Comunicazione e culture

Io sono Giorgia e l’Italia siamo noi

Alla fine di questa breve e inusuale  tornata elettorale, come da previsioni e sondaggi vari, ci siamo trovati Fratelli d’Italia, fiamma compresa, primo partito italiano e Giorgia prossimo presidente del Consiglio. Sarebbe ora necessario chiarire alcuni aspetti di questa Italietta che sembra destinata a scivolare via senza futuro, senza battaglie, senza movimenti, senza nascite e senza sogni.

Io sono Giorgia

19 ottobre 2019: patria da amare, famiglia da difendere, orgoglio italiano, forse l’ascesa di Giorgia nasce proprio qui: migliaia di persone sono arrivate in piazza San Giovanni a Roma per la manifestazione del centrodestra contro il governo giallorosso e proprio dal discorso della Meloni davanti a questa piazza è stato concepito il video remix tormentone “Io sono Giorgia” prodotto, in maniera ironica, da Mem & J, definiti creatori di musica tamarra e trash.
Alcuni giorni dopo la stessa Meloni dirà: “2 buone notizie: la prima è che la hit “io sono Giorgia” è prima in classifica sui social, la seconda è che oggi i sondaggi danno Fratelli d’Italia al 10%. È tutto molto incoraggiante 😂”
Sicuramente nell’ultimo decennio l’uso di applicativi, social e algoritmi ha modificato totalmente il modo di fare politica e di far girare immagini, notizie, fake, slogan e parole d’ordine; basti pensare agli ultimi leader portati in auge negli ultimi anni: Renzi, Grillo, Salvini e ora Meloni. In questo senso  risulta interessante  la puntata di Report a ottobre 2019 sui “Gruppi che condividono #fakenews sui migranti  che nascono come pagine di sport e di agricoltura. E, dopo aver fatto incetta di membri e follower, cambiano la propria denominazione, diventando gruppi a supporto della Lega e dei Cinquestelle oppure di Giorgia Meloni con la cantante Francesca Michielin e la pagina “Trash Italiano” i cui follower a maggio del 2019 sono praticamente gli stessi. Sono anomali perché hanno meno di 10 follower e sono stati creati tutti quanti nello stesso periodo”

Gli invisibili e i fedelissimi

In queste elezioni politiche è stato registrato un record:Il 36%, percentuale mai raggiunta nelle elezioni politiche italiane, non ha votato, è rimasta a casa o è andata al supermercato, ha fatto quello che doveva fare senza rimpianto e senza remore: se ne è fregata altamente di arginare le destre o di votare il meno peggio o di sperare ancora in un cambiamento della loro vita attraverso un voto. Ma chi sono, cosa rappresentano, cosa ci vogliono dire? Sicuramente molto alta la percentuale di non votanti tra le fasce povere della popolazione (In Calabria per esempio ha votato solo il 50,79%). Qualsiasi progetto di cambiamento radicale della politica non può prescindere da un serio e profondo coinvolgimento di questa percentuale d’invisibili.
Per approfondire: https://jacobinitalia.it/se-16-milioni-vi-sembran-pochi/

I fedelissimi della destra: quel numero di votanti, uguale in termini di voti tra le elezione del  2018 e del 2022 (circa 12 milioni e qualcosa), quel numero che ha toccato il 50% dei consensi elettorali tra il 2001 e il 2006, quando serve si mantiene sempre alto, i fedelissimi votano sempre centro destra o destra, a secondo delle convenienze e dei bombardamenti mediatici e sono sempre lì, uno zoccolo duro che non rinuncia a privilegi e posizioni, con il consenso comunque di ampi strati popolari che sono stati adescati, con le solite promesse clientelari e le parole d’ordine patria e famiglia, ma anche con una propaganda  martellante contro immigrati e delinquenti che riesce a far vedere il nemico nel povero più povero di te o in quel fannullone che percepisce il reddito di cittadinanza.

La memoria si è fermata qui

Come in quella lontana Eboli descritta da Carlo Levi nel suo romanzo, sembra davvero che ci sia una zona geografica dai confini invisibili, oscura e religiosa, dove la cultura e la società non riescono mai ad arrivare. Qui, in questi luoghi dai contorni mal definiti il pensiero non riesce mai a diventare riflessione profonda, respiro del futuro e condivisione reale del noi.
Qui la memoria collettiva si ferma; in questi spazi fisici e immateriali al tempo stesso, chiusi, degradati e in questo clima di revisionismo e di nazionalismo purtroppo diventa facile dimenticare gli eccidi nazisti, le stragi fasciste, i loro stretti legami con il capitalismo e tutti quei morti che non possono ancora una volta ritrovare giustizia e memoria per le generazioni future.
Ancora più difficile comprendere che “Il vecchio fascismo, quale che sia la sua realtà e potenza in molti paesi, non è il problema all’ordine del giorno. Ci si preparano nuovi fascismi, si installa un neofascismo rispetto al quale l’antico fascismo sembra folklore. Il neofascismo non consiste in una politica e un’economia di guerra: è un’intesa mondiale per la sicurezza, per la gestione d’una “pace” non meno terribile, con l’organizzazione di concerto di tutte le piccole paure, di tutte le piccole angosce che fanno di noi tanti micro- fascisti ansiosi di soffocare ogni cosa, ogni volto, ogni parola che risuona nella propria strada, nel proprio quartiere…” (Gilles Deleuze)

E allora il PD?

A partire dagli anni 80 il centro sinistra si è trasformato, anno dopo anno, non solo in Italia, in un apparato di regime che smista e coordina leggi, decreti, in funzione di un adesione calcolata al neo liberismo, alle leggi sul lavoro a favore delle aziende, funzionari di professione e uomini di Fondazioni, Cooperative e aziendalismo di stato: basta  pensare negli ultimi anni che niente è stato fatto a favore di una legge sul salario minimo e che il reddito di cittadinanza, pur nei limiti evidenti di quello vigente ora in Italia, è stato reso possibile grazie a un governo giallo verde… Non solo nella sostanza ma anche a livello mediatico il centro sinistra è stato distrutto dalla destra  con semplici slogan: dal  famoso “E allora il PD?”  alle gettonate “risorse” della Boldrini.
Parliamoci chiaro, per il bene di tutti, il PD deve sparire di nome e di fatto per i danni incalcolabili che ha fatto al Paese e alla sinistra in generale.

Genitore 1 e Genitore 2

Ci hanno fregato anche lì, divisi su tutto, tutti che hanno abboccato al grande inganno della destra che ha ripreso il peggio della reazione cattolica e che ha battuto il ferro caldo sul pensiero unico, sulle lobby dei gay che governano il mondo, la sinistra fucsia, le comunità LGBT che vogliono troppo, anche i figli, i radical chic che pensano ai diritti civili e non al popolo e molto altro ancora; davvero ci siamo cascati tutti: quando il femminismo invece è davvero un altra cosa e si è conquistato, con lotte e sacrifici reali, diritti, rispetto, divorzio, aborto, movimenti seri, analisi sociologhe, filosofiche e letterarie decisive, idee e piani di lettura profondi che sono stati inascoltati da media, massa e società e che devono invece costituire punti essenziali per una trasformazione reale del mondo a venire.

Davanti al dolore degli altri

Nel libro “Davanti al dolore degli altri” Susan Sontag scrive che le foto reali che mostrano la crudeltà e la violenza delle guerre e delle ingiustizie dovrebbero servire per riflettere su “come i nostri privilegi si collocano sulla carta geografica delle loro sofferenze e possono essere connessi a tali sofferenze dal momento che la ricchezza di alcuni può implicare l’indigenza di altri” ma che l’attenzione del pubblico manovrata dai media, in un mondo saturo di immagini, diminuisce l’impatto di qualsiasi contenuto sociale: manchiamo così di luoghi sacri per riflettere…
In questo senso la destra ha vinto con il consumismo senza fine, con lo spettacolo, con la produzione infinita di segni inutili e di sogni finti dove il potere circola a suo piacimento e controlla, oggi più che mai nella società digitale, pensieri, azioni e tendenze.
Una zona grigia continua e indefinibile che si insinua dappertutto e non vuole vedere il dolore degli altri, il tengo famiglia, l’ego che sceglie sempre l’io senza noi, il cellulare di ultima generazione, l’App di turno, l’auto dei sogni,  Colpo Grosso, Dallas, il Grande Fratello, Instagram e Tik Tok, la pornografia di ieri e quella di oggi e tutta quella bella merda che ci ha accompagnato finora, tutto troppo davvero  per ricreare spazi, tempi, momenti di riflessione e azione condivisa.

Il lavoro che non c’è

Forse, oltre le elezioni e oltre il breve termine, per i movimenti a venire, bisognerebbe andare oltre le lotte per il salario minimo e il reddito di cittadinanza, pur fondamentali nella fase attuale; cercare di mettere in discussione, con forme, azioni e idee nuove, che cosa si intende per lavoro, cosa bisogna produrre, che cosa rappresenta per noi la tecnologia, che cosa è  davvero e come fermare il capitale, quanto ancora si può lavorare per vivere, che cosa vuole dire essere, essere insieme, sognare un’altra vita e un futuro diverso per le nuove generazioni.
Riflettere non solo sulla globalizzazione e i suoi effetti barbarici e indelebili su persone, animali e terra ma anche come cercare di unire i popoli, sconfiggere fame, sofferenze, guerra perché sono parte di noi fino in fondo, perché la vera geografia  e i veri confini sono quelli  che dividono  la nostra vita da quella di ogni essere della terra.
Ripensare la società, la vita, il dolore, la natura  e le sfide ecologiche che devono partire dal basso, essere connesse, condivise e legate alla giustizia sociale, una sfida che le nuove generazioni, alle quali vanno restituite fiducia, possibilità e sogni, devono riprendere  per un progetto ancora indecifrabile ma fondamentale per il futuro.

Oltre Giorgia, oltre le elezioni, oltre l’immediato ma da subito occorre ripensare azioni, connessioni, condivisioni, speranze,  e quel mondo a venire che, rispetto al passato, non può aspettare ancora per molto.
Per piangere ancora invece possiamo sempre riguardare il video di Giorgia:

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