Hugo Blanco, leader delle lotte campesine e indigene peruviane, ci ha lasciato
Ho conosciuto Hugo Blanco Galdos nella primavera del 2015 in occasione del suo tour italiano promosso dall’amico Aldo Zanchetta per la presentazione del libro “Noi gli indios”, che lo stesso Aldo aveva tradotto e fatto pubblicare in Italia, e per raccogliere fondi a sostegno della rivista “Lucha indigena” da lui stesso diretta e fondata nel 2012. Nonostante Hugo avesse già raggiunto le 80 primavere e subito una operazione di chirurgia cerebrale, che lo costringeva a brevi sonni a metà mattina e a metà pomeriggio, affrontò con grande entusiasmo e inaspettata energia l’intenso programma predisposto da Aldo attraverso numerose città italiane dal 26 aprile al 5 maggio anche con 3 incontri in un giorno.
A seguito dell’incarico ricevuto da Aldo di gestire la giornata del 28 aprile a Pisa, avevo organizzato un incontro in orario antimeridiano con gli studenti nel mio Istituto, l’Ite Pacinotti di Pisa, e per il pomeriggio a San Giuliano Terme presso il ristorante Salustri. Ricordo ancora l’emozione quando l’ho incontrato per la prima volta nell’androne del mio Istituto, rimasi infatti immediatamente molto colpito dal carisma che sprigionava e al contempo dall’umiltà e la semplicità della sua indole che esprimeva anche attraverso un abbigliamento sobrio. Particolarmente coinvolgente fu l’incontro con gli studenti durante il quale Hugo si esprimeva tramite frasi brevi e dirette, che tradotte in italiano da Aldo, avevano una grande capacità di penetrazione nelle menti e nel cuore degli studenti. Hugo, che si presentò agli studenti con il suo tipico cappello di paglia da campesino peruano, sorprese e catturò immediatamente l’attenzione dei circa 100 studenti, che affollavano l’aula magna, sin dalle prime, indimenticabili, parole che pronunciò in spagnolo e che furono immediatamente recepite dagli studenti prima che Aldo traducesse. “Le multinazionali cercano il massimo profitto nel minor tempo possibile” parole chiare e asciutte che resero perfettamente la cifra dell’uomo e fecero calare il silenzio dell’attenzione e del rispetto verso l’uomo, del quale ne venne percepita immediatamente la grande levatura morale. Le due ore dell’incontro trascorsero velocemente, in un silenzio al limite della devozione, tutti, studenti e docenti, rapiti dal fascino, dal carisma e dai concetti profondi che provenivano dalle parole di Hugo.
Finito l’incontro all’istituto Pacinotti, ci siamo recati a casa mia a San Giuliano Terme dove, in attesa dell’incontro pomeridiano, Hugo ne ha approfittato per dormire e riposarsi un po’ in camera di mio figlio Francesco. Alle 17 davanti al ristornate Salustri prima dell’inizio dell’incontro con Silvio Lami, caporedattore di Pisorno.it, abbiamo effettuato una video intervista con la collaborazione del docente universitario argentino Santiago Conti che riproponiamo di seguito. Nella sala stracolma di circa 60 persone del ristorante Salustri, abbiamo infine effettuato un indimenticabile incontro pubblico nel quale Hugo ha affascinato letteralmente i convenuti, i quali al termine degli interventi, non finivano più di fare domande. Una serata indimenticabile con un personaggio unico nella storia delle lotte peruviane a sostegno delle comunità indigene e contadine e contro l’estrattivismo, le devastazioni ambientali e lo strapotere delle multinazionali.
Nelle settimane seguenti leggendo il suo libro “Noi, gli indios” ho avuto l’opportunità di approfondire le conoscenze relative al suo percorso di vita, alle lotte per la redistribuzione delle terre, al periodo del carcere e al ruolo di simbolo della resistenza delle comunità indigene, da parte di un bianco che era il “più indio di tutti” come lo definì il grande Eduardo Galeano.
Di lui mi resta il ricordo di una indimenticabile ed emozionante giornata passata insieme e di un uomo sobrio, umile e modesto che ha fatto della coerenza ideologica e della determinazione nelle lotte la sua ragione di vita e che ad 80 anni suonati cercava ancora di comprendere i cambiamenti sociali, politici e culturali in atto e continuava ad impegnarsi quotidianamente contro le ingiustizie, trasmettendo un messaggio inequivocabile: i risultati si ottengono solo tramite le lotte popolari.
Terminiamo questo ricordo riportando il brano col quale egli ha concluso il suo libro “Noi, gli indios” che racchiude l’essenza di una lunga vita di lotta e la visione della società a cui aspirava e per il quale si è sempre battuto.
Un altro mondo è possibile
un mondo d’amore
un mondo senza guerre
dove il lavoro non sia un peso ma un piacere
un mondo dove non ci sia fame
e quindi non ci sia ingordigia
dove non ci sia repressione sessuale
e quindi non ci sia voracità sessuale
dove tutti abbiano una casa
e non ci siano potenti in grandi palazzi
dove per salire non sia necessario calpestare la testa di un altro
dove nessuno cerchi di essere il più intelligente,
la più bella, il più forte, il migliore,
dove quello che usiamo è quello che ci serve
non quello che ci ordinano la pubblicità e la moda
dove possiamo essere diversi ed amarci
dove ci comportiamo con la Madre Natura con
l’amore di figli, non come suoi nemici
dove il tempo sia per vivere
non per produrre e consumare
un mondo che non sarà come io voglio che sia
ma come l’umanità che lo costruisce decida che sia
un mondo di luce che appena possiamo sospettare tra le
tenebre in cui viviamo
facciamolo
E’ stato per me un privilegio e un onore averti conosciuto, compagno Hugo, che la terra ti sia lieve
Andrea Vento – 27 giugno 2023
Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati
Video intervista: https://www.youtube.com/watch?v=j6rnHQalPOk
Articolo di presentazione dell’iniziativa di San Giuliano con biografia di Hugo Blanco:
Foto: Hugo Blanco in viale Boboli a San Giuliano Terme
A Hugo Blanco
È morto in Svezia Hugo Blanco Galdos.
Peruviano, operaio, contadino, sindacalista, rivoluzionario, assiduo ospite delle patrie galere, Senatore, Costituente eletto di una Costituzione abortita da Fujimori, esule in più paesi, stonato cantante e chitarrista dilettante…
Non aggiungo altro della sua biografia che potete comunque trovare facilmente nei peggiori antri del web e in ogni angolo vissuto e vivo del suo Perù.
Ho avuto la fortuna d’incrociare Hugo nel periodo in cui viveva come esule in Cile. Ci insegnò qualche “marinera” e ci raccontò tante storie di vita delle comunità e dei comuneros. È stata una grande fortuna averci potuto condividere qualche ora.
Per ricordarlo, pubblico un frammento di una poesia dedicata ad un operaio, assassinato dai franchisti, scritta da un altro peruviano, César Vallejo, nel 1939.
Parla della guerra civile spagnola, normale per chi come Hugo sente ogni lotta popolare come cosa propria.
So che pure lui continuerà a scrivere col suo dito in aria, “Evviva I compagni”, magari blandendo il suo cucchiaio in mano.
“Viban los compañeros! Pedro Rojas”
“Registrándole, muerto, sorprendiéronle en su cuerpo un gran cuerpo, para el alma del mundo, y en la chaqueta una cuchara muerta.
Pedro también solía comer entre las criaturas de su carne, asear, pintar la mesa y vivir dulcemente en representación de todo el mundo.
Y esta cuchara anduvo en su chaqueta, despierto o bien cuando dormía, siempre, cuchara muerta viva, ella y sus símbolos.
¡Avisa a todos los compañeros pronto!
¡Viban los compañeros al pie de esta cuchara para siempre! Lo han matado, obligándole a morir a Pedro, a Rojas, al obrero, al hombre, a aquél que nació muy niñín, mirando al cielo, y que luego creció, se puso rojo y luchó con sus células, sus nos, sus todavías, sus hambres, sus pedazos.
Lo han matado suavemente entre el cabello de su mujer, la Juana Vásquez, a la hora del fuego, al año del balazo y cuando andaba cerca ya de todo.
Pedro Rojas, así, después de muerto, se levantó, besó su catafalco ensangrentado, lloró por España, y volvió a escribir con el dedo en el aire: «¡Viban los compañeros! Pedro Rojas».
Su cadáver estaba lleno de mundo”.
Evviva i compagni! Pedro Rojas
(la traduzione è mia)
Perquisendolo, morto, trovarono nel suo corpo un grande corpo, per l’anima del mondo, e nella giacca un cucchiaio morto.
Pedro era anche solito mangiare tra le creature della sua carne, pulire, pitturare il tavolo e vivere dolcemente in rappresentanza di tutto il mondo.
E questo cucchiaio rimase nella sua giacca, da sveglio e pure quando dormiva, sempre, cucchiaio morto vivo, lui ed i suoi simboli.
Avvisa tutti i compagni presto!
Evviva i compagni ai piedi di questo cucchiaio per sempre!
L’hanno ucciso, costringendolo a morire, a Pedro, a Rojas, all’operaio, all’uomo, a colui che, nato molto piccinino guardando verso il cielo, è cresciuto, diventato rosso, lottato con le sue celulle, i suoi no, i suoi ancora, la sua fame, i suoi pezzi.
L’hanno ucciso, sofficemente, tra i capelli della sua donna, la Juana Vásquez, all’ora del fuoco, nell’anno dello sparo e quando ormai era vicino a tutto.
Così, Pedro Rojas, dopo morto, si alzò, bacio il suo catafalco insanguinato, pianse per Spagna e scrisse ancora col suo dito nell’aria: «Evviva i compagni! Pedro Rojas».
Il suo cadavere era pieno di mondo.
Rodrigo Rivas
Hugo Blanco Galdos, un eroe antimoderno
Ho conosciuto Hugo Blanco nella manciata di giorni del seminario America Latina del 2012 a Cortona, dove egli fu invitato a perorare con passione la causa dei comuneros che attorno a El Perol, nel dipartimento peruviano di Celendin, lottano contro l’ennesimo megaprogetto minerario, il progetto Conga. Sono certo che invece di una prefazione tradizionale, Hugo apprezzi che essa apporti un tassello di supporto in più alla più impegnativa delle sue lotte di oggi. Del resto gli scritti di Eduardo Galeano e Raúl Zibechi offrono due presentazioni esaustive di questo libro, alle quali sarebbe difficile aggiungere qualcosa di significativo.
El Perol è una laguna cabecera de cuenca. Così sulle alture andine viene chiamata una fonte di acqua che, superficialmente o attraverso il sottosuolo, si espande su grandi estensioni di territorio dando origine a uno o più fiumi. Questa cabecera è parte di un ecosistema complesso che risulterebbe irrimediabilmente compromesso dalla miniera. La compagnia mineraria autrice del progetto ha dichiarato che interverrà su quattro delle molte lagune così formate: sotto a due estrarrà l’oro mentre le altre due verranno utilizzate come discarica. In realtà le lagune distrutte sarebbero oltre quaranta perché l’enorme scavo della miniera attirerebbe inevitabilmente le loro acque al suo interno, per legge fisica.
Spiega Hugo: le quaranta lagune di altura attraverso percorsi sotterranei alimentano con la loro acqua circa 600 sorgenti poste a diverse altitudini e riforniscono di acqua decine di migliaia di campesinos che la utilizzano per i loro campi e i loro allevamenti, per sfociare successivamente in cinque fiumi che si riversano parte nell’oceano Pacifico e parte nel bacino amazzonico finendo infine nell’oceano Atlantico. La miniera necessita di molta energia. Così queste acque verrebbero intercettate a valle, al loro arrivo sul Rio Marañón, affluente del Rio delle Amazzoni, per costruire una grande diga idroelettrica che espellerebbe varie centinaia di contadini dai loro terreni. Qui a El Perol, attorno alle lagune, è in corso da alcuni anni un esasperato braccio di ferro che ha già avuto i suoi morti -fra i comuneros, naturalmente-: da un lato il governo peruviano e una potente compagnia mineraria, dall’altro la popolazione locale, consapevole delle conseguenze che questa miniera “a cielo aperto”, ultimo grido della tecnologia mineraria, comporta: l’uso del cianuro per strappare pochi grammi di oro e di argento da ogni tonnellata di roccia. 192mila per la precisione, da frantumare ogni giorno per rendere redditizio un progetto del valore di oltre 5.5 miliardi di dollari.
Qualcuno dei lettori avrà certamente letto il bellissimo libro di Manuel Scorza, Rulli di tamburo per Rancas, che Hugo giustamente rammenta nel suo libro. Nel racconto di Scorza, era la Cerro de Pasco Corporation a seminare morte e disperazione. Una storia che si perpetua. Cambiate Cerro de Pasco Copper Corporation con Minera Yanacocha S.R.L., le regione di La Oroya con la regione di Celendin, il nome del presidente di allora con quelli dei presidenti Alan Garcia, Alejandro Toledo, Ollanta Humala, e il nome di Manuel Scorza con quello di Hugo Blanco, e sarete nella realtà di oggi, in una delle cattedrali della religione della modernità, lo “sviluppismo”. Cliccate sul web Minera Yanacocha e guardate. A La Oroya, dove la Cerro de Pasco ha la sua fonderia, ancora oggi i bambini nascono con il piombo nel sangue, e lo accumulano giorno per giorno arrivando ad averne, prima dei sei anni, fino a 10 microgrammi per decilitro di sangue, contro gli 0.010 stabiliti come limite massimo dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Minera Yanacocha in realtà si legge Newmont Mining Corporation, Compañia de Minas Buenaventura e Corporación Financiera Internacional, membro del Gruppo della Banca Mondiale. Tre giganti del potere minerario e finanziario mondiale da un lato, sostenuti da un governo, contro alcune migliaia di comuneros andini dall’altro: il divario delle forze in campo è smisurato, ma Hugo, l’uomo delle molte battaglie, impossibili sulla carta però vittoriose sul terreno, sulla copertina del n.87 (novembre 2013) del suo mensile Lucha Indigena -la cui sopravvivenza è sempre appesa a un esile filo- in un momento felice della lotta poté scrivere a caratteri cubitali,: “!Il grido trionfale fu: Conga no va!”. Una battaglia vinta non è la fine della guerra, però un passo avanti della speranza si, lo é.
Mentre scrivo queste righe, Hugo diffonde la notizia di una battaglia persa, almeno per ora, quella della famiglia Chaupe, che ha percorso tutti i gradi di giudizio per opporsi all’esproprio del proprio modesto appezzamento di terra che costituisce un cuneo inaccettabile nel cuore della miniera. Espropriati e condannati per resistenza! Ma i Chaupe non si arrendono, e Hugo neppure. Un’ulteriore battaglia, sul piano giudiziario questa, “impossibile” da vincere? Nel corso delle loro manifestazioni di resistenza i comuneros cantano Flor de Retama: “…la sangre del pueblo tiene rico perfume, huele a jazmines, violetas, geranios y margaritas, a pólvora y dinamita, carajo! a pólvora y dinamita, carajo!…” ( Il sangue del popolo ha un profumo inebriante, odora di gelsomini, violette, gerani e margherite, e di polvere e dinamite, carajo! polvere e dinamite, carajo!…).
Due parole sul libro, per dovere. Un linguaggio asciutto, incalzante, senza fronzoli, coinvolgente, come il personaggio: jeans, camicia colorata, due limpidi e penetranti occhi marroni su un volto bianco inquadrato da una candida barba e dall’immancabile cappello di paglia. Un discorso incisivo e chiaro, comprensibile alla gente comune, la sua gente. Già, un indio dal volto bianco … del più indio degli indios, nel cuore e nella mente. Hugo non manca di humor. Gustoso il suo riferimento al “valore aggregato”, espressione da lui usata per dimostrare, come annota argutamente, di avere anche lui una cultura adeguata ai tempi. Cultura che Hugo ha per istinto, profonda e con le giuste priorità, non negoziabili, per poter vivere con dignità, dalla parte degli oppressi di sempre. Nessun tentennamento quando il potere, che qualche volta sembra essere “buono”, (ma due volte ne ha chiesto la condanna a morte e un ministro gli ha perfino inviato in regalo una bara quando in prigione faceva lo sciopero della fame!), gli offre di lottare dall’alto, con un incarico di governo, per i suoi obiettivi. Hugo non ha dubbi: la lotta giusta sta in basso, a lato della sua gente.
Dotato di indiscutibili doti di leader, lo è in modo anomalo per il pensiero e la pratica corrente: le sue opinioni sono sempre sottoposte al vaglio dei compagni, alle cui decisioni si sottomette, anche quando non collimano con le sue. Strano, no, di questi tempi? In un’epoca di crisi della rappresentanza e di stravolgimento del potere, di assenza di ogni limite al sopruso, leggere le vicende di Hugo conforta e riorienta. Ci sono ancora la dignità, la speranza, la vita, al di là dell’economia, della finanza e dei “mercati”. Si, ci sono persone la cui vita ha tutti i requisiti per diventare leggenda. Hugo Blanco potrebbe essere una di queste, come Ernesto Guevara o Emiliano Zapata. Nelle loro leggende i popoli che le tramandano trovano forza e speranza per le loro lotte. Ma la leggenda crea un’icona, che cristallizza e imbalsama e fa dimenticare la persona reale, con le sue ansie, le sue pene, quale Hugo Blanco è: ancora oggi in piedi sulle barricate, inesauribile, con la sua eccezionale carica di umanità e il suo desiderio di andare oltre, perché i successi sono ormai realtà del passato mentre le necessità del presente sono ancora tante, tante, tante … “Noialtri, gli indigeni!. Un libro da non leggere distrattamente!
Aldo Zanchetta
Per richiedere il libro scrivere a: aldozanchetta@gmail.com
Articolo di Hugo Blanco uscito su Lucha indigena e tradotto dal Giga:
http://www.pisorno.it/hugo-blanco-la-lotta-per-la-terra-in-peru/