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“Cronache dal dopo vita” di Giovanni Iozzoli

Cronache dal dopo vita (Jack Edizioni, 2024) di Giovanni Iozzoli è un avvincente romanzo da leggere tutto d’un fiato, a metà tra libro di memorie, noir, detective story, autobiografia fittizia, cronaca politica e sociale dell’Italia degli anni Settanta e Ottanta: l’io narrante è Stefano, originario di un paese campano che, nel 2010 ha cinquantacinque anni e ha trascorso il suo passato nella militanza della sinistra extraparlamentare vivendo anche l’esperienza del carcere. Adesso, tutto d’un tratto, impiegato nei servizi sociali a Bologna, dopo un viaggio nel suo paese d’origine per andare a trovare l’anziana madre inferma, quel passato riemerge improvvisamente e lo attanaglia, insieme a un retroterra fatto di magia e superstizioni popolari che sembra avvolgere l’essenza stessa dell’intera cultura italiana. Viene a scoprire infatti che, dal cimitero del paese, è misteriosamente scomparso il cadavere della zia Pasqualina, una nota guaritrice morta quasi in odore di santità. Da questo evento inaspettato e inquietante si dipanano diversi risvolti narrativi che porteranno a nuove misteriose complicazioni attraverso il passato e il presente coinvolgendo criminalità organizzata e camorra, militanti extraparlamentari degli anni settanta, docenti universitarie di antropologia e perfino i servizi segreti iraniani. Qui, però, non possiamo dilungarci di più sulla trama, per non svelare al lettore il piacere della scoperta che Iozzoli, da abilissimo narratore, ci presenta con lentezza e gradualità, aprendo sempre nuovi varchi nel passato e nel presente.

È interessante notare come Cronache dal dopo vita (dal “dopo vita” della santa Pasqualina, ma anche di un intero mondo) possa essere inteso anche come “cronache dal dopo morte” di un’Italia arcaica e contadina, popolare, periferica e agraria, fatta di un sostrato che ai margini delle metropoli industriali negli anni Sessanta e Settanta continuava ancora ad esistere. Erano anni in cui proliferavano miti e leggende metropolitane, fiabe e racconti popolari fatti di guaritori e guaritrici come Pasqualina, soprattutto nel Sud, ma anche di autostoppiste fantasma, di storie popolari che testimoniavano un passaggio nel Polesine nientepopodimenoche dell’americano Howard Phillips Lovecraft, di vampiri e fantasmi che si aggirano per le campagne ma anche per la magica Torino, di redivive siciliane ai margini dei cimiteri, di lupi mostruosi e di antichi etruschi assassini. Basta dare uno sguardo all’Almanacco dell’orrore popolare. Folk horror e immaginario italiano, a cura di Fabio Camilletti e Fabrizio Foni (Odoya, 2021) e leggersi in particolare il saggio di Franco Pezzini sulle leggende torinesi, in cui la capitale sabauda appare come una città vampirica, una “Augusta Vampyrorum”, o quello di Marco Malvestio su “Lovecraft nel Polesine” o, ancora, quello di Rosario Battiato sulle “redivive siciliane”. E poi, magari, andare a leggere di come l’Italia, nei suoi lati più ‘occulti’, sia ancora oggi un calderone di strane e misteriose storie, nel più recente e gemello Almanacco dell’Italia occulta. Orrore popolare e inquietudini metropolitane, sempre a cura di Camilletti e Foni (Odoya, 2022).

Il romanzo di Iozzoli scoperchia questo background e ci offre diversi spaccati storici e sociali relativi al passato, mostrandoci come il paese sia stato progressivamente devastato da sbagliate scelte politiche e sociali, e come sia sprofondato in un baratro di abusi edilizi, cementificazioni selvagge, distruzioni paesaggistiche, ecomostri e inquinamento. Saranno stati anche tanto belli gli anni Settanta e Ottanta, come vogliono farci intendere i nostalgici da tastiera, con il clima ancora più ‘normale’, senza caldo eccessivo e aumento delle temperature, con gli inverni freddi e nevosi; ma mentre erano intenti a godersi come normalità la neve e il freddo invernale, quegli stessi nostalgici probabilmente non si accorgevano che proprio in quegli anni, sotto i loro occhi, si stavano gettando le basi per il cambiamento climatico che subiamo oggi, che in quell’inquinamento e in quegli scempi naturali, in quelle cementificazioni selvagge di aree naturali c’erano le radici dell’aumento delle temperature e dei disastri di oggi. Il passato, come un sostrato pesante, malinconico e mitico, nei suoi mille aspetti grava sul pensiero e sul fisico di Stefano, irretito, sembra, dal clima magico ed irreale della sua Campania che gli impedisce di tornare nella più ‘razionale’ (ma non meno devastata) Bologna.

E se si percepisce un divario fra Nord e Sud – Bologna e Sarno sono forse ancora più lontane fra di loro di quei circa seicento chilometri di autostrada che Stefano non si sente di affrontare – sembra comunque che l’Italia intera viva come rappresa nella morsa di una rete mitica e magica, che la inchioda al passato e ad arcane dicerie. Questa morsa, d’altronde, ha solo cambiato faccia: non è più nelle parole delle persone per strada o al bar, non è più sulle prime pagine o negli articoli di riviste nazionalpopolari come “Gente” o “Oggi”, ma grava in maniera inesorabile sull’universo digitale e digitalizzato dei social, sulle mille informazioni e sulle mille questioni divisive, a partire dalle previsioni meteo fino all’ultimo film proiettato al cinema. Nel 2010, l’io narrante Stefano si ritiene fortunato perché “ho visto gli ultimi giorni in cui le campagne partorivano santi e veggenti. Ho visto insorgere qualche conato rivoluzionario. Ho visto l’amore vero delle madri contadine stanche, indomite e dementi; e cofanetti antichi di legno scrostato, che custodiscono vecchie melodie di carillon e segreti indecifrabili” (p. 9). E, subito dopo, si chiede: “E lei, la Santa, come visse, nelle campagne profonde tra San Marzano, Angri, Sarno, dove nascere donna a inizio secolo era ancora questione di soma e di lacrime? Il misticismo e la taumaturgia dei poveri la emanciparono da quel destino?” (ibid.).

Sembra che nel 2010 (ed anche oggi), la presenza di santi e veggenti nelle campagne italiane e l’insorgere di qualche conato rivoluzionario appartengano alla stessa dimensione mitica e lontana: come non ci sono più santi e veggenti, così – dopo l’appiattimento degli anni Ottanta, l’asfalto di stupidità gettato dai Novanta e i violenti rigurgiti da ventennio di Genova 2001 – non è più possibile scorgere conati rivoluzionari. Ma forse, come quei santi e veggenti, sono esistiti solo in un mondo magico ed arcaico. Nella vacuità dei social di oggi, nell’iperproduzione di dati, quello stesso mondo magico ed arcaico ha mutato aspetto e si è fatto più sottile e pervasivo, dopo aver perduto tutto il suo fascinoso alone. E quella volontà di rivoluzione? Forse è stata perduta e dimenticata, in questo stesso universo digitale e ossessivo che ci circonda. Forse anch’essa è ormai inesorabilmente diventata una “cronaca dal dopo vita”.

Guy van Stratten

Giovanni Iozzoli, Cronache dal dopo vita, Jack Edizioni, 2024, pp. 360, euro 15,00.

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