Impressioni a caldo sulle vicende siriane di Raffaele Picarelli, Rodrigo Rivas e Andrea Vento
Cenni storici sulla Repubblica Araba Siriana
Nella notte fra il 7 e l’8 dicembre 2024, appoggiati dalla Turchia, i miliziani Jihadisti di Hayat Tahirir al Sham (Hts) e delle altre forze come l’Esercito Nazionale Siriano (Sna) e l’Esercito Libero Siriano (Fsa), dopo una rapida avanzata dalla sacca nord-occidentale di Idlib verso sud, sono entrate a Damasco senza incontrare praticamente resistenza, costringendo il presidente Bashar el-Assad alla fuga all’estero.
La Repubblica Araba Siriana, sorta nel 1961 dopo la disgregazione dell’effimera Repubblica Araba Unita formata dall’Egitto di Nasser e dalla Siria nel 1958, è definitivamente caduta a fine 2024 dopo 14 anni di guerra civile internazionalizzata.
Una repubblica la cui guida venne assunta nel 1963, con un colpo di stato, dal partito Ba’th, d’ispirazione progressista, laica e in origine panarabista, e che nel 1966 registrò un altro colpo di stato da parte della corrente di sinistra dello stesso Ba’th che portò il paese su posizioni più marcatamente socialiste e filo-sovietiche.
Infine, nel 1970, il generale Hafez el-Assad, leader della corrente nazionalista del Ba’th ed espressione della minoranza alawita, tramite un ulteriore colpo di stato assume la guida del paese mantenendola sino alla morte nel 2000. Ad Hafez subentra alla presidenza il secondogenito Bashar che a sua volta ha tenuto le redini della repubblica per 24 anni.
Sotto la guida di Hafez el-Assad, il “leone di Damasco”, il consolidamento del rapporto con l’Unione Sovietica porta alla creazione della strategica base navale di Tartus sulla costa siriana mediterranea e una stretta alleanza suggellata dal Trattato ventennale di amicizia e cooperazione del 1980.
Dopo la dissoluzione dell’Urss nel 1991, i rapporti fra Russia e Siria sono rimasti sempre molto solidi, e addirittura Damasco rimase l’ultimo alleato russo nella regione, dopo l’intervento Usa in Iraq nel 2003 che portò alla caduta di Saddam Hussein.
Allo scoppio della guerra civile siriana nel 2011, poi internazionalizzata a seguito del coinvolgimento di attori esterni, di fronte alle difficoltà dell’esercito lealista, Mosca, insieme all’Iran e a Hezbollah, è intervenuta efficacemente per difendere militarmente il traballante regime di Bashar el-Assad, consentendogli di rimanere in sella, sino al 7 dicembre, seppur molto indebolito sia politicamente che militarmente.
Andrea Vento
Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati
Mattina presto di domenica 8 dicembre, con la situazione ancora in fase di sviluppo:
È in corso una spartizione della Siria.
Tutte le parti, chi più chi meno, sono coinvolte. Due attori scompaiono.
Ritengo che la Russia abbia deciso, fin dal momento delle elezioni Usa e del loro esito, di trovare un accordo globale con la nuova amministrazione statunitense, le cui forti pulsioni antiraniane non erano state celate da Trump in varie occasioni negli scorsi mesi.
Il Sette Ottobre è stata l’ultima disperata carta della Resistenza palestinese, come i disperati attacchi dei kamikaze giapponesi alla flotta americana nel Pacifico.
Il Sette ottobre è stato sostanzialmente considerato un atto terroristico da Russia, Cina e stati arabi (non dall’Iran e dal governo siriano). Sono stati condannati solo gli “eccessi” di Israele.
Recentissima cartina di tornasole è stato il violento attacco di Assad ai governi arabi, nel giorno della sua riammissione nella lega araba, per la loro terribile inazione nel genocidio di Gaza, inazione accompagnata da una notevole quantità di inutili parole di condanna da parte loro e della Turchia.
l’Occidente, Israele, la stragrande maggioranza dei paesi arabi, Russia e Cina (non l’Iran) guardano tutti al cadavere dell’Anp per dirigere sotto l’egida israeliana o di un proxy un po’ di tutti (come l’Arabia Saudita), Gaza e Cisgiordania, accompagnati dal falso e fuorviante ombrello dei “due stati”.
Al di là dei movimenti tattici di questi giorni, l’atteggiamento russo di ambiguità e di disimpegno si è palesato nella mancata risposta ai bombardamenti israeliani sulla Siria.
La partnership militare Russia–Iran, che doveva perfezionarsi a Kazan, non ha visto mai la luce: e questo perché il forte impegno iraniano a favore della lotta palestinese avrebbe comportato, in caso di suo perfezionamento dell’accordo, un coinvolgimento DIRETTO DELLA RUSSIA CONTRO TRUMP. Cosa che la Russia assolutamente non vuole perché punta ad un accettabile accordo con gli Usa sulla vicenda ucraina, del quale ritiene Trump un capace garante.
L’Iran e la Siria si sono trovati soli. E allora?
A mio modesto giudizio, nel vertice di Doha Russia-Turchia-Iran di venerdì scorso e nei colloqui tenutisi in appendice tra Iran e Arabia Saudita, si è deciso il nuovo riassetto dell’area, da coordinare con Usa e Israele.
Sì può verosimilmente prevedere che esso conterrà:
1) l’abbandono del governo di Assad, di Hamas e di Gaza, dove in queste ore sono cominciate le deportazioni organizzate. Cioè l’abbandono degli attori più deboli;
2) una spartizione della Siria e un riconoscimento reciproco di aree di pertinenza in favore di Turchia, curdi, Hts (e quindi Occidente), Russia, Israele e , in misura assolutamente ridimensionata, Iran tramite Hezbollah;
3) una riverniciatura, in chiave di spendibilità dell’Hts alle opinioni occidentali (no a sgozzamenti, sventramenti etc.). Un fermo al progetto trumpiano dello scontro, anche diretto, Usa/Iran;
4) la sopravvivenza di un Hezbollah normalizzato e più arrendevole sul piano territoriale del Golan e delle aree adiacenti in cambio di una maggiore cooptazione del movimento (e del partito) nel quadro istituzionale libanese, ruolo questo che probabilmente anche l’Occidente riconoscerebbe;
5) una reviviscenza degli accordi di Abramo, con il “contentino” per Russia e governi arabi della riverniciatura del logoro e irreale slogan “dei due Stati” per la Palestina;
6) un riconoscimento delle basi russe, navale e aerea, e delle aree adiacenti;
7) un accordo di sostanziale coesistenza (che coinvolga la Cina rimasta inerte in tutta la vicenda siriana) tra le esigenze commerciali e infrastrutturali di tutti gli attori.
Quindi una normalizzazione che vede cedere la Russia e l’Iran (ma anche la Cina) e che vede prevalere, ci auguriamo nel breve periodo, l’integralismo sionista dell’amministrazione Trump declinata in salsa pragmatista e risultativista.
Raffaele Picarelli
Ciao Raffaele,
Stavolta sono sostanzialmente d’accordo con te.
La tua mi sembra un’analisi lucida e disincantata.
Manca, ma non cambierebbe nulla dal punto di vista dell’attualità, una riflessione su ciò che Assad rappresentava per la Siria.
Penso, ma bisognerebbe approfondirlo, che fosse solo un proconsole rimasto in piedi grazie agli appoggi esterni, e in questo senso la sua scomparsa non mi addolora particolarmente.
Nell’insieme, mi pare possibile distaccare 4 cose:
a) la perversa lucidità e continuità della politica sionista
b) il livello di bassezza morale di chi pensa di poter convivere con i tagliagola, addirittura occupandosi di riverniciarli
c) l’accelerazione del ritorno al profondo medioevo. Certo, so bene che si tratta di un medioevo tecnologico, con scope volanti e draghi assortiti, ma ciò non incide affatto sulla sua natura repellente. E non s’intravvedono re Artù e Lancilloto.
Anzi, se comparisse un novello Robin Hood, lo appenderebbero ad un albero i suoi, per coglione
Un abbraccione
P.S.: quali sarebbero le zone lasciate agli alauiti che i fanatici possono rispettare?
Lo chiedo perché, secondo me, specie il fanatismo non può accettare zone franche, e cioè zone in cui la vita si organizza diversamente, perché ciò tradirebbe la sua verve messianica.
Un abbraccione a Mariella
Rodrigo Rivas
Cari amici
Credo che una riflessione vada fatta anche sull’eccessiva enfasi posta in questi ultimi 2 anni al cosiddetto campo antimperialista che, oltre a non avermi mai convinto come unica chiave di lettura di ogni situazione come invece settori della nostra area hanno proposto con forza, alla luce di questa vicenda, ne vada ridefinita l’essenza.
A me hanno sempre insegnato che benché da posizioni contrapposte, spesso anche aspre, i soggetti geopolitici hanno quasi sempre mantenuto il dialogo e cercato di trovare accordi in sede diplomatica per ottenere vantaggi o quantomeno limitare danni. L’aver eretto la Russia a bastione antimperialista, scambiandolo per la forza propulsiva della rivoluzione proletaria mondiale, è stato un errore analitico strategico.
La Russia persegue giustamente la propria politica di potenza nell’ottica del proprio interesse nazionale e, anche sulla scorta della grande capacità diplomatica, cerca sempre di tessere la tela del dialogo con tutti, da Israele, alla Turchia, dal paesi del golfo all’Iraq. L’errore è averla eretta a paladina degli oppressi dell’imperialismo. Le ultime vicende mediorientali dimostrano che la Russia ha fatto pochissimo per i palestinesi e ora per difendere Assad.
La stessa chiave di lettura distorta che porta all’insopportabile falso storico dei curdi agenti dell’imperialismo usa. Quando i curdi fra fine 2014 e inizio 2015 erano assediati a Kobane e combattevano casa per casa contro l’isis, la Turchia ha sigillato il confine e la Russia si è disinteressata, lasciando così campo all’intervento aereo usa. Stati uniti che poi hanno sostenuto le Sdf in tutta la campagna di liberazione della Siria orientale dall’isis, facendone anche un uso strumentale visto che in quella fase erano gli unici in grado di respingere l’isis sul campo. Perché è intervenuta tardivamente la Russia e solo in appoggio a Damasco e non ha sostenuto lo sforzo militare dei curdi?
I curdi non sono agenti dell’imperialismo come la falsa narrazione vuol far credere, bensì perseguono, insieme ad altri popoli della regione, il proprio progetto di autogoverno in base ai loro principi che evidentemente piace visto che vi si sono unite anche tribù arabo sunnite.
E in quest’ottica, come insegna la Russia, tessono la tela diplomatica con chi trovano conveniente.
Che non sono la quinta colonna usa in Siria è confermato dal fatto che Trump non ha esitato a dare via libera all’invasione prima del cantone di Afrin nel 2018 dal quale sono passati i rifornimenti per la sacra di idlib.., e poi della fascia di confine di parte del cantone di kobane nel 2019, da parte della Turchia con massacri e pulizia etnica.
Uno a questo punto dirà, così imparano ad accettare l’aiuto degli Usa..ma non mi sembra che anche la Russia nonostante il solido rapporto 50ennale abbia fatto molto per salvare Assad. Credo piuttosto si sia preoccupata di avere garanzie per la parte costiera dove si trovano le due basi, Tartus e vicino Latakia, che, fra l’altro è anche la zona a maggioranza alawita. Essendo l’esercito imperniato su alti ufficiali alawiti può anche darsi che non abbiano dato ordine di combattere a difesa della capitale, peraltro a maggioranza sunnita, in cambio di garanzie per le sorti dell’esrcito e i territori alawiti, abbandonando Assad.
Credo che le narrazioni distorte ai danni dei curdi siano state una brutta pagina che, non solo non ha riscontri storici, ma che è palesemente smentita dalle vicende in corso in quanto è evidente che ogni soggetto geopolitico persegue i propri fini e interessi e cerca di raggiungerli in primis col dialogo. La Russia è maestra in questo e lo ha dimostrato anche in questa occasione.
In conclusione credo che:
1) La vera sconfitta di questi sviluppi è a mio avviso l’Iran che ne esce geopoliticamente ridimensionato a seguito del sostanziale sfaldamento dell’asse sciita della cosiddetta resistenza che perde la continuità territoriale dell’altopiano iranico al mediterraneo.
2) Hezbollah è pesantemente indebolito, Assad è fuggito all’estero e l’Iraq è da 20 anni inconsistente. Restano gli Houti dello Yemen, vedremo cosa decideranno di fare.
3) Da questa guerra globale mediorientale esce vincitrice la Turchia, vero sponsor dell’operazione e in secondo luogo Israele e gli Usa, la Russia limita i danni e la questione palestinese verrà chiusa da Trump a modo suo.
Del futuro della Siria non oso previsioni in merito agli sviluppi interni, perché al momento in questa fase convulsa non ho elementi. Sul piano internazionale sarà filo turca e vicino a Usa e Israele.
Il nuovo volto del Medio Oriente perseguito e non realizzato da Trump nel primo mandato, lo troverà in dono sulla scrivania dello studio ovale quando si insedierà il 20 gennaio.
Prodigi della geopolitica
Andrea Vento
Ciao Andrea
Ho già detto cosa penso nella risposta spedita a Raffaele
Aggiungo pochi appunti
a) sui curdi concordo con te e, infatti, prevedo che la sistemazione concordata della regione lì lascerà fuori. Paria erano, paria resteranno.
b) il regime di Assad stava in piedi con lo sputo e la sua scomparsa non è un assolutamente dramma, almeno per me, in quanto non ho simpatie per nessuna dittatura personali, nemmeno quando assumono posizioni antimperialiste.
c) oltre agli iraniani e ai curdi, gli altri sconfitti per davvero sono i palestinesi.
Per loro si prospettano lunghi tempi d’isolamento
d) visto l’atteggiamento della Russia e della Cina, confermo tutte le mie perplessità sui BRICS la cui unica positività intravvedo nei confronti del dollaro e, se ci riuscirà no, per la messa in piedi di un sistema finanziario alternativo.
e) prevedo una nuova stretta sugli immigrati, a partire dai siriani. Per la UE è un modo di riallinearsi alla bulloterapia trumpiana. Il loro senso della opportunità è opportunismo allo stato puro. Poi magari si sorprendono dal fatto che sono in-credibili.
f) è la crisi sistemica baby. La geopolitica ne è solo uno strumento di lettura.
Aggiungo: se la politica fosse davvero solo questo, considererei più utile darmi agli scacchi.
Non sono ancora arrivato a questa conclusione.
Rodrigo Rivas
immagine di copertina creata con ChatGPT