Economie

L’Ue prova a liberarsi del MES. Basterà? No, in economia di guerra che si profila

Prima dello scoppio della doppia grande crisi -sanitaria ed economico finanziaria – avevamo scritto che il MES, che aveva occupato il dibattito politico autunnale, era solo la punta dell’iceberg dei problemi europei. Del resto si trattava di uno strumento pensato nel ciclo precedente di crisi, quella del debito sovrano, quello che puntava prima di tutto sull’austerità di bilancio. Bene, forza di questi tempi straordinari l’UE  in una notte prova a mettere in soffitta gli strumenti come il MES decidendo, oltre alla chiusura delle frontiere, di promuovere la sospensione delle politiche di austerità e persino di permettere il sostegno statale alle aziende (cardine dell’ordoliberismo economico europeo).  Certo, la decisione della UE deve tenere anche per i prossimi vertici e ancora contrasta con il comportamento della BCE ma, presumibilmente, gli “equivoci” tra, e dentro, le due istituzioni di governance sono destinati a sciogliersi in un modo o in un altro. Quello che in questi giorni emerge -da diversi paesi tra cui Spagna e Italia – è la richiesta dei fondi del MES senza i vincoli del trattato (che sono un commissariamento del paese “salvato”): come dire, facciamo esplodere il trattato facendo finta di utilizzarlo.  Il motivo? Anche il nostro paese, per bocca del commissario all’emergenza coronavirus, fa capire la necessità di una economia di guerra per sostenere il contrasto al virus: austerità e lotta all’epidemia, che ha bisogno di risorse, non possono stare assieme. Anche perchè se fallisce l’economia, il virus si mangia il paese.

Controindicazioni? Molte. Ad esempio la politica continentale fatta di virusbond e mutualizzazione europea del debito, promossa dal governo Conte e razionalizzata bene sul Manifesto da Laura Pennacchi viene pensata secondo una logica della regolazione che presuppone 1) la capacità delle istituzioni di governance europea, politica e bancaria, funzionare all’unisono superando le divisioni interne e la contraddizione tra paesi “core” e periferici 2) la capacità delle banche centrali di domare la bestia, ovvero i mercati finanziari, alimentata negli anni scorsi dalle stesse politiche monetarie che oggi sono chiamate in campo per salvare l’economia e curare l’epidemia.

E’ infatti chiaro che questa crisi non potrà infatti essere affrontata con ulteriori allentamenti monetari (vedi cronaca affondamento Wall Strett nonostante i 4,5 trilioni messi in campo dalla Fed sui Repo), del tutto inefficaci, ma imporrà politiche fiscali ultra espansive. Insomma avremo un ulteriore espansione del debito pubblico. Ma per alcuni Paesi, tra cui l’Italia, questo è già a livelli insostenibili. I mercati, questo lo hanno già ben capito: infatti nella crisi muovono una guerra finanziaria di predazione agli stati e  quest’ultima convulsa settimana, abbiamo assistito ad un rialzo considerevole dei rendimenti, e ad un aumento degli spread. Si vedrà se le politiche della regolazione toglieranno i denti alla tigre intanto la tigre azzanna i soggetti che parlano di politiche della regolazione.

Così si profila una economia di guerra su due fronti: quello di difesa dall’aggressione del virus e quello di difesa dalla guerra finanziaria.  Non si sa, al momento, quanto saranno impegnati i due fronti: si sa solo che il loro decorso, e il loro esito, provocheranno molti cambiamenti nemmeno le disuguaglianze sarnnno le stesse e  la politica non sarà più come prima (come accaduto dopo la crisi del 2008 da noi politicamente esplosa con la crisi del 2011). 

 

a cura della redazione di codice rosso