Il sol dell’Avvenire – Morettismo, fase senile del cinefilismo
Premessa necessaria, andare a vedere un film di Moretti, per chi scrive è comunque necessario, perché il regista romano resta sempre un autore importante del cinema italiano, soprattutto lo è stato fino alla sua produzione dei ’90, anche se ormai sono anni che gira intorno al vuoto del suo solipsismo acido, che adesso, non sapendo probabilmente più a cosa attaccarsi, si affida allo specchio in cui si riflettono lui e i suoi fedelissimi fans, fantasmi di un paese ormai morto che sa guardarsi solo indietro, per come sia terrorizzato da una qualsiasi possibilità di futuro: in questo senso, anche solo per questa sua funzione di specchio rivelatore di un cupio dissolvi collettivo, per chi scrive ovviamente, è importante fare una lettura, seppure breve e limitata per spazio e per intelligenza del suo compilatore, di questo “Sol dell’Avvenire” uscito da quelle settimana nelle sale dello Stivale.
Questo ultimo film, più che brutto, a dire la verità è inutile, sembra il disco di una vecchia gloria del rock ‘n roll che, ripulitasi a festa, tira fuori i vecchi panni, la giacca di pelle lisa e sdrucita di quando era teenager, ripete la stessa canzone, il solito vecchio passo di danza, senza avere più la voce e gli argomenti di un tempo, esibendosi soprattutto per i suoi indefessi ammiratori, più che altro ingrigiti come lui e sempre pronti al sorriso e/o alla lacrimuccia a ogni mossetta del proprio idolo, ma a tutti gli altri vederlo in azione oggi può suscitare solo “sorrisi di noia” come dice il mio amico Marco Lenzi.
Certo, una sequenza di Nanni è COMUNQUE più interessante di TUTTA la filmografia di Muccino, Virzì, Salvatores, Rubini e tanti altri sepolcri imbiancati del cinema italiota che non nomino perché sennò mi viene uno sturbo; Nanni inquadrato storto che sbadiglia al cinema è più interessante a vedersi di qualunque orrore abbia mai girato WV, che Hitchcok e Wells lo fulminino dall’Olimpo dei Cineasti non appena pensi di sprecare altro denaro pubblico come ha fatto con il suo ultimo film, che solo a leggerne la trama mi fa venire solo desideri iconoclasti.
Il problema grosso è che tutto quanto si vede in questo film è già stato visto, tante, troppe volte: Nanni che se ne va a giro a vedere realtà da adoperare come set (la Vespa l’ha venduta, forse, perché usa il monopattino) e mette in scena la vita sua da regista, con tanto di metamovie (è il quarto!), parla del PCI (basta, basta, basta, sono passati più di trenta anni, ci vuole una moratoria!); ci sono i soliti, ormai insopportabili balletti sulle canzoni italiane, gli appunti sui film da fare, che, naturalmente, poi non farà, come il famoso film sul pasticcere Trozkista negli anni ’50 che aspettiamo ancora adesso!. Ma c’è una scena che, secondo me, racconta bene l’inutilità del film e la sua distanza da qualsiasi forma di realtà: la polemica (anche questa non nuova) sull’uso della violenza al cinema, dove Giovanni/Nanni blocca una troupe intera per dire la sua su una scena di omicidio, da bravo maestrino, e non contento di dirla lui chiama a raccolta una sfilata di espertoni, tutti ovviamente ospiti abituali di Fazio: Renzo Piano, Chiara Valerio, Augias … praticamente il congresso dei radicali chic italiani, di cui il Moretti del 2023 potrebbe essere il presidente onorario. A me personalmente, seduto in poltrona e impaziente sempre più a ogni secondo che passava, quella sequenza astiosa mi ha fatto venire voglia di rivedermi tutti i poliziotteschi più violenti e trucidi, da Umberto Lenzi a Kitano passando per tutto l’Ispettore Callaghan. Stendo poi un velo pietoso sul corteo finale “a la Fellini”, che a me ha ricordato più il mitico finale di “FFSS”, epico super trash movie di Arbore & De Crescenzo, quando i due mattacchioni non sanno come finire il loro scombiccherato filmaccio e chiedono aiuto al Maestro, ed Esso, con un bigliettino, consiglia loro “Fate il solito girotondo”: di tale ameno momento salvo solo l’apparizione nostalgica di Dario Cantarelli, Fabio Traversa, Gigio Morra e tutta l’amata compagnia di un bel cinema che non esiste più, anche perché se devo credere davvero all’idea di un Moretti rivoluzionario marxista – leninista, sinceramente faccio fatica anche solo a immaginarmelo (siamo seri, suvvia).
Lo confesso senza pudore e vergogna, io un tempo Nanni lo amai (fino a Caro Diario) ora basta, che faccia il produttore, il distributore, il gestore del suo cinema, che è uno che ne sa e tanto: ma la sua supponenza verso i giovani autori che mostra nella scena nominata sopra è pari solo all’astio acido che aveva da giovane per i maestri, anche se l’immenso Monicelli una volta lo asfaltò in TV con garbo, ma anche con sottile cattiveria. Si, lo so, mento sapendo di mentire, tanto andrò a vedere anche i prossimi film che Moretti farà, il perché lo ho detto sopra, se sarò il caso mi piaceranno oppure no, ma non sarà per motivi di simpatia o antipatia per il regista/personaggio, come si sente dire e scrivere da quando è uscito questo film, dando fiato a quello che è il male più pericoloso per la cultura e la società italiana odierna, quella della morte della critica, intesa come attività libera, indipendente, diretta sull’oggetto prima che limitata al soggetto.
Falco Ranuli
P. S.: e poi, dulcis in fundo, lei, M. B. , perché ancora M. B., perché un attrice che recita da tempi immemorabile solo la parte di se stessa? Ha anche vinto SETTE David di Donatello! Ma perché?
Il mio sogno proibito è un cinema italiano in cui M. B. abbia finalmente il ruolo che si merita, ossia la venditrice di seme, noccioline, bombe a mano… ecc, ma nella via prospiciente la sala di proiezione, non dentro, per carità.