semi-amatoriali di paese o di quartiere, che avranno investito sì e no qualche centinaio di migliaia di euro, non decine di milioni.

Certo, c’è sempre l’ipotesi di un ripescaggio o di una decisione favorevole del giudice sportivo sul caso Figline, ma il fallimento resta e la brutta figura pure.

Era la prima volta che il simbolo dell’U.S. Livorno giocava tra i dilettanti. In questo non c’è niente di male, molte squadre gloriose sono ripartite dal basso, e la risalita non è stata sempre facile. Ma questa era una responsabilità in più per la nuova società. Trent’anni fa gli amaranto, con il simbolo dell’A. S. Livorno, dominarono il proprio girone “a zoppetto”, perdendo solo l’ultima ininfluente partita. Eppure il presidente non era Moratti, ma Caresana, implicato in mille disavventure giudiziarie. È vero che quest’anno nemmeno la vittoria nel girone garantiva la promozione, ma le squadre erano solo tredici e si sapeva che le migliori si sarebbero incontrate nel gironcino finale.

E infatti quando abbiamo affrontato avversari più forti buio pesto: in otto partite finali ben undici gol subiti, solo due vittorie e tre sconfitte. Quattro sconfitte casalinghe in tutto, una squadra con una condizione atletica sempre inadeguata, debole dal punto di vista caratteriale, tecnicamente scarsa e male allenata. E nonostante mille campanelli d’allarme si è arrivati a questo punto senza neanche provare a rimediare gli errori fatti ad agosto. Errori comprensibili, c’era il rischio di non fare a tempo neanche a mettere insieme una rosa e iscriversi al campionato. Ma dopo?

Dopo il tempo c’era e la necessità d’intervenire era chiara. Basta ricordare il mese horror di novembre, a partire dalla partita giocata il Giorno dei Morti (guarda caso) a Santa Croce contro il Perignano. Sotto di un gol, il Livorno pareggia a 13’ dalla fine, ma il portiere Pulidori commette un errore da Mai dire gol e abbatte l’attaccante che gli aveva rubato palla. Livorno in dieci e rigore, che per fortuna finisce alto. Ma non è ancora finita: Vantaggiato si fa espellere (rimedierà una squalifica biblica) e si rimane in nove. Il Perignano non ne approfitta.

Il 10 novembre il Livorno viene eliminato dalla Coppa Italia dal Cenaia, prendendo tre gol all’Ardenza. Partita importante perché un posto in serie D era riservato alla vincente della Coppa. Sfuma anche questa opportunità.

Il 14 novembre di nuovo a Santa Croce, stavolta con la Cuoiopelli. In vantaggio per tre a uno e con doppia superiorità numerica, gli amaranto riescono a farsi raggiungere e per la seconda partita consecutiva ne prendono tre.

Il 21 novembre il San Miniato Basso passeggia al Picchi e vince 2-0.

Qualsiasi società ambiziosa avrebbe esonerato l’allenatore e approfittato della lunghissima sosta del campionato – dal 12 dicembre al 6 febbraio – per rifondare la squadra, debole in tutti i ruoli chiave (scarsi i portieri, esterni difensivi da torneo delle aziende, nessun leader a centrocampo, quote di livello inferiore a quelle di molte altre squadre). Nelle squadre avversarie si erano visti molti giocatori interessanti, giovani o esperti della categoria, e con un’offerta economica vantaggiosa è impensabile che non potessero arrivare a Livorno. Ma a parte Luci e Russo a gennaio non arriva nessuno, Buglio viene esonerato solo il 6 marzo dopo un’altra sconfitta casalinga, stavolta con il Perignano, e viene sostituito da un allenatore che pur avendo un buon curriculum nei dilettanti si dimostra un pesce fuor d’acqua, del tutto incapace di cambiare rotta. Resosi conto della sua impotenza, rilascerà delle dichiarazioni raccapriccianti, che per coerenza avrebbero dovuto essere accompagnate dalle immediate dimissioni: “Sto facendo un’esperienza allucinante, non mi era mai capitato di vedere dei giocatori fare un’involuzione del genere”.

La sconfitta nei playoff non arriva dunque, come altre volte nel passato (Castel di Sangro, Fermana) come un fulmine a ciel sereno, ma come la conclusione logica di una serie paurosa di errori, di cui tutti gli sportivi si erano accorti e che solo gli addetti ai lavori non hanno visto o hanno fatto finta di non vedere.

Così quella che doveva essere l’annata della rinascita si è trasformata nell’annata della vergogna, con dopolavoristi vari che al massimo avevano giocato davanti a cinquanta persone a esultare sotto la curva amaranto con la mano all’orecchio e a sbeffeggiare gli sportivi, senza tra l’altro che nessuno dei nostri giocatori provasse neanche a riportarli a più miti consigli.

A proposito, altro che calcio dilettantistico pulito… Abbiamo visto di tutto, provocazioni, palloni gettati in campo dalla panchina, e il massimo naturalmente è stata la farsa di Tau-Figline a cui speriamo che il giudice sportivo metta rimedio.

Ma come si diceva, anche in questo caso la vergogna resterebbe, e anche qualche dubbio un po’ inquietante. Ad esempio: come si fa a perdere una partita (con il Tau) nella quale all’avversario basta pareggiare? Come si fa (Luci e ancora peggio Torromino con il Figline) a farsi espellere quando a un quarto d’ora dalla fine eri in vantaggio per 2-1 e con un uomo in più? Come si fa a non imporre alla Lega l’orario serale per lo svolgimento delle partite dei playoff, e non ottenere lo spostamento delle gare in sedi più adatte al grande afflusso di tifosi? È possibile non accorgersi che il clima nello spogliatoio si stava deteriorando pesantemente (vedi partenza di Bellazzini)? Ma il team manager dov’era?

Quindi un grande plauso alla società per aver permesso la continuazione del calcio a Livorno mettendo fine alla tragicommedia spinelliana, un plauso ancora più grande per aver gettato le fondamenta per un settore giovanile forte (accordo con la Pro Livorno), ma questo non può bastare.

Fa rabbia vedere sui social qualche irriducibile spinelliano resuscitato, e veder esultare qualche burino fascista che fino a pochi anni fa il Livorno l’avrebbe visto al massimo per la partitella del giovedì, ma chi è causa del suo mal pianga se stesso.

Ora cambiare rotta: via tutti, in primis il direttore sportivo, e ricostruire, che sia serie D o meno. La società ha accettato il simbolo dell’Unione Sportiva Livorno e oltre agli applausi del pubblico deve assumersene anche gli oneri. Il resto sono chiacchiere.

E ci auguriamo di non sentire più a Livorno le litanie sui “gufi” e i “corvi” che tanto piacevano ai violinisti di Spinelli. Una società sana accetta le critiche costruttive e non offende chi le fa.

 

Nello Gradirà.