“Nachthexen” & “Parole Liberate” – Due recensioni
C’è una canzone che lega i due dischi di cui si parla in questa recensione, usciti a fine del 2022, una canzone che è presente in ambedue, quella “Clown Fail” musicata e cantata da Luca Faggella, ma scritta per quanto riguarda il testo da un detenuto, da cui il titolo del progetto collettivo quello di “Parole Liberate”, in cui diversi musicisti italiani della scena direi “indipendente” (e lo dico non a caso alla vecchia maniera!) si cimentano con delle parole scritte da persone che si trovano dietro le sbarre: “Clow Fail” appare qui e nell’ultimo disco solista di Luca Faggella “Nachthexen”, disco anch’esso prodotto come il primo per la Baracca e Burattini di Paolo Bedini, altra vecchia volpe della musica italiana a cui dobbiamo, tra i tour da lui promossi e i dischi fatti uscire, tante di quelle gioie sonore per cui non basterebbero mille e più grazie.
Cominciamo quindi dall disco solista con cui il cantautore livornese torna a un intero album di canzoni originali tutto intero, come non accadeva dai tempi di “Tradizione Elettrica” firmato a quattro mani con Giorgio Baldi nel 2012, il medesimo Baldi che appare nella summenzionata “Clown fail” cantilena dark – wave sostenuta dall’incedere pulsante del basso e da chitarre che si alternano alle tastiere a disegnare l’affresco compositivo. Il disco tutto risiede e vive sicuramente nel grande calderone del post- punk, anche qui inteso come lo definivamo negli anni ‘80, cioè quel tentativo di coniugare l’urgenza espressiva del punk, che aveva spazzato via i dinosauri rock del mainstream, con la necessità di comunicare sensazioni più complesse della rabbia, immediata e necessaria, ma non sufficiente. In questo grande patrimonio di passioni, speranze, sonorità e parole, che non ha mai cessato di essere vitale, risiedono la maggior parte dei pezzi del disco, visto anche che l’autore si abbevera a questa fonte sin dai primi ottanta, quindi può essere considerato a buon diritto uno dei precursori del genere in Italia. L’attacco con il pezzo eponimo, dedicato al reggimento di volontarie dell aviazione sovietica protagonista di bombardamenti notturni, porta subito nel mondo che ho evocato, tra basso in primo piano e batteria ossessiva, per proseguire poi con pezzi come “Falene” (insieme a Elisa Arcamone, presente anche in “Jericho”) o “Tre”, meditazioni più soffuse dove il legame con le opere degli anni zero dell’autore appare più evidente; in alcuni episodi l’atmosfera si incupisce ulteriormente, come in “Sfere”, dove il duettare del basso con la chitarra e il ritmo percussivo non possono evocare i fantasmi mai dimenticati dei Signori del post-punk, gli amatissimi mancuniani Joy Division. Chiude l’opera la melanconica “Giorgiana Masi” dove il testo ricorda una delle pagine più brutte della storia della Repubblica, con la voce che viene supportata unicamente da un oscuro ed efficace tappeto di tastiere.
Sono molte invece le voci che supportano il prodotto collettivo della storica etichetta di Bedini, insieme a quella del cantautore labronico, come Andrea Chimenti con Gianni Maroccolo, Petra Magoni con Finaz, Ambrogio Sparagna, gli Yo Yo Mundi e altri, insomma molte note voci della musica non omologata italiana, come è buona tradizione della label, così come diversi sono gli approcci vocali e strumentali che vestono le parole dei detenuti, permettendo loro di varcare le mura che trattengono i loro corpi e raggiungere orecchie e menti di persone che normalmente ne sarebbero lontani. Dall’humus del cantautorato wave spruzzato di elettronica viene “L’immagine di te” di Chimenti e Maroccolo, posti sulla linea migliore della musica italiana cantata in italiano sin dagli ottanta, mentre al disincanto vocale dei giovani Nuovonormale aggiungono pepe le chitarre tese e veloci di “Sbagliato”. Più cantautorali, ma sui generis, sono “Sopra vivere” e “Hotel Chimera” di Fabrizio “Taver” Tavernelli e “Hotel Chimera” del duo Magoni/Finaz, mentre le mie orecchie grate sentono echi ‘80 nei vocalismi de “Il Controcanto” di Teresa Plantamura. Il tema della lettera, così importante per chi è rinchiuso in carcere, traspare nei titoli degli interventi di Virginio (“PS Post scriptum”) e Lisa Gioè (“Lettera al mio destino”), brevi meditazioni minimali di solida vocalità, prima di trovare l’organetto di Ambrogio Sparagna (“Per non credere”), un pezzo in cui l’atmosfera di piazza evocata dallo strumento trascina le parole rinchiuse negli spazi della perduta libertà. Malinconia, allegria perduta e ricercata nel ricordo, volti lontani, affiorano nei diversi motivi di due gruppi di lungo corso come Yo Yo Mundi e Acquarogia Drom, tra intimismo padano (“la Finestra”) e atmosfera da baldoria tzigana (“Tu chi sei”). Il funky/soul fiatistico di “Il pensiero Vola” della Magicaboola Brass Band introduce la chicca finale (prima della reprise di “Clown Fail”), ovvero l’inconfondibile tono basso della leggenda Enrico Maria Papes, già coi Giganti, accompagnato da Federica Balucani e Pepe Gurioli in “Frammento”.
Per Codice Rosso Falco Ranuli