Ambiente

Clima: vivere oggi come se fossimo nel passato è una colpa

Di fronte alle ennesime manifestazioni di un inesorabile cambiamento climatico (come le recenti alluvioni in Lombardia o gli incendi in Sicilia), vivere oggi come se niente fosse accaduto, come se vivessimo ancora nel passato, sarebbe una colpa imperdonabile. Nella realtà quotidiana è ormai impossibile guardare lo stesso mondo di venti o trent’anni fa. Lo sviluppo capitalistico ha ormai raggiunto un livello tale di pervasività da provocare cambiamenti climatici senza precedenti. Quando il sindaco di Firenze insegue gli attivisti ambientali che imbrattano i monumenti per smuovere le coscienze magari non si accorge che dietro le sue spalle, senza nessun preavviso meteorologico, sta scoppiando una tempesta tropicale che sommergerà la sua città con tutti i suoi abitanti e i suoi monumenti, spazzati via come un villaggio della Corea del Sud o della Thailandia. Non va bene, in fin dei conti, imbrattare i monumenti e il sindaco PD fa bene a indignarsi (perlomeno con chi usa vernici indelebili), ma non va bene neppure attuare politiche di cementificazione selvaggia attuata da altri plenipotenziari del PD in Emilia Romagna e sulla costa adriatica, annientando verde e spazi naturali per far posto ad ambienti ipercementificati che si trasformano in trappole mortali per gli abitanti non appena scoppia il temporale tropicale di cui sopra. Così scriveva Alessandra Sarchi già nel 2012 nel suo romanzo Violazione, con un riferimento alla campagna intorno a Bologna: “cemento su cemento. Fianchi, pancia, braccia di interi fiumi scavati e spolpapati di sabbia per diventare edilizia privata, popolare, media, di lusso. Non più la terra gonfia di vita e di germogli, ma il gesso la calce la pietra che uniti al ferro sarebbero durati per un tempo ben più lungo delle esistenze umane, specie di quelle dei contadini” (A. Sarchi, Violazione, Einaudi, Torino, 2012, p. 145). Siamo del resto in un tempo e in un mondo in cui non si esita ad abbattere un albero, nei recinti di orrendi condomini, semplicemente perché “quando c’è vento ondeggia troppo”; così si renderanno ancora più squallidi e orrendi. E parliamo per esperienze dirette.

Ma soprattutto, chi vuole essere ecologista, e questa non è una cosa chiara a molti, deve diminuire drasticamente il consumo di carne e latticini, dovrebbe eliminare l’uso di acqua in bottiglie di plastica e pretendere dal comune che l’acqua delle falde acquifere sia controllata e priva di metalli pesanti e altre sostanze tossiche; in generale deve scegliere il vetro o confezionamenti con sacchetti di carta per gli alimenti; deve, ahimè, anche calibrare il consumo di acqua nella doccia e sollecitare il comune al potenziamento di aree verdi; dovrebbe anche dire no alla prima casa di nuova costruzione, e orientarsi verso case che si possono ristrutturare. Forse pensiamo che sì, saranno allagate delle città, ma che importa, ci muoveremo con degli stivali o costruiremo metropolitane e strade sopraelevate; vivremo di notte per non sentire il caldo del giorno, come nel film Reminiscence (2021) di Lisa Joy e per il resto ogni cosa sarà come prima. Ma tutto questo è impossibile, e si può vedere solo in film propagandistici, perché l’aumento della temperatura porta la morte di molte specie animali, e arriva, a catena, fino a distruggere la specie umana, che vive in un ecosistema dove tutte le specie sono indispensabili alla vita.

Per cui, fa bene un altro sindaco, quello di Milano, città colpita nei giorni scorsi da una pesante alluvione, a dire che non ci troviamo più di fronte lo stesso mondo di trent’anni fa e che dovremmo prendere dei provvedimenti, però a queste parole dovrebbero, appunto, seguire dei fatti: l’area metropolitana di Milano non è certo immune da sempre nuova e spregiudicata cementificazione autorizzata – indovinate da chi? – proprio dal sindaco. Se non ci rendiamo conto che oggi è diverso da ieri si finisce per vivere nei ricordi, come nel già citato film Reminiscence, ambientato in una Miami del futuro ormai invasa dall’acqua e devastata da una guerra, in cui le persone vivono di notte per sfuggire al calore insopportabile del sole affidandosi alle apparecchiature del protagonista Nick Bannister per illudersi di trovarsi in un mondo ancora intatto. Bannister, infatti, gestisce un sistema di sofisticati apparecchi che permette agli individui, immersi in vasche piene d’acqua, di dormire e rivivere i propri ricordi più belli come se fossero realtà. E se i poveri, costantemente sull’orlo della rivolta, vivono in quartieri fatiscenti e semisommersi, i ricchi e i potenti, chiamati “baroni”, conducono la loro esistenza in quartieri lussuosi, recintati e controllati da guardie armate. In un clima distopico che molto deve a Blade Runner, gli individui sono ormai invasi dal desiderio dei ricordi, delle “reminiscenze” che, se non sono artificiali come quelle installate negli androidi del film di Ridley Scott, costringono tutti a vivere al di fuori della realtà. Non si può non pensare, allora, alla presenza ossessiva del ricordo nell’universo digitale contemporaneo: i social e gli stessi programmi degli smartphone propongono costantemente ricordi da rivivere, da Facebook che ripropone ai propri utenti i ricordi di uno, due, tre anni fa e così via fino agli stessi telefonini che, automaticamente, per mezzo delle foto inserite in memoria, ci fanno rivivere gli anni passati “come oggi” proiettandoci in falsi universi dominati da false nostalgie. Nemmeno un anno fa sarà mai più come oggi.

Eppure, lo scenario distopico del futuro prospettato dal film non è poi così lontano dalla realtà. Come ha dimostrato lo scrittore e giornalista Fabio Deotto in un suo interessante reportage attraverso il mondo dal titolo L’altro mondo. La vita in un pianeta che cambia (Bompiani, Milano, 2021), Miami è veramente a rischio di inondazione, così come anche New Orleans, dove tra l’altro sono ambientate alcune scene del film. Come leggiamo nel libro di Deotto, a Miami sta avvenendo un processo che è lecito chiamare “gentrification climatica”: i ricchi, cioè, stanno acquistando a poco prezzo case e terreni dei luoghi dove tradizionalmente hanno sempre abitato le classi più povere, cioè lontani dal mare. Se i quartieri più poveri come Overtown, Little Havana, Little Haiti e Liberty City si trovano nelle aree più rialzate e quelli ricchi, invece, vicino o a ridosso del mare e delle spiagge, adesso sono proprio i ricchi che cercano di spostarsi nelle zone più alte per sfuggire a un processo irreversibile come quello dell’innalzamento delle acque. Nel film (ambientato intorno al 2030) questa gentrification climatica pare già avvenuta: le aeree lussuose e recintate dei “baroni”, probabilmente, sono quelle che fino a dieci anni prima erano abitate dai più poveri, confinati invece adesso in palazzi fatiscenti e semisommersi. Deotto fotografa anche la situazione di un ‘paradiso’ turistico e naturale come le Maldive; anche qui, nei centri più popolosi si fa sentire il problema dell’innalzamento del mare il quale sta ‘divorando’ anche le spiagge più prestigiose e rinomate. Nel suo viaggio, lo scrittore attraversa anche la Lapponia e ci consegna un nuovo quadro sconvolgente: a causa del riscaldamento del clima, le precipitazioni nevose sono assai più scarse che in passato e ciò scardina i ritmi di vita della popolazione locale, i sami. Ad esempio, “con l’aumento delle temperature, le precipitazioni in queste zone si sono fatte più frequenti e irregolari. L’inusuale alternanza di piogge e nevicate porta alla formazione di uno strato di ghiaccio che va a coprire i licheni di cui le renne si nutrono, rendendo i pascoli inaccessibili” (p. 179). E – dicono i sami – “per la prima volta nella nostra storia ci troviamo costretti a foraggiarle e a trasportarle in camion” (ibid.).

Insomma, al giorno d’oggi non è più possibile vivere dentro capsule di vetro, con stereotipi preconfezionati come ad esempio le favolose spiagge di Miami, il paradiso delle Maldive, la Lapponia, la terra di Babbo Natale dove fa sempre freddo e c’è la neve alta. Il capitale, conduttore di inquinamento e antropizzazione selvaggia, ha distrutto un mondo che, forse, non è neanche mai esistito, o forse è esistito solo dentro le favole, quasi come il mondo feudale, scrigno fiabesco e lontano, devastato – nell’ottica marxiana – dalla mentalità borghese. Quel che è certo è che un mondo che maggiormente era scandito dai ritmi naturali adesso sta inesorabilmente scomparendo. Non possiamo più permetterci di vivere dentro i quadretti che illustravano i paesaggi e le attività legati alle diverse stagioni, come il “Ciclo delle stagioni” di Pieter Brueghel il Vecchio. Quei quadretti e gli stereotipi che li accompagnano assomigliano alle vasche piene d’acqua di Bannister nel film Reminiscence. L’età dell’innocenza è finita per sempre: credere che esista ancora è una imperdonabile colpa.

Francesca Fiorentin & gvs

(in copertina un’immagine dal film Reminiscence)