Economie

Lo stato dell’arte dell’economia mondiale II – Chi paga le perdite delle banche centrali per i sussidi concessi alle banche private?

 

La prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento.
E puzza di sudore dal boccaporto e odore di mare morto”.
Francesco de Gregori, “Titanic”, 1982

“Dedicarsi alla carriera criminale è pericoloso. Bisogna stare attenti a non uccidere nessuno. Si
comincia assassinando ma poi, da degrado in degrado, si finisce per rubargli la merenda ad un
anziano”.
Thomas de Quincey, “Murder considered as one of the fine arts”, 1827. Tr. it. “L’assassinio
come una delle belle arti”.

Da mesi, in molti paesi le banche centrali battono record di perdite.
La prima conseguenza è la diminuzione delle entrate dei governi che, non di rado, devono
ricapitalizzarle.
Nel gennaio 2023 la Federal Reserve statunitense (FED) ha reso noto che, nel 2022, aveva
perso 18,8 miliardi di dollari e, all’inizio de 2023, registrava settimanalmente perdite per 2,2
miliardi. Ha aggiunto: con questo andazzo, senza aumentare i tassi d’interesse le perdite
ammonteranno a 115 miliardi di dollari nel 2023 (“Federal Reserve Board announces Reserve
Bank income and expense data and transfers to the Treasury for 2022”, January 13, 2023).
Sempre nel gennaio 2023. la Banca Centrale Svizzera ha registrato perdite per 143 miliardi di
dollari, equivalenti al 18% del PIL nazionale, l’Inghilterra per 200 miliardi di sterline.
Fino alla fine di febbraio, la Banca Centrale Europea (BCE) non aveva reso pubblici i suoi dati.

Le ragioni di queste perdite sono facili da spiegare e da capire: da anni, tutte queste banche
centrali dedicano quantità miliardarie ad acquistare buoni di scarsissima resa, a volte persino
negativa. Queste rese hanno prodotto redditi ridotti e diminuito il loro patrimonio.
Contemporaneamente, hanno accolto depositi delle banche commerciali, e cioè dalle banche
private con cui operano le aziende e le persone fisiche. Per qualche tempo, questi deposti
hanno corrisposto bassi interessi, a volte persino negativi, ma quando i tassi sono aumentati
quei depositi sono diventati molto costosi per le banche centrali.
La differenza tra gli interessi pagate alle banche commerciali e le entrate derivate dagli attivi
che hanno acquistato spiega, pressoché totalmente, le perdite delle banche centrali.

Quando le perdite si moltiplicano, i dirigenti delle banche centrali cercano di diminuirne l’importanza affermando che si tratta di un problema congiunturale e, in ogni caso, che non ci
saranno problemi riguardo alla loro solvibilità.
Lo afferma, ad esempio, un rapporto della Banca dei Regolamenti Internazionali (David Archer
et Paul Moser-Boehm, BIS Papers No 71, ”Les finances des banques centrales”, 29 aprile 2013).
Pur se poco nota al grande pubblico, questa istituzione finanziaria con sede a Basilea, nota
internazionalmente come Bank for International Settlements (BIS) e più familiarmente come “la banca delle banche”, ha una enorme importanza, anzitutto perché ne sono azioniste 55 banche centrali, poi per i suoi compiti, così riassunti dalla “Enciclopedia Treccani: “Fornisce assistenza finanziaria alle banche centrali e concede loro fondi con e senza garanzia collaterale, è centro di ricerca e sede d’incontro tra i banchieri centrali per la valutazione della congiuntura internazionale, elabora documentazione statistica sull’attività bancaria internazionale, esercita compiti di vigilanza ed è agente e fiduciario per rilevanti transazioni internazionali”.
Lo stesso concetto è stato riaffermato da Christine Lagarde, presidente della BCE, il 19
novembre 2020 (Reuters Staff, ECB can’t go bankrupt even it suffers losses): “In quanto
unico emittente di denaro dalla banca centrale denominato in euro, l’Eurosistema potrà,
sempre e comunque, generare liquidità addizionale ogniqualvolta si renda necessario. Quindi,
per definizione, non dichiarerà bancarotta né resterà senza denaro”.
Detto altrimenti: per la BIS e per la BCE non ha alcuna importanza che una banca centrale
accusi delle perdite perché può disporre di tutto il denaro di cui ha bisogno dato che lo produce
lei stessa.

E’ vero che una banca centrale non può dichiarare bancarotta come succederebbe ad un’azienda qualsiasi in seguito a perdite ingenti e continuate, ma è assolutamente falso che
queste perdite non abbiano alcuna importanza e/o siano addirittura irrilevanti. Ancor meno in
una fase inflazionistica, quando si suppone che la liquidità deve diminuire, non aumentare.
Che le banche centrali registrino perdite significa anzitutto che smettono di trasferire ai governi
i loro profitti. Quindi, queste perdite implicano un costo aggiuntivo per lo Stato. Questo costo è
pagato da tutti i soggetti economici, ossia da tutta la popolazione, implica una diminuzione
delle entrate statali e – prima o poi – costringe a tagliare la spesa pubblica e ad altre
conseguenze macroeconomiche ineludibili. Ciò è stato sempre talmente ovvio che è sostenuto
da sempre dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dalla BCE, solidi bastioni del pensiero e
della pratica neoliberista.
Scrive il FMI: “Le perdite della banca centrale non possono essere ignorate: possono minare la
gestione monetaria, rallentare lo sviluppo del mercato finanziario e ritardare il raggiungimento
di obiettivi economici come la stabilità dei prezzi e la crescita economica… Quindi, si deve
riconoscere la loro natura fiscale e incorporarle nel bilancio del governo” (Reza Vaez-Zadeh, “6
Implications and Remedies of Central Bank Losses, november 1991).
La BCE formula, nel modo più istituzionale possibile e cioè nella sua pagina web, la risposta
alla domanda “D’où proviennent les bénéfices et les pertes de la BCE et des banques centrales
nationales de la zone euro?” (Da dove provengono utili e perdite della BCE e delle banche
centrali della zona euro?, 16 febbraio 2017, aggiornata il 29 novembre 2022): “In ultima
istanza, il principio d’indipendenza finanziaria implica che le banche centrali nazionali devono
essere sempre sufficientemente capitalizzate”.
Ovvero: se le perdite esauriscono il capitale delle banche centrali, i governi devono risanarle
apportando il denaro necessario per aumentarne il capitale.

Poiché ad esplicita confessione non c’è bisogno di ulteriori prove, si deve dedurre che solo nel
regno della propaganda può risultare indifferente che le banche centrali registrino delle perdite.
Ergo, sarebbe indispensabile chiedersi cosa si possa fare per evitarle.
Ma la propaganda serve, anzitutto, ad evitare la domanda principale: perché non sono state
prese finora le misure necessarie per evitare tali perdite?

Le alternative

All’epoca non era necessario che la popolazione tedesca sostenesse di avere ignorato
l’esistenza dei campi.
«Ma andiamo» dicevamo «Sapevano tutto!»
Avevamo ragione, sapevano tutto, e soltanto oggi siamo in grado di comprenderlo: perché
anche noi sappiamo tutto (…) Oseremo ancora assolverci?”
“Jean-Paul Sartre “Vous etes formidables”, “Les temps modernes”, aprile 1957.

Quando, per le ragioni suindicate una banca centrale accusa delle perdite, teoricamente ha
davanti a sé quattro alternative.
La prima è quella enunciata dal peruviano Manuel Scorza e fatta propria, senza citare l’autore,
dal politico italiano Giulio Andreotti:
“E così abbiamo visto per tutta la seconda presidenza di quell’ineffabile umorista che, durante
un raptus d’ispirazione, stillò questa goccia d’elisir filosofico: «In Perù» sentenziò il Presidente
Prado, «ci sono due specie di problemi: quelli che non si risolvono mai e quelli che si risolvono
da soli». L’ignoranza dei contadini impedì che un così interessante assioma filosofico venisse
propagato. I problemi dei contadini si risolsero a colpi di fucile” (“Redobles de tambores por
Rancas”, 1970. Tr. it. “Rulli di tamburi per Rancas”, 1975).
Ovvero, la prima alternativa, che chiamo “alternativa Scorza o del dolce far niente”, consiste
proprio nel non fare nulla e compensare le perdite impiegando le riserve od altri fondi
accumulati in benefici precedenti.

Fino dove si può praticare questo laissez faire?
Partendo dalla base che i banchieri sono tipi tosti e perseveranti fino all’irrazionalità, come
dimostrato da qualsiasi filmato sul tema, “il dolce far nulla” può praticarsi persino quando
queste riserve e fondi si esauriscono e si deteriora il capitale.
I nostri banchieri, infatti, continuano ad agire normalmente, senza nemmeno inarcare le
sopracciglia.
Si tratta certamente di una roba da pazzi, ma non da pazzi isolati: è esattamente ciò che la
BIS afferma che può succedere ed effettivamente succede. Infatti, fino al febbraio 2023 hanno
applicato questa norma diverse banche centrali, non necessariamente tra le più piccole:
Messico, Israele, Repubblica Ceca, Svezia …

Il teatrino delle ombre cinesi ha origine antiche: secondo testi ufficiali delle scuole
elementari cinesi, un giorno un pastore vide bambini che giocavano con le bambole e le ombre
sul pavimento gli sembrarono molto vivide. Ispirato da questa scena il pastore creò una
marionetta di cotone e la dipinse. Al calar della notte, invitò l’imperatore a guardare uno
spettacolo di marionette illuminato dietro una tenda. L’imperatore, deliziato, decretò la nascita
ufficiale delle ombre cinesi, oggi patrimonio universale della UNESCO. Nella versione nostrana,
diventata diversione di massa, apparentemente non conosce limiti.
Il tema non è quello dei palloncini e/o dei droni da abbattere coi missili, comunque panzane
gravi per altri motivi e conseguenze.
Nel già citato comunicato della FED si ricorre agli stessi artifizi del teatrino dei pupi non
facendo neppure cenno alla registrazione delle perdite. Anzi, si afferma: se ci sono delle
perdite, queste dovranno essere automaticamente considerate un “attivo differito”. Ossia, un
investimento che produrrà utili o entrate nel tempo.
Se un’azienda applicasse questo criterio, in poco tempo dovrebbe portare i libri in tribunale
(non vale, ovviamente per le banche come dimostra la storia del Monte dei Paschi). Se lo
applica il vostro salumiere, in breve tempo dovrà chiudere i battenti. E poiché la legge, che ci
vede benissimo, è sempre meno gentile con gli ultimi, se una famiglia adoperasse lo stesso
criterio, si troverebbe in poco tempo a dormire in macchina (se non è stata già pignorata).

La seconda alternativa, che chiamo “alternativa Rodari o delle foglie d’oro”, consiste nel creare
denaro per cercare di acquistare attivi più redditizi che permettano di ricavare degli utili.
Scrive Gianni Rodari in “L’autunno d’oro” (in “Giochi nell’URSS”, 1984):
“C’era una volta una bambina che viveva in una grande città con pochi alberi e non aveva mai
visto l’autunno d’oro della campagna. Quando ne sentiva parlare, domandava a suo padre:
– Ma è proprio d’oro?
– D’oro, d’oro, rispondeva il padre.
E la bambina pensava: «Una volta andrò dove c’è l’autunno d’oro; prenderò un po’ di quell’oro
e mi comprerò 365 bambole, una per ogni giorno dell’anno».
Finalmente una domenica suo padre la portò nei boschi. La bambina guardava incantata gli
alberi dorati. Per tutta la giornata camminò nel bosco d’oro, giocando con le foglie, i funghi e
gli scoiattoli. Era così contenta che si dimenticò delle bambole, perché ogni singola foglia le
pareva più bella di tutte le bambole della Terra”.
Il sogno della bambina è proprio la procedura applicata, proprio ora, dalla maggior parte delle banche centrali: acquistano ingenti quantitativi di oro.
Perché nessuno ha derogato alla legge dell’offerta e della domanda, il moltiplicarsi degli
acquisti d’oro provoca l’aumento del prezzo dell’oro, migliorando i bilanci delle banche.
Ma non ci vuole la sagacia di una volpe per capire che si tratta di un’operazione puramente
cosmetica e, poiché si presume che tutte le banche venderanno l’oro nello stesso periodo, la
stessa legge ne provocherà l’abbassamento aprendo spazio alla rivincita delle rughe, adipe ed
ingiurie degli errori e degli orrori praticati.
Rodari risolve felicemente la questione nel mondo incantato dei bambini. Purtroppo, non si
hanno notizie di banchieri centrali incantati dal moltiplicarsi delle foglie.

La terza possibilità è “il gioco delle tre carte”. Consiste in chiedere ai polli, in questo caso i governi, di fornire il denaro necessario per tamponare le perdite, aggiungendo al mancato guadagno (“lucro cessante”) una spesa aggiuntiva.
Si potrà obiettare che proprio le banche centrali sono tra le più decise sostenitrici della
necessità di limitare tali aumenti di spesa.
E’ un’inezia priva di significato: per loro, le banche centrali, queste perdite sono solo un
fantasma, la spesa pubblica necessaria per tamponarle solo fantomatica, il lucro cessante pura
fantasmagoria.
Illustro la truffa ricorrendo alla delicatezza di un grande pittore:
“In campagna, sotto l’ombra del mantello che qualcuno ha appoggiato sui rami di un albero, un
gruppo di giovani adulti gioca alle carte. Uno di loro osserva con grande preoccupazione le
proprie carte. Lo fa pure il suo compagno. Le loro monete d’oro sono già finite nel cappello del
loro avversario, pure lui disteso per terra davanti a loro. Dietro i due perdenti, tre furfanti
fanno segni al loro complice indicandogli le carte prese dalle due vittime o polli che dir si voglia
(Francisco de Goya, “Jugadores de maipes”, Giocatori di carte, 1777, Museo del Prado).
Tralasciando carte e truffe per polli, mi sembra utile declinare la categoria “fantasma”.
Parto da un ricordo: molte società del centro e dell’ovest africano classificano gli umani in tre
categorie: quelli ancora vivi sulla Terra, i sasha e gli zamani.
I banchieri sono indubbiamente parte del primo gruppo, vivono saldamente sulla terra
traendone grandi profitti personali. Ci resteranno finché un loro Musk renda loro possibile
emigrare profittevolmente su altri pianeti.
I sasha sono gli umani morti da poco, il cui tempo passato sulla Terra coincide almeno parzialmente con la vita di chi vi si trova ancora. Sono i morti viventi, ma gli africani non adoperano questa categoria in senso terroristico come avviene per gli zombie del vudù haitiano – non a caso sviluppatosi per consolidare la dittatura di Papà Doc – ma come persone non completamente morte che continuano a vivere nei ricordi dei vivi, i quali possono richiamarli in mente, ritrarli in opere d’arte, riportarli in vita cantandoli e/o raccontando i loro aneddoti e storielle.
Quando l’ultima persona che conosceva un antenato muore, il trapassato entra a far parte degli zamani, i morti veri e propri. Nemmeno gli zamani sono dimenticati, vengono sempre ossequiati in quanto antenati, molti sono ricordati per il loro nome. Ma non sono più morti-viventi.
Tamponare le perdite, aggiungendo al danno la beffa, colloca queste pratiche bancarie in un
mondo che, in base alle convenienze del momento e situazione, può definirsi dei sasha o degli
zamani.
Ma come fanno i banchieri, appartenenti al gruppo dei viventi sulla terra, ad essere così
presenti nel mondo dei fantasmi? Ci sono diverse spiegazioni.
La prima a venirmi in mente è l’affascinante spiegazione poetica dedicata dallo spagnolo Rafael
Alberti ad altri soggetti ancor meno raccomandabili: “Non dormirete. Non dormirete perché
nessuno dorme. Non dormirete perché la sua luce vi acceca. Non dormirete perché la vostra
sola vittoria è la morte. Non dormirete mai, perché siete morti” (“A Pablo Neruda, con Chile en
el corazón”, Tr. it. A Pablo Neruda, Cile nel cuore”, 1978).
Meno poetica ma più diretta la spiegazione di Pierre Corneille in “Le Menteur” (Il bugiardo, 1643): “Dorante, bugiardo incallito, dice al suo servitore che ha ammazzato il suo rivale … Sapendo che questo rivale, vivo e vegeto, ha appena reso noto il suo prossimo matrimonio, Cliton, il servitore, commenta: «I morti che avete ammazzato godono di buona salute»”.
Va da sé: non tutti i morti godono di buona salute e non tutti diventano fantasmi. Seguendo la
straordinaria modernità di Edoardo di Filippo (“Questi fantasmi”, 1945), “i fantasmi non
esistono, li abbiamo creati noi, siamo noi i fantasmi”.
Il guaio è, dice Virginia Woolf, che “è molto più difficile uccidere un fantasma che una realtà”
(“Professioni per le donne”, 1931).

Chiamo la quarta alternativa “piramide di una razionalità d’interesse generale”. Consiste nel
determinare le modalità per diminuire le riserve delle banche, così impedendo che queste
continuino a depositare ingenti quantità di denaro nella banca centrale.
A tale scopo si possono impiegare tre metodi diversi:
– il primo consiste nell’aumentare i coefficienti delle riserve non remunerate, costringendo le
banche a mantenere una determinata quantità di denaro immobilizzato nelle loro casse.
Questa possibilità, uno strumento tradizionale della politica monetaria, è contemplata nella
stragrande maggioranza dei loro statuti e nello statuto della stessa BCE. In questa forma la
banca centrale dovrebbe remunerare un diminuito quantitativo di depositi.
– Il secondo consiste nel vendere una parte dei buoni attualmente di loro proprietà. In questo
modo le banche centrali raccoglierebbero denaro dalle banche private, costringendole a
disporre di minori riserve da depositare nella stessa banca centrale.
– Infine, la banca centrale può semplicemente smettere di remunerare questi depositi delle
banche private. Non contraddirebbe alcun dettato biblico: in Europa questa pratica è comparsa
solo con la creazione della BCE (1999) e negli Stati Uniti nel 2009.
Sarebbe difficile, salvo casi di conclamata ignoranza, sostenere che queste remunerazioni
truffaldine costituiscano un importante capitolo della tavola della legge o un ritrovato
dell’attraversamento del Mar Rosso.
La BCE potrebbe evitare o, quantomeno, ridurre di molto le sue perdite adottando una tra
queste misure, in particolare l’ultima.

Da brava persona, Robert Louis Stevenson descrive così alcuni dei personaggi del suo “L’isola
del tesoro” (1843):
John Silver, detto Long John: “Da ragazzo ha fatto i suoi studi, e parla come un libro, quando
ne ha voglia; e coraggioso poi! – un leone è nulla, al paragone di Long John! Io l’ho visto alle
prese con quattro, e fracassar loro la testa, una testa contro l’altra – lui disarmato!”
In verità, Long John era un furbastro avido e crudele pur se non sprovvisto di un suo personale
umorismo. Stevenson minimizza: “Ha davvero due volti che il lettore scoprirà nel corso della
lettura”.
La madre di Jim (il ragazzo che racconta la storia): “Buona donna, ignorante, testarda,
attaccata al denaro. Rimane vedova sin dall’inizio della storia, continuando a gestire la taverna
«Ammiraglio Benbow»”.
Pew, il cieco: “Apparentemente è un mendicante lacero; in realtà è tra i più determinati e
crudeli pirati” … “Portava una larga benda verde che gli copriva occhi e naso; era anche gobbo, per l’età o la debolezza, e indossava un ampio, vecchio e cencioso gabbano da marinaio, con un cappuccio che gli dava un aspetto deforme”.
Secondo i maya, il tempo è circolare ma, forse, lo è pure la letteratura. Se questa ipotesi fosse
confermata, “L’isola del tesoro” sarebbe una piccola galleria dedicata ai pirati e furbastri che
ritornano periodicamente in circolazione.

Quanto potrebbero risparmiare le banche centrali europee nel solo 2023 applicando le misure
testé indicate?
Se i tassi d’interesse si mantengono al 2,5% annuo, risparmierebbero circa 92 miliardi di euro.
Si può calcolare quanto si sovvenzioneranno le banche se si aggiunge la percentuale legata ai
prossimi, preannunciati, aumenti. A metà marzo 2023 si parla di aumentarli dello 0,25 o dello
0,50%. Grosso modo, il risparmio possibile nel solo 2023 diventerebbe di 115 e/o di 138
miliardi di euro rispettivamente.
Non è necessario ricorrere al mitico Hercule Poirot – il solo personaggio immaginario del quale
sia stata data notizia della morte con un articolo di necrologio sulla prima pagina del “New York
Times” – per capire perché non si prendono queste misure: pagando i depositi delle banche
private nella banca centrale i governi concedono al sistema bancario privato un sussidio, un
enorme privilegio, senza la benché minima giustificazione economica.
Poiché qualcuno afferma che sia necessario aiutarlo ulteriormente per garantirne la stabilità,
ricorro a Totò: “Signori si nasce. Stronzi pure”.
Ogni allusione è voluta.

Rodrigo Andrea  Rivas