Quando Livorno era una gabbia di matti – Recensione al libro di Luca Falorni
A giugno 2022 è uscito il libro “Gabbia di matti – Storia semiseria del gabbione livornese” di Luca Falorni edito dalla casa editrice Astarte Edizioni.
Il libro contiene anche due interessanti contributi storici introduttivi di Stefano Oliviero e di Fabrizio Amore Bianco. Gabbia di matti “riprende” ed elabora un video documentario di Luca del 2014 incentrato su alcune interviste ai protagonisti del gabbione di Livorno, inventato sui bagni Fiume da Armando Picchi e da alcuni suoi amici negli anni 50, quegli anni in cui Livorno e tutte le città italiane provavano a riprendersi dalla distruzione economica, sociale e culturale della seconda guerra mondiale.
Il libro riporta le interviste che facevano parte integrante di quel video, con ulteriore materiale non presente nel documentario e relativo ai dialoghi e ai racconti dei protagonisti principali di quella storia particolare e profonda che è il gabbione e che riguarda gran parte delle generazioni livornesi, a partire dai primi anni 50 in poi. Inoltre vi è una seconda parte che non è legata alle interviste contenute in quel documentario del 2014 ma che riguarda il gabbione, i tornei e alcuni suoi giocatori nel periodo successivo, negli anni 80 e 90, in particolare sui Bagni Pancaldi.
La memoria personale
Ma che cos’è il gabbione?
I livornesi lo sanno bene, fa parte della loro memoria personale, ricordi, aneddoti, spirito labronico, gol da posizioni impossibili e dribbling con l’aiuto del muretto, tunnel come quello che Allegri ha subito in una gabbionata e che ha restituito di giorgina a colui che aveva “osato”, “Lupo” Balleri che risponde per le rime al pubblico appiccicato alla “rete” del gabbione. Nel libro di Luca possiamo scoprire questo e molto altro, con precise ricostruzioni personali e storiche dove, nello sfondo, appare una Livorno intensa, con i suoi protagonisti, i bagni sul mare, le amicizie, la voglia di ritagliarsi uno spazio e di riprendersi una vita collettiva nel dopo guerra. Nelle interviste si parla molto dei bagni Fiume, dove nasce questa gabbia di matti e dove il Bomber, lo Zio, la Leggenda e l’intervistatore ci mostrano e attraversano, con precisione e sicurezza, questo gioco così particolare. Nei racconti e nei ricordi si illumina inevitabilmente la figura di Armando Picchi, giocatore della Grande Inter di Herrera e allenatore e mente del nuovo corso della Juventus dei primi anni 70; ma, in particolare, cuore, intelligenza e anima del calcio livornese.
La memoria collettiva
Ma Il libro non parla solo di ricordi. Lentamente e naturalmente, attraverso questi ricordi personali e queste descrizioni dei protagonisti del gabbione emerge la memoria collettiva della città, la difficile ricostruzione del dopoguerra, il porto, lo spirito labronico, l’Ippodromo Caprilli, il modo di vestire e di comportarsi dei giovani, l’amicizia fra giocatori e quella semplicità e naturalezza che accompagnava quei momenti: “ma il nostro benessere vero era quello di essere livornesi, di aiutarsi l’uno con l’altro”. Nella seconda parte, quella riservata ai Bagni Pancaldi e ai suoi giocatori si avverte di già, nelle interviste rilasciate, un cambiamento di clima generale, gli anni 80 e 90 appunto, dove vincere un torneo di gabbione era diventato una vera impresa e dove niente era lasciato al caso, anche qualche intervento decisamente più cattivo rispetto al passato.
In poche parole nel libro si cerca di raccontare e attraversare il passato per riviverlo adesso, cercando di gettare un ponte tra quello che non c’è più e quello che è il presente di una città. Il gioco come memoria collettiva che ci appartiene e che va riconquistata giorno dopo giorno, considerando i tempi e gli spazi sociali e culturali attuali dove il futuro non sembra più quello di una volta…
Riprendersi lo sport
Oggi quel modo di vivere lo sport, lo stare insieme, il socializzare e il riderci sopra sembra ormai non esistere più. Il calcio in particolare sembra lontano un miglio dalla gente e soprattutto dai giovani, considerati solo come possibili affari di mercato o star di Instagram, che vivono questa esperienza come una lotta contro gli altri, un emergere attraverso spinte e allenamenti personalizzati, con immediati riflessi nel mondo delle tv private e dei social. Eppure lo sport rappresenta quel momento fondamentale per crescere, stare insieme e sognare collettivamente. Nella città attuale il bambino non gioca più a pallone davanti alle case e nel proprio quartiere, il “giù” sembra ormai un luogo del passato e la scoperta della città non costituisce più quel percorso di crescita e di socializzazione necessario allo sviluppo di un ragazzo, ben evidenziato dal saggio di Colin Ward “Il bambino e la città”
Gabbia di matti si presenta così come un libro da rivivere e da raccontare alle nuove generazioni, soprattutto a scuola, dove diventa fondamentale riscoprire questo legame indissolubile tra il ragazzo e la storia della sua città, tra i suoi luoghi e il suo essere insieme, il suo modo di concepire il gioco e tutto quel mondo che ci aspetterà dopo.
Raccontare il passato
Mark Fisher, nei post del suo blog che possiamo leggere nella raccolta “Il nostro desiderio è senza nome”, ci dice che “il passato deve essere continuamente ri-raccontato perché un nuovo individualismo nasce negli anni 70/80 per farci superare e dimenticare simili forme collettive” di stare insieme e vivere la società, gioco, sport, musica e molto altra ancora.
In questo senso Gabbia di matti rappresenta anche un invito a riprendersi le forme collettive del socializzare e dello stare insieme che il capitalismo globale e digitale ci ha tolto, anno dopo anno.
Se tutti abbiamo contribuito a ricostruire Livorno in quel periodo e se il vero benessere era l’aiutarsi l’un l’altro, come dice il “Presidente” nel libro di Luca, allora forse dobbiamo ripartire di nuovo, mettendo al centro della nostra agenda politica un’altra ricostruzione di Livorno per riprendersi spazi, tempi, relazioni, legami e amicizie.
Per finire due consigli di massima:
Gabbia di matti va letto da tutti, livornesi e non, anche nelle scuole.
Dopo averlo letto rivedersi il video: qui un estratto: https://www.youtube.com/watch?v=ALa1S7uDOuk&ab_channel=NormanBates
Luca Falorni nasce nel 1965 a Livorno, a non più di due minuti a piedi dal Mediterraneo. È stato assistente alla regia nel cinema e operatore video professionale, ed è ancora videomaker e promotore culturale. I suoi video sono stati presentati nel corso di numerose mostre nazionali e internazionali e in TV. Dal 2002 al 2019 ha vissuto a Milano dove ha lavorato nelle scuole in città e in provincia. Attualmente insegna Lettere presso la casa Circondariale di Livorno, un luogo che lui stesso definisce «dove le persone e i loro pensieri sono rinchiusi, non solo metaforicamente». Questo è il suo terzo libro, dopo Voci possenti e corsare (Agenzia X, Milano 2018) e Abituali. 21 (più uno) racconti da bar (Felici Editore, Pisa 2022).