Porta a Mare: se questa è la Livorno che vogliamo
Per certi versi esistono molte Livorno, molte città che si sovrappongono e si attraversano, un dialogo continuo che è iniziato da molto tempo ormai ma che arriva invisibile e inascoltato fino ai nostri giorni.
Porta a mare è uno dei progetti che riguardano Livorno da almeno due decenni e che non sembra aver portato grandi cambiamenti e benefici per la città e per i suoi cittadini, anche dal punto di vista occupazionale e nonostante la propaganda a tutta forza di ogni progetto economico livornese parli sempre di lavoro e benefit vari per tutti.
Da una visione del portale https://livorno-portamare.it/ e da una semplice passeggiata in quel complesso, se pur ancora non completato nonostante i lavori siano iniziati da alcuni anni, possiamo notare che siamo di fronte a un’operazione finanziaria ed edilizia che mira alla vendita di appartamenti e fondi commerciali con poche concessioni a quella città culturale e relazionale di cui abbiamo bisogno: il gruppo IGD, per il comparto ex Officine Storiche, indica “42 appartamenti, 21 negozi, 5 medie superfici e un centro fitness”. Tutto questo anche con la sponsorizzazione del sindaco Salvetti che parla di “Realizzazione di grande livello, da città europea”.
Sappiamo bene che senza finanziamenti e investimenti economici rilevanti non si muove foglia ormai e che sia difficile far decollare qualsiasi piano edilizio e cittadino, ma crediamo fermamente che alcune città che ci portiamo dentro potrebbero aiutarci in questo difficile momento economico e sociale e dovrebbero essere parte costituiva di un progetto strutturale, architettonico e sociale di una città che sembra ormai abbandonata a se stessa.
Il piano urbanistico approvato nel 2004 vide impegnati gli enti pubblici locali, provinciali, regionali, i ministeri e la soprintendenza per la creazione della Stu – società di trasformazione urbana – un progetto pubblico sviluppato ad hoc. La Società nata nel 2003 tra Azimuth Benetti e Comune fu il frutto di una procedura di scambio, acquisto e permuta di aree del Cantiere, della Lips e della Spil, che andrebbe ripercorsa per capire bene la debolezza dell’amministrazione in tutta questa vicenda, comprendere la reale portata del “ruolo di garante delle finalità pubbliche” nonché verificare il rispetto dei patti para-sociali che regolavano i rapporti tra i soci della Stu. Un capitolo amministrativo da rileggere per capire dove e come tutto ha avuto origine e rinnovare l’attenzione sul futuro per quanto riguarda i necessari investimenti per le infrastrutture pubbliche per la riorganizzazione e la riqualificazione dell’intera area da parte degli enti comune e AP.
La città del tempo
Porta a Mare si pone proprio nell’area che ospitava quel cantiere Orlando che costituiva una parte fondamentale dello sviluppo economico, sociale e politico di Livorno degli anni del dopoguerra fino agli anni 80 almeno. Il cantiere era luogo di produzione ma anche di socialità con sindacati, circoli e bar che ruotavano intorno all’attività cantieristica. Il quartiere popolare di Borgo Cappuccini era qualcosa di particolarmente vivo e legato profondamente al cantiere, agli operai e di rimando all’intera città.
Il tempo passato del lavoro, delle lotte, delle relazioni, delle amicizie di fronte a quel mare, il tempo vivo delle persone e dei gruppi sociali deve essere ripreso e compreso in ogni ricostruzione strutturale di una parte di ogni città: il tempo passato è memoria da restituire e da attraversare in ogni quartiere di una città, ogni luogo a venire deve essere tempo passato e tempo futuro, memoria e innovazione, ricordo e sogno a venire.
La città del tempo che vive dentro ognuno di noi deve essere parte costituiva e propositiva di ogni progetto a venire per una nuovo modo di vivere e di concepire lo spazio cittadino.
L’operazione Stu Porta a Mare ha reciso il legame con il tempo e ridotto la memoria lavorativa e sociale a sporadici episodi residuali. Le poche testimonianze storiche ci appaiono oggi come rovine nel mezzo di un agglomerato edificato, sorto sui resti del porto mediceo cinquecentesco e dello storico cantiere ottocentesco. Non si tratta del romantico fascino per le rovine ma di una totale incomprensione da parte delle istituzioni preposte, della ricchezza patrimoniale archeologica e storica che risiedeva negli edifici purtroppo demoliti e nei macchinari rottamati malamente. Il tema merita una riflessione approfondita su ciò che può ancora essere recuperato, sulla necessità di riavvolgere il legame marinaro e sulla potenzialità di promozione turistico-culturale della città e del suo porto.
Nel 2010 la Regione aveva approvato la variante al Piano regolatore portuale per la realizzazione del Porto Mediceo e il Ministero dell’Ambiente aveva espresso parere positivo con importanti direttive per il recupero del porto storico e per la compatibilità ambientale degli interventi. Avrebbe dovuto svilupparsi un progetto condiviso tra Autorità portuale e Comune per legare tutti i comparti tra loro e garantire, appunto, la vocazione marittima e di servizio alle attività nautiche e diportistiche esistenti. Un punto da cui ripartire, un progetto che sia capace di accogliere in sé tempo passato, presente e futuro.
Nell’ambito della razionalizzazione delle partecipate il Comune ha deciso di uscire dalla Stu Porta a Mare, cedendo le proprie quote, si tratta di un passaggio significativo in rapporto alla pianificazione della città e del suo porto.
La città felice
Ma la città del tempo ha bisogno anche di una città felice: “La città felice deve prolungare le curve, calcolare i risultati e liberare le forze del progresso abbattendo le forze del passato. Ma ha bisogno di una società altra che è quella che ci viene promessa dall’avvenire; essa si inserisce in quella storia che ci trasporta.” ( Marcel Gauchet – I volti dell’altro).
Nel progetto Porta a mare non è presente la Livorno del passato ma manca anche la visione di una città futura felice. Non si riscontra traccia della storia del quartiere, delle innovazioni dei porti più moderni, di uno straccio di inchiesta sul reddito medio degli abitanti della zona, della questione del traffico, della viabilità, ma solo un adesione a una tipica città degli anni ’90, con case e appartamenti da costruire e da vendere, fondi commerciali e palestre dove continuare la propria vita isolata come monadi senza finestre e vie di fuga. La città felice può essere solo concepita e progettata con spazi relazionali, vivi e innovativi, luoghi densi di relazioni e di possibilità, università popolari e gruppi di studio, luoghi restituiti ai cittadini per crescere, conoscere, responsabilizzarsi e trovare idee e connessioni per un altro modo di vivere la vita.
Stentiamo infatti a ritrovare nell’attuale progetto uno schema in cui i cittadini possano riconoscersi, ricco di funzioni e significati, ma anche poetico e simbolico, che sia il risultato dell’arte del disegno urbano, che è qualcosa di più di un esercizio compositivo di aree e volumetrie. L’area della Porta a mare era ricca di significati, di riferimenti con una forte immagine peculiare e unica, legata agli specchi d’acqua e ai quartieri adiacenti.
Proporzionalmente alla crescita edilizia dei comparti IGD sembra diminuire l’identità marittima e si registra la progressiva scomparsa dell’immaginario portuario. Non ci sono ricette per disegnare una nuova area urbana, l’obiettivo è innescare un processo di riappropriazione del rapporto con l’acqua, rendere uno spazio nuovo immediatamente riconoscibile come parte della città esistente, creando una combinazione di funzioni urbane non sperimentato prima, evitando la banalizzazione e l’effetto enclaves.
Per tornare alla realtà, la proprietà Porta Medicea Srl subentrata a Stu Porta a Mare, per l’attuazione del comparto, nel 2018 ha chiesto una variante urbanistica, accordata dall’amministrazione, per la rimozione del vincolo di uso pubblico di una parte delle officine storiche per adibirla a commerciale in cambio della ristrutturazione della Porta Orlando e di altre opere come la passerella pedonale.
La città di confine
Su un progetto invasivo e importante come Porta a Mare, con investimenti decisivi e interessi privati rilevanti una domanda sorge necessaria.
Perché non passare da una decisione partecipata coinvolgendo da una parte i residenti del quartiere e dall’altra tutte quelle associazioni sportive, culturali, musicali e solidaristiche, studi di architetti e ingegneri che lavorano nella nostra città che avrebbero potuto dare un contributo decisivo nella scelta di spazi e idee all’interno di questo progetto.
Gli stessi comitati di quartiere, non solo quello di Borgo Cappuccini, ma anche quelli limitrofi dovevano essere parte integrante di questo progetto in quanto trattasi di zona fondamentale della nostra città, linea di confine e passaggio tra il Porto e il viale Italia, tra il centro della città e il mare aperto, tra i ricordi del passato e i sogni futuri delle nuove generazioni.
Sul destino delle trasformazioni dei waterfront dismessi e del rischio marginalità ed effetto barriera si sono confrontati i maggiori architetti europei e abbiamo tanta letteratura. Dobbiamo dire che inizialmente la Porta a mare si inseriva in una strategia di centralità urbane, mai stata attuata purtroppo, che vedeva dialogare Centro Città – Pentagono – e la Porta a Mare per sviluppare una sinergia e non una duplicazione-competizione di funzionalità. Insomma si sarebbe aperta tutta un’altra storia urbana, ancora tutta da scrivere e intentare, in cui coniugare bellezza, arte, paesaggio, ambiente naturale, in una sorta di grande progetto di spazio urbano collettivo che vedesse mobilitati abitanti, associazioni, politici, in un’ottica interdisciplinare, con lo scopo di riconnettersi completamente con il mare e il porto.
Nel 2015 fu avviato un processo partecipativo denominato “Il futuro è dietro la porta a mare” che si concluse con numerose proposte per obiettivi quali la sostenibilità e diminuzione delle pressioni negative sui quartieri, i rapporti tra funzioni esistenti e nuove, l’uso dello spazio pubblico, il miglioramento della mobilità, la portualità turistica e molto altro. La trasformazione delle proposte in uno o più programmi di interventi avrebbe consentito quel salto di qualità che manca. Per approfondimenti si rimanda al sito web dedicato: https://partecipa.toscana.it/web/livornoportamare
La città futura
Ogni progetto strutturale, architettonico e sociale di un quartiere, se pur foraggiato con capitale privato, deve avere come obiettivo la città del futuro, dove residenti, reddito, vivibilità, ecologia e ambiente devono essere salvaguardati per gli anni a venire.
Ma non esiste città futura senza un reale coinvolgimento delle nuove generazioni che devono, per forza di cose, essere parte integrante di ogni progetto in termini di idealismo, realizzazione e opportunità. In parole semplici, come ci dice L’antropologo Scott Atran, bisogna offrire ai giovani qualcosa che li faccia sognare e trovare un significato che possano dare alla vita, questo sogno deve essere un sogno positivo, con una concreta possibilità di realizzazione; ma soprattutto bisogna offrire ai giovani l’opportunità di creare le proprie iniziative locali. Le ricerche sociali indicano che le iniziative locali, nate con una partecipazione in scala ridotta, sono meglio dei programmi nazionali, su vasta scala, per ridurre la violenza, isolamento e depressione.
In questa prospettiva è necessario ripensare la nostra città e andare oltre il paradigma della relazione città-porto, Livorno non sarebbe la stessa città senza il suo porto, e viceversa. Si tratta di riuscire a cogliere questo unicum in cui dimensione urbana, marittima, portuale e infrastrutturale si fondono e sovrappongono, qui sta la vera opportunità per riuscire a immaginare un futuro diverso per Livorno e il suo porto.
Se la società non esiste (Thatcher) dovremmo inventarne una noi perché bisogna ritrovare la politica dove non c’è più, nei quartieri come nelle tecnologie, nei progetti strutturali e nei piani d’azione collettivi, nelle innovazioni e nelle nuove generazioni, nelle relazioni e nelle informazioni, nell’istruzione e nei saperi condivisi; si tratta in fondo di trasformare la vita ridotta in merce e “rispondere collettivamente al problema della liberazione della nostra vita” (Roberto Ciccarelli – Una vita liberata).
Per Codice Rosso
Simona Corradini – Enzo Favero