Recensioni

“Navi nel deserto” di Luigi Weber

Alcuni romanzi tardano a uscire, per diversi motivi, e a volte per un numero di anni tale da trasformare uno scrittore ormai maturo in un esordiente. Se uno di questi romanzi poi vede la luce per un editore che ha cominciato le proprie attività da poco come «Il ramo e la foglia», la distorsione risulta ancor più convincente.
Navi nel deserto è il primo romanzo di Luigi Weber, ma non è il suo primo libro: Weber è infatti un docente universitario, insegna Letteratura italiana contemporanea a Bologna, e ha all’attivo diversi saggi di ricerca e numerosi articoli su riviste scientifiche. Tuttavia, è un ragazzo di poco più di vent’anni ad aver immaginato e cominciato a scrivere, all’inizio degli anni Novanta, di un mondo ricoperto dalla sabbia. È questo uno dei motivi, e non certo l’unico, per cui Navi nel deserto ha dalla sua la freschezza dell’esordiente, quello vero, e la maturità di chi legge e studia da molti anni.

Entriamo nel merito. Weber ambienta la sua storia in un futuro imprecisato diversi anni dopo un evento epocale: un vento terrificante, sorto dal nulla, ha distrutto tutto, coprendo la terra di una spessa coltre di sabbia e polvere. Si tratta di uno scenario che può rievocare molte narrazioni pop, soprattutto cinematografiche, a cavallo tra Settanta e Novanta, come il Dune di Lynch, Mad Max, la Tatooine lucasiana, il mondo post-atomico di Ken il Guerriero, il Nulla che soffia nella Never Ending Story o, per negazione, Water World. Volendo badare alla cronologia della composizione del romanzo, forse non sarebbe sbagliato ripensare anche alle immagini che occupavano i nostri teleschermi durante la prima guerra del Golfo.

Avremmo quasi ragione a pensare questo, ma non del tutto: Weber è infatti un appassionato lettore dell’opera di Conrad, ed è per questo motivo che attraverso l’infinito deserto gli uomini si muovo con l’ausilio di navi, motorizzate e munite di enormi ruote, ma tuttavia navi, con la gerarchia tipica dell’equipaggio, gli usi tradizionali del mare. Il lettore anche meno appassionato si accorgerà facilmente che i nomi dei personaggi del romanzo sono tratti dall’opera dell’autore di Cuore di tenebra, anche perché uno dei protagonisti si chiama esplicitamente Joseph Conrad. Ma sarebbe un errore approcciare le Navi nel deserto con il piglio di chi cerca riferimenti esterni, che pure esistono: molto più conveniente spiegare le vele e lasciarsi trasportare dal racconto, che comporta, seppur con leggerezza, un certo impegno.

Una piccola porzione di questo universo polveroso è occupato dall’Arcipelago delle Sette Oasi (qui il link alla mappa), il cui centro nevralgico è l’imponente Rocca di Banka, ma tra le sue piste – uniche strade percorribili dalle navi, che altrimenti si insabbierebbero – è possibile imbattersi in un’antica Downtown americana, i cui grattacieli sprofondano vertiginosamente nel vuoto sotterraneo per mostrare solo i loro tetti, e in un deposito di rottami. È qui che la nostra storia inizia: un uomo si nasconde, dopo un’avventurosa fuga da una nave pirata, e cerca di salvarsi la vita aspettando un vascello regolare in prossimità di un assurdo porto desertico, con tanto di ormeggio («Noi Naviganti non ce lo vogliamo ficcare in testa, che l’acqua non c’è più. Quando uno scafo si ferma, va fissato, che diamine!», p. 34). Lì si fermerà, per sua grande fortuna, la nave del capitano Conrad, trentaduenne entrato in carica da meno di due settimane in modo del tutto eccezionale, dopo aver abbandonato la sua Rocca.

Questa è l’occasione per l’autore di spiegare meglio i rapporti di forza sussistenti nel mondo delle Navi. Le Rocche sono abitate dai Cittadini, la loro forma di governo è una democrazia retorica e di facciata, perché in realtà i suoi abitanti sono in larga parte ultraconservatori dediti al commercio. Chiunque non sia allineato con le leggi vigenti, puritane e terribilmente restrittive sopratutto per le donne, può scegliere solo una via, in base al proprio genere. Le donne restano stanziali, e si ritirano nelle Oasi circostanti per condurre una vita senza marito e prole, mentre per gli uomini la faccenda si fa più complessa: la Rocca stessa finanzia la costruzione di una nave, nella quale i giovani non conformi potranno imbarcarsi al raggiungimento della maggiore età. Le navi sono fondamentali per la sussistenza delle Rocche, perché sono l’unico modo in cui è possibile portare avanti i commerci e, dunque, la sopravvivenza. Tuttavia, i Cittadini odiano profondamente sia le donne delle Oasi che, soprattutto, i Naviganti, i Mobili. I pirati condividono coi cittadini l’odio per i Naviganti regolari, e non perdono l’occasione di attaccarli e straziarli. Insomma, si tratta di un universo con delle regole rigide, degli usi e costumi definiti, difficili da scardinare. Navi nel deserto è una storia che parla di questo, del nostro modo di vedere le cose, di come sia utile metterlo in crisi e scardinarlo.
Quel che sarebbe difficile per l’autore è descrivere in modo leggero un mondo così articolato e potenzialmente rigido: bisogna comprendere fino in fondo il valore delle regole per poterle rispettare, o ancora meglio, per sovvertirle e salvarsi. Weber ci riesce, perché noi lettori siamo inesperti di questo universo tanto quanto i suoi protagonisti. Per questo motivo non troveremo in questo romanzo quelli che scherzosamente chiamiamo “spiegoni”, e che spesso segnano la differenza tra una narrazione di qualità e un tentativo: il personaggio che inaugura la narrazione sta scappando in una porzione di deserto a lui sconosciuta, leggiamo la sua mente, i suoi calcoli per la sopravvivenza, perché per lui stesso quelle terre sono del tutto nuove. Anche la voce che racconta Conrad e la sua condizione, all’inizio, tende a spiegare le consuetudini degli equipaggi desertici, per far capire al lettore quanto la posizione del giovane capitano sia bizzarra e inusuale, e tuttavia lo fa a partire proprio dall’inesperienza dello stesso capitano, e non fa che ripassare mentalmente i motivi per cui gli altri marinai (dagli ufficiali ai mozzi) tengono con lui un comportamento tutt’altro che ossequioso. I personaggi sono dunque legati a doppio filo dall’inesperienza: uno dei luoghi, l’altro del proprio ruolo; e questo li lega a noi lettori, che abbiamo inesperienza sia dei luoghi che dei ruoli.
Ad ogni modo, Navi nel deserto non è ben condotto solo da questo punto di vista: basta scorrere il suo indice per capire che la sua stessa struttura è assai articolata. La storia gode del continuo cambiamento di luoghi e tempi (Settima Oasi, 4 febbraio, ore 14.00; Nave Mixis, 3 febbraio, ore 19.00; Rocca di Banka, 4 febbraio, ore 9.30; Nave Kairos, 3 febbraio, ore 8.00), soprattutto da metà libro in poi, quando il lettore ormai si muove con familiarità nell’Arcipelago delle Sette Oasi e può badare solo al succedersi degli eventi, che a quel punto scorrono a una velocità diversa: il senso è quello di una piacevole vertigine.

Il gioco, acuto e fondamentale per rendere ancor più avvincente la storia, non è condotto solo sul cronotopo, ma anche sulla focalizzazione: ci si accorge fin da subito che in alcuni passi la voce narrante parla in prima persona (il fuggitivo) in altri in terza, una voce esterna e a tratti onnisciente, ma tanto accogliente da abbracciare spesso il punto di vista di altri personaggi. Si arriva anche all’utilizzo dei corsivi, per esprimere tipograficamente il cambiamento di punto di vista, spesso in prima persona, per raccontare i pensieri di molti dei personaggi, in modo che chi legge abbia un panorama diegetico davvero molto vasto. In alcuni casi, tra le righe, è facile individuare in alcuni passi il Weber studioso delle avanguardie, nella resa delle voci confuse dei cittadini, in quella dei sogni, dei risvegli improvvisi e semicoscienti. Non si tratta solo di pezzi di bravura, ma di contributi importanti: se una delle sfide della letteratura contemporanea è proprio quella di sovvertire la voce narrante, questo romanzo costituisce un buon esempio.
A un livello ancora più profondo, Weber ha un ulteriore merito: quello di aver costruito una storia leggera a una prima lettura, ma piena di trabocchetti e di non detti, in cui il lettore è chiamato direttamente in causa per sciogliere i nodi, per farsi un’idea. A volte sembra di avere a che fare con un giallo, uno di quelli in cui basta leggere bene una singola parola, la sua flessione, per sciogliere un dubbio, per completare il discorso.

Volendo fare un paragone che potrebbe risultare ardito, ma che forse mi permette di spiegare un punto di vista, il modo di fruire Navi nel deserto è simile al modo in cui si fruisce certa musica, come quella di un Weill, o Pet Sounds dei Beach Boys: le melodie sono cantabili all’orecchio, leggere e dirette, ma nascondono una difficoltà di esecuzione altissima e una complicazione armonica che va ben oltre il pop tradizionale. Così, è facile sfogliare la bella copertina di Samuele Grassi e immaginare di entrare in un mondo che sarà buono per farsi intrattenere: una scelta che si può anche fare e che incoraggerei, perché la storia avvince e non manca di colpi di scena, agnizioni, momenti comici, ma volendo leggere con un minimo di attenzione in più si scopre un discorso profondamente serio e impegnato. Un discorso sul futuro, che riflette un presente a volte odioso.

Insomma, Navi nel deserto è la truffa di un autore un po’ piratesco: esordiente di facciata, romanzo d’avventura, sì, ma in qualche modo engagé.
Il libro infine, per tornare a un dato più strutturale, è diviso in dieci interludi e un epilogo. Ma l’interludio, tra le sue varie definizioni, sarebbe un «intermezzo, breve serie di fatti che costituisce una parentesi, un’interruzione, un diversivo nel normale andamento delle cose». Cosa interrompono queste Navi nel deserto? Il semplice fatto di non riferirsi a capitoli ma a interludi fa quasi pensare che il pur vasto mondo descritto nel romanzo sia praticamente infinito, e che la storia di Schomberg, Sands, Conrad e gli altri sia solo un minuscolo esempio di quel che in realtà accade sopra e, chissà, magari anche sotto la sabbia.

Saverio Vita

 

"Navi nel deserto" di Luigi Weber 2

(Luigi Weber, Navi nel deserto, Il ramo e la foglia, Roma, 2023)

 

 

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