21 Giugno: Appunti sul solstizio d’estate
Sin dalla notte dei tempi, al giorno più lungo e alla notte più breve dell’emisfero boreale sono stati attribuiti significati esoterici.
L’astronomia indica che il Solstizio – dal latino sol stetit, il sole si ferma – avviene quando l’asse terrestre raggiunge il massimo grado di inclinazione (23° 27′) rispetto all’eclittica, e cioè al piano di rotazione della terra attorno al Sole (figura 1).
Figura 1: la posizione dell’asse terrestre nell’equinozio e nel solstizio rispetto al piano dell’eclittica
All’incirca il 21 giugno, quando il Polo Nord punta verso l’astro solare, gli abitanti dell’emisfero vivono il “punto di svolta” nell’annuale viaggio che il Sole compie sul nostro orizzonte: la nostra stella resta nel cielo più a lungo e comincia il suo giro di ritorno verso l’inverno (figura 2).
Quando si parla di celebrazioni quali i Solstizi inevitabilmente si fa riferimento al paganesimo, poiché le grandi feste stagionali erano un elemento importante alle religioni europee pre-cristiane e al paganesimo.
Figura 2: l’orbita ellittica compiuta dalla Terra intorno al sole
Lo scorrere dei giorni e l’alternarsi delle stagioni erano celebrati con riti esoterici dagli antichi popoli.
I Celti celebravano uno dei quattro sabba minori della ruota dell’anno pagana, la festa della dea Litha, convertita dalla cristianità nei rituali per San Giovanni.
Per gli antichi Cinesi, il solstizio di giugno era il momento in cui l’energia terrena YIN (femminile) nasceva e si rafforzava mentre l’energia solare YANG (maschile) s’indeboliva.
Le tradizioni legate al Solstizio d’inverno persistono – mascherate da festeggiamenti di Natale e Capodanno – ma gli antichi riti del Solstizio d’estate sono praticamente scomparsi dalla cultura moderna.
Dal punto di vista mitologico-antropologico, probabilmente ciò deriva dal fatto che il Solstizio invernale (al quale si associano natale e capodanno) è da sempre considerato una festa del Cielo e del Sole (principi divini maschili), e quello estivo festa della Terra, l’elemento divino femminile.
La cultura occidentale dominante ha sistematicamente soppresso l’elemento femminile, esaltando quello maschile.
Le culture dominate dell’emisfero boreale hanno scopiazzato, anche per l’imposizione del cristianesimo. Sussistono tradizioni diverse tra i popoli originari che, giustamente, il 21 giugno celebrano “la notte più lunga dell’anno”.
Ma a livello generale, comunque e dovunque le grandi feste della Terra come il 21 giugno, il Calendimaggio o le celebrazioni della Luna Piena, sono state sostanzialmente dimenticate.
Nel suo circuito annuale, il Sole percorre un anello che di fatto collega i quattro punti cardinali Est-Ovest e Nord-Sud formando una croce inscritta in un cerchio.
Gli Equinozi sono sull’asse orizzontale, i Solstizi sulle estremità dell’asse verticale.
Quindi, i Solstizi corrispondono a due porte principali, i varchi dove il Sole cambia rotta e torna indietro.
Nella tradizione romana il significato esoterico del solstizio è indicato dalle divinità Giano e Vesta situate alle due soglie cardinali, che corrispondono all’inizio e alla fine del mezzo giro e coincidono quasi perfettamente con il calendario celtico suddiviso nei sei mesi bui e nel semestre della luce.
Attraversare il buio cosmico equivale a un viaggio nell’oltretomba, cioè al prepararsi all’iniziazione – simbolo di trapasso rispetto al mondo profano – e alla discesa agli Inferi.
Giano rappresenta il flusso di morte e rinascita del Sole e sovrintende ai varchi solstiziali detti anche Janua Coeli e Janua Inferi.
Il Dio dal doppio volto apre e chiude il ciclo dell’anno: introduce ai grandi e ai piccoli misteri, dà accesso alle vie dei cieli e degli abissi, è chiamato il Signore delle due vie e dispone della chiave d’oro e della chiave d’argento.
Il grande studioso di simbolismi René Guénon, rifacendosi alle tradizioni greca e indù ha riletto come porte di ingresso e di fuga i due punti di accesso segnati dallo zodiaco sull’asse Nord-Sud.
L’entrata è indicata dalla Porta degli Dei, associata al solstizio d’inverno e alla costellazione del Capricorno.
L’uscita dalla Porta degli Uomini, collegata al solstizio estivo e all’entrata nel segno del Cancro.
Il passaggio delle due costellazioni simboleggia l’incontro del cielo e dell’acqua, “rappresenta le due mezze parti dell’uovo cosmico che vanno a formare la sfera, emblema dell’androgine primordiale e del vuoto animato: il Kàos”.
Il Sole, entrato dalla porta degli Dei, ha condotto in sei mesi il suo ciclo virtuoso approdando al suo massimo, il solstizio d’estate, punto dal quale
inizia una discesa, ovvero il suo viaggio inverso e discendente verso gli Inferi.
I Celti vi celebravano Litha, sabba minore della ruota dell’anno precristiana.
Il vero ingresso nel semestre di luce era rappresentato dalla festa di Beltane, in anticipo di circa un mese rispetto alle aree del Mediterraneo, ma durante i solstizi si compiva il prodigio dei siti megalitici.
Nei dolmen, menhir, cromlech, i raggi del sole penetrano all’interno proiettando un cerchio di luce o attraversando come una spada luminosa lungo tutto il percorso per poi colpire perfettamente il cuore del sito.
Questi megaliti monolitici e cerchi di pietre, vastissimi e imponenti (Stonehenge è il più noto – figura 3), erano luoghi sacri celtici, templi deputati ad accogliere i riti per i solstizi e ancora oggi rappresentano siti di osservazione astronomica universalmente riconosciuti come accumulatori di energia cosmica.
Nei rituali del solstizio d’estate compare spesso il vischio.
Nei miti nordici riguardano la divinità norrena Balder – o Baldr, dio della luce.
I druidi associavano questo sempreverde simbolo dell’eternità alla folgore celeste. Secondo Plinio, lo raccoglievano con un falcetto d’oro il sesto giorno della Luna. Durante la cerimonia di raccolta non poteva essere toccato direttamente né doveva essere posato a terra: i rametti venivano avvolti in un panno di lino bianco per trasportarli.
Il nome scelto dai Celti per il vischio significa “colui che guarisce tutto”. Lo usavano contro ogni malattia, inclusa la sterilità, dopo che i druidi – con una sorta di trasformazione alchemica – tramutavano la pianta velenosa in farmaco.
Figura 3: il sito archeologico di Stonehenge durante il solstizio d’estate
Il sacro vischio è narrato in molti racconti e leggende, e ancora oggi è presente nella nostra tradizione che lo vuole sopra le soglie delle case come principio ben augurante.
Nei paesi scandinavi i falò rituali del solstizio d’estate erano i “fuochi di Balder”, accesi con rami secchi di vischio raccolti sei mesi prima.
I rabdomanti preparavano bacchette divinatorie con rami di vischio per trovare sorgenti d’acqua.
Il simbolismo del vischio è legato ad entrambi i Solstizi.
Narra dell’eterno scontro tra il re della Quercia – che ospita il vischio come pianta parassita – e il re dell’Agrifoglio.
Il conflitto è vinto a tempi alterni da entrambi i re.
La simbologia indica l’eterno alternarsi del regno della natura, il ciclo vegetale dell’anno nel susseguirsi delle stagioni.
La Quercia, simbolo del semestre di luce, viene meno in Estate mentre l’Agrifoglio, simbolo del semestre dell’oscurità, soccombe in Inverno.
Tra i sassoni la Dea Litha, associata a Demetra/Cerere, assisteva alla contesa tra i due Re e al loro conseguente alternato sacrificio.
Litha si limitava a osservare. Non prendeva parte allo scontro e non parteggiava per uno dei contendenti poiché rappresenta il perno stabile intorno al quale ruotano le stagioni della morte e della vita.
Come già osservato, i cristiani hanno sostituito la celebrazione di Litha con la festa di San Giovanni, che ne ha raccolto e mantenuto molte tradizioni diffuse.
La notte che precede San Giovanni si accendevano dei fuochi appiccati con erbe vecchie. I falò e la tradizionale raccolta delle erbe giovani sancivano il momento di svolta dell’anno e la conseguente rigenerazione.
Alle piante raccolte nel giorno più lungo dell’anno si attribuivano qualità prodigiose: erano medicamentose, valide come talismani, predicevano il futuro.
Tra queste il cardo, la salvia, la verbena, la valeriana, la maggiorana, la menta, l’artemisia, la ruta, l’arnica e l’iperico, “l’erba caccia streghe o scaccia diavoli, che raggiunge l’apice della fioritura proprio nei giorni del Solstizio”.
A questa tradizione si aggiungeva la rugiada della festa di San Giovanni, legata al rito dell’acqua odorosa.
In molte zone d’Italia, alle prime luci dell’alba si esponeva un catino con acqua impregnata di fiori. Le ragazze in età da marito usavano bagnarsi per propiziare le nozze ma, in generale, bagnarsi con la rugiada dalla notte più corta dell’anno era un atto purificatore.
Le comunità contadine si riunivano all’alba e, in un rito collettivo, si bagnavano gli occhi per proteggere la vista e favorire la capacità di vedere oltre il mondo visibile.
Questa abluzione rievocava anche il battesimo di Giovanni ed i lavaggi di purificazione precristiani.
Tra le credenze legate alla ricorrenza, in questa magica notte una trave di fuoco attraversava il cielo. Su di essa c’erano Erodiade e la figlia Salomè, che aveva ottenuto da Erode la testa di San Giovanni Battista su un piatto d’argento. Le due, disperate, vagherebbero nel cielo gridando: “Mamma perché me lo chiedesti! Figlia perché lo facesti”.
All’alba, anche nel sole si osserva qualcosa d’oscuro: il 24 giugno la sfera, più luminosa del solito, delimiterà un cerchio di fuoco interno che gira instancabilmente per qualche ora.
Le “ragazze da marito” che riusciranno a vedervi la testa di San Giovanni decapitato, si sposeranno entro l’anno.
Rodrigo Rivas