Comunicazione e culture

Joy Division Unknown Pleasures 1979 2019

“I’ve been waiting for a guide to come and take me by the hand,
Could these sensations make me feel the pleasures of a normal man?
These sensations barely interest me for another day,
I’ve got the spirit, lose the feeling, take the shock away.” (Desorder 1979)

“E’ successo che abbiamo rinunciato a sognare e a riconoscere il profilo delle cose. Attraverso noi cresceva la stagione peggiore. Un principio di immobilità aveva assunto i connotati della concentrazione. Pensavano che rimanere allerta fosse necessario per non farci trascinare dall’onda della vita altrui. E restavamo fermi e se qualcuno ci chiedeva: tu cosa pensi? Noi pensavamo che non volevamo pensare niente.” ( Stefano Del Bianco – Ritorno a Planaval)

Ci siamo fermati. Ci siamo fermati lì. Ci siamo fermati a quel disco “Unknown Pleasures”, a quel 1979 di quaranta anni fa e abbiamo perso il controllo, i sentimenti, la memoria, i sogni, i rapporti di forza.. Proprio in quel momento sociale, storico ed economico sarebbero iniziate le ristrutturazioni selvagge delle industrie, le chiusure delle miniere inglesi, il Thatcherismo e la società che non esisteva, Il Reaganismo e tutta quell’America aggressiva che sembra non lasciarci più. E siamo andati oltre le peggiori previsioni di un potere pervasivo che circola dal basso e che possiamo trovare ovunque, dove la società disciplinare di Foucault e la società del controllo di Deleuze si sono contaminate e mischiate con la società del consumo, ben oltre Pasolini, e corrotte e confuse con la società dello spettacolo, ben oltre Debord.
Negli anni 80 sono arrivate, in dosi forti e incontrollabili, discoteche di massa, eroina a basso costo, calcio spezzatino e tv private, le tv del nulla di Berlusconi, Puffi, Dallas e Drive in, video music con molti filmati e poca musica, sesso bombardato senza soste e molte altre linee di produzione di segni e di senso. In quella Manchester, privata di fabbriche e di spazi sociali, si poteva intravedere quel futuro invalicabile che avrebbe riguardato le generazioni a venire. E i Joy Division partono proprio da lì.

“I Joy Division furono uno dei complessi britannici che, subito dopo il boom del punk-rock, spostarono l’enfasi sulle atmosfere invece che sulla semplice rabbia. Il loro sound metteva in musica la desolazione della civiltà` industriale. L’elemento “gotico” (o, meglio, esistenziale) era tutto sommato il meno interessante. Assorbendo un minimo di elettronica e conferendo più enfasi alla timbrica degli strumenti, i Joy Division di fatto abbandonarono l’ethos del punk e funsero da ponte con il synth- pop che sarebbe esploso pochi mesi dopo. Nei Joy Division questi semi sono ancora a livello di tragedia espressionista, non ancora di consumo di massa.
I Joy Division (nome preso dalle baracche femminili dei campi di concentramento nazisti) emersero nel 1979 dalla città di Manchester, la stessa che aveva dato i natali ad altre esperienze anticipatrici come il punk-pop dei Buzzcocks e il punk dissonante dei Fall…” (P. Scaruffi)
Nel 2007 Grant Gee ha diretto un interessante documentario “Joy Division” dove possiamo trovare varie interviste ai componenti del gruppo ed altri musicisti, frammenti video di concerti e immagini emblematiche di Manchester. Ad un certo punto del documentario si dice che i Joy rappresentano il punto epocale in cui si passa dal “fottiti” del primo punk al “ siamo fottuti” degli anni 80. E in quel “siamo fottuti” dobbiamo iniziare una profonda riflessione sul passato, politico, culturale e musicale, che ha gettato alcune basi strutturali e sociali, variegate ed invisibili , che ci ritroviamo a subire oggi; e naturalmente una riflessione sull’immaginario collettivo delle nuove generazioni e sul loro modo di vedere il futuro, l’azione politica, la musica, il senso dell’esistenza e, più semplicemente, che cosa vuol dire , negli anni 2020, sognare.

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Naturalmente i Joy Division non avevano capito direttamente tutto questo ma avvertivano e attraversavano il senso di impotenza e la mancanza di futuro per le nuove generazioni. In un intervista riportata in “ Spettri della mia vita” di Mark Fischer si legge che il chitarrista del gruppo Samner nella sua infanzia aveva dovuto cambiare casa in quanto il suo quartiere era stato valutato insalubre dal Comune e così si era trasferito in un casermone periferico. In quel momento aveva perduto il senso di una comunità e, in ugual misura, il lavoro che stava facendo era terribilmente ripetitivo e noioso. La malinconia verso il passato e la depressione per presente e futuro sono i cardini per capire il senso della poesia dei Division. E così la malattia mentale, la psicosi, i farmaci usati dovunque e comunque, il suicidio come resa inevitabile, le crisi epilettiche (di cui soffriva il cantante Curtis) sono presenti nelle loro canzoni e nei loro testi ( basta ascoltare She’s Lost control dedicata ad un’amica di Ian Curtis) e mostrano chiaramente il momento storico e sociale in cui stavano entrando intere generazioni occidentali. Invece Disorder apre il disco come se la carica e l’energia del punk del periodo si fosse incanalata in una visione catastrofica e senza uscita, anticipando ritmi , bassi e suoni della musica tecnologica degli anni 80.
Unknown Pleasures rimane un disco profondo, oscuro, semplice e musicale al tempo stesso; e noi, di fronte ai capolavori musicali del passato, come del resto per i grandi libri, dobbiamo cercare di recuperarne il senso, il contesto, la memoria, la richiesta d’aiuto e molto altro ancora naturalmente.
Forse è necessario pensare che ci siamo fermati lì, almeno tre generazioni, e abbiamo camminato silenziosi e dimessi per molto tempo; ma forse è il momento di cominciare a capire, sognare e costruire quell’insieme sociale, culturale, musicale e umano che adesso sembra invisibile ma che ci sta, da tempo ormai, aspettando..