Soggetti e Potere

L’ultima deriva dell’Iran teocratico

Il volto della teocrazia iraniana degli ayatollah mostra sempre di più la sua attitudine alla violenza, alla repressione e all’annichilimento di ogni afflato di libertà. Le caratteristiche misogine del potere si sono ben presto manifestate quando le giovani donne iraniane sono scese nelle piazze del Paese, senza temere la risposta criminale connotata da arresti, torture, stupri e sparizioni. Ogni donna dissenziente in Iran conosce bene i pericoli che corre, le offese alla propria dignità di essere umano sacro nella sua individualità e autodeterminazione rispetto a un regime che adotta schemi di assoluta e riprovevole violenza.

In questi lunghi anni in cui la teocrazia aveva lanciato messaggi ideologici di un certo tipo e propugnato visioni egualitarie ispirate già agli esordi della Rivoluzione, (soprattutto dal filosofo e teorico Alì Shariati, in un improbabile schema di governo con radicamenti nelle ideologie del socialismo/sciismo, presto manifestatosi come populista, assistenziale e corrotto all’inverosimile), si erano evidenziate evidenti fragilità, soprattutto dalla fine della guerra con l’Iraq, anche sul piano della spinta propulsiva della rivoluzione cominciata nel 1979. La verità è che forme istituzionali come quelle messe in atto in Iran, propongono poteri irriformabili e autoritari, fortemente gerarchici, che non disdegnano l’uso di ogni tipo di vessazione per gettare nel silenzio qualsiasi elemento che venga ritenuto asimmetrico rispetto all’ideologia dello sciismo duodecimano dell’islam iraniano.

Alcuni studiosi in modo davvero sorprendente hanno sperato che gli ayatollah potessero riformare il potere dall’interno, in forme e modalità abbastanza “democratiche” nel corso degli anni. Avevamo avvertito su questa utopica possibilità senza un serio appoggio teorico, una chimera che ha presto fatto capire perchè lo schema del velayati faghi non avrebbe condotto a risultati sperati in senso democratico: cioè il diritto di veto della massima espressione religiosa e politica dell’Iran, incarnata nell’ayatollah Alì Kamenei, su qualsiasi atto di legge o regolamentare. Non solo questa evidenza, ma quella più raccapricciante che consiste nella poderosa architettura repressiva costruita e concepita dall’ayatollah Ruhollah Khomeini: milioni di basseji (squadracce di bastonatori e assassini definite, infatti, come islamofasciste) e pasdaran, questi ultimi in particolare corrotti e collusi con fondazioni, società, banche, lobby, moschee e quant’altro, pronti a qualsiasi evenienza, dalle bastonature agli attacchi preventivi nei confronti di antagonisti del regime, dalle torture alle sparizioni, dalle uccisioni indiscriminate, anche per strada, alla distruzione di beni sotto gli occhi terrorizzati della popolazione.

Il terrore organizzato nella repressione contro i manifestanti e la popolazione inerme per le strade delle città ha dimostrato quanto sia salda l’idea di mantenere il potere a qualsiasi costo. Violenze di ogni tipo che hanno generato atti di incivile e disumana violazione dei più elementari diritti umani, soprattutto nei confronti delle donne, stuprate, gettate dai tetti, fatte sparire, “suicidate”, colpite ai genitali e accecate con colpi di pistola e fucile con modalità raccapriccianti.

Non molto si è dibattuto sul movimento di rivolta, meglio definito da qualcuno di noi, come “acefalo” e riluttante nel farsi condurre o coordinare da leader che risiedono soprattutto al di fuori del Paese. Vasta e multiforme la diaspora iranica, infatti, che va dai sostenitori della corona dello Shah Pahlavi ai mujaheddin del popolo, da elementi religiosi della variegata galassia sciita ai laici, figli dell’unico progetto politico degno di questo nome, naufragato per l’intervento criminoso degli USA e della Gran Bretagna negli anni ’50: quello del grande Mohammad Mossadeq.

Inutile la retorica degli ayatollah che, anche in questo frangente, hanno colpevolizzato le potenze straniere pronte a mettere le mani sul petrolio e il gas iraniano, direttamente coinvolte a organizzare il dissenso fra i rivoltosi dei giorni scorsi. Nulla di più falso e inverosimile anche in relazione alle cause del disagio sociale, verso il quale gli ayatollah sanno di non poter dare più soluzioni. Il movimento è stato prevalentemente femminista perché a subire angherie e limitazioni anche sul piano formale del diritto sono proprio le donne. Nel Paese delle quote azzurre nelle università, infatti, sarebbe davvero indigesto concedere altri spazi di gestione del potere alle impavide donne iraniane che studiano, occupano posti di rilievo nel mondo economico e della cultura, del giornalismo e, talvolta, della politica. Spazi guadagnati a caro prezzo e sempre a discapito delle proprie vite, della propria serenità, della propria dignità.

In secondo luogo si è interrotto un dialogo, un rapporto dialettico fra l’elemento anagraficamente più giovane della popolazione e il regime. Un bel problema per gli ayatollah viste le statistiche che posizionano l’Iran fra i Paesi più “giovani” dell’intero globo. La comunicazione informatica ha preso il sopravvento non solo nei Paesi occidentali e l’Iran non poteva risultarne immune, anche perché sia negli aspetti negativi che in quelli positivi di questa dinamica, la società iraniana ha dimostrato di avere mezzi e qualità di discernimento, gestione e diffusione di “messaggi” tipici del periodo denominato come quello dell’antropocene. Se ne dovranno fare una ragione gli ayatollah con le loro grigie e noiose liturgie, i loro discorsi insensati e autoreferenziali, nonostante la previsione di altri orrori in termini di repressione ed uccisioni siano abbastanza prevedibili. Il patto sociale si è rotto e il tempo decreterà la mutazione del regime. Come e quando avverrà rimane abbastanza un arcano, ma di certo cambierà.

Una ragione devastante di crisi del regime sciita duodecimano risiede anche nella crisi di valori e nella corruzione a ogni livello nella società, nel quotidiano, nelle istituzioni religiose e amministrative del Paese. È il caso, ad esempio, della Mobarake Steel Company, il più grande comparto e produttore di acciaio: è stato accertata un’appropriazione indebita di tre miliardi di dollari. Del caso se ne sono occupati addirittura alcuni giornali, dandone notizia, ma di misure giudiziarie o di atti che reintegrassero il grave atto di corruzione ai danni dello Stato neppur l’ombra.

La Banca mondiale in uno studio concretatosi in dati statistici, mai contestati dai funzionari iraniani, stima la perdita di 50 miliardi in termini di costo a causa dei “cervelli in fuga” di giovani laureati e specializzati iraniani, soprattutto nel settore dell’ingegneristica e della scienza in generale. Infatti l’Iran Migration Observatory ha pubblicato i risultati delle sue ricerche che stabiliscono un dato incontrovertibile sullo stato degli investimenti interni al Paese: il 37% degli studenti meritevoli e medagliati lasciano il Paese, calcolando che il danno subito verte sui 20 miliardi di dollari. Gli iraniani sono particolarmente apprezzati all’estero per le loro competenze matematiche e tecniche, tanto da occupare posizioni ragguardevoli in Paesi occidentali come gli USA e dell’Europa più industrializzata.

La crisi delle Bonyad, le potenti fondazioni religiose che gestiscono milioni di dollari e contribuiscono al funzionamento del welfare iraniano, nella sanità e nell’istruzione, sono ormai entrate in una grave spirale di criticità economica che produce ancora più povertà e disagio e crea destabilizzazione sociale. Questa dinamica è fra le più importanti alla base delle rivolte in Iran e poco citata dagli organi di informazione se non citate da riviste e osservatori specializzati.

La delegittimazione valoriale dei capisaldi della religione, quest’ultima imposta con investimenti che farebbero impallidire qualsiasi Stato europeo, nella scuola e nelle università, non hanno evidentemente partorito gli effetti sperati. Nelle scuole grazie agli indirizzi ministeriali in termini di progettazione didattico-pedagogica l’insegnamento della storia, delle letterature, della filosofia, dell’antropologia, delle materie umanistiche, soprattutto, ha cancellato secoli, se non millenni di cultura persiana che, certamente, non è passata inosservata a tutta la popolazione, gelosissima e resistente nello studiare, approfondire e divulgare conoscenze in campo letterario, poetico, filosofico e storico. Una rottura insanabile che non vuole tener presente il divenire inesorabile del tempo, i cambiamenti epocali, i lessici e le forme di comunicazione, la velocità e la globalizzazione delle informazioni. Nel Paese dell’avvertimento che il nemico è sempre in agguato (così cominciano i sermoni dell’ayatollah Kamenei nei venerdì di preghiera), doshman dar kamin ast, sembra ormai non aver più nessun valore, risulta essere inutile anche imporre il proprio modello come unico, inesorabile, inderogabile, inamovibile, incontestabile.

Proprio per questo non appare così difficile leggere l’ultimo orrore orchestrato dal regime (o da consistenti strati del multiforme mondo parallelo composto da orridi personaggi che resistono al cambiamento), l’avvelenamento di migliaia di studentesse, di ragazze di tutti gli ordini di scuola, con il fine di vendicarsi e di punire quelle nuove generazioni (femminili) che nonostante il tentativo di educarle ai principi dell’islam sciita si sono permesse di rivoltarsi contro. I casi di avvelenamento prima si sono verificati a Qom, poi si sono diffusi in altre città dell’intero Paese in una vergogna senza fine per ammissione delle stesse autorità iraniane che hanno dovuto ammettere che tali atti sono stati, in modo certo, pianificati. Questa situazione, tuttavia, potrebbe aprire nuovi scenari interni al regime e, comunque, consentire la lettura che il potere non è affatto monolitico e unidirezionale nelle strategie di gestione delle dinamiche contestatrici nel Paese.

Il deputato Shahriar Heydari ha detto che circa 900 studentesse sono state avvelenate da un gas di tipo militare che produce effetti assolutamente curabili. Per la Bbc Persian invece i casi accertati sono circa 1250. In ogni caso, al di là dei numeri comunque preoccupanti e in aumento, il procuratore generale di Teheran, Ali Salehi, ha sostenuto che il caso sarà oggetto di accurata indagine e che una sezione speciale della procura se ne occuperà con molta attenzione. Per il viceministro della Sanità Younes Panahi, oltre all’intenzionalità dell’avvelenamento, è certa anche la causa: la chiusura delle scuole femminili per via di una ritorsione senza precedenti. Critiche abbastanza virulente sono invece provenute da due personaggi, dello “schieramento progressista” di qualche anno fa, Mohammad Khatami e l’intellettuale Ali Abtahi. Quest’ultimo ha sottolineato: Visto che il ministero della Salute ha confermato che l’avvelenamento delle studentesse è stato intenzionale, mi chiedo se il pensiero di Boko Haram sia arrivato anche qui. Per anni in Nigeria le ragazze sono state rapite in gruppi dalle scuole femminili per impedire loro di studiare. Le scuole sono state rinchiuse o distrutte per lunghi periodi di tempo. La voce del pensiero talebano, Daesh e Al Qaeda si sente da tempo in ogni angolo. Khatami invece ha aggiunto: Secondo la storia, questo non era lo spirito della rivoluzione islamica. Non credo che la violenza dei talebani e di Boko Haram abbia un’origine religiosa, o che gli anziani della religione e del paese siano d’accordo con essa. Ma queste tragedie si verificano a causa del fatto che gli estremisti ideologici a volte hanno beneficiato di interessi a breve termine e sono stati incoraggiati.

 Peccato che i cosiddetti riformisti si siano accorti, con un ritardo abbastanza consistente, delle distorsioni di un potere che vuole imporre all’individuo l’asservimento totale, nella sua vita privata e pubblica, del credo sciita secondo le leggi shariatiche. I giovani non vogliono sentir parlare di trasformazioni o modifiche del potere attuale all’interno della cornice sciita duodecimana. Le giovani generazioni di iraniani e le donne di questo Paese non vogliono neanche sentir parlare di rivoluzione, di sciismo, di sharia, di autorità e violenza, e desiderano una vita e un’organizzazione sociale e politica più orizzontale e assolutamente laica.

La caduta degli ayatollah si concluderà in un orribile fragore anche se, non si sa, quando e con quali sacrifici avverrà.

per Codice Rosso, Francisco Soriano

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