Satira

La calza della Befana

Giorgina, come tutti gli anni, la sera del 5 gennaio aspettava l’arrivo della Befana. Era anche un po’ preoccupata perché, nonostante fosse già buio, la nonna non era ancora rientrata. Fin dalla mattina, sopra la sua casa, c’era stato un rumore ininterrotto e ossessionante di elicotteri che sorvolavano l’intera città, come in uno stato d’assedio. Era per i funerali di Papa Emerito I, le aveva detto la nonna. Cosa c’entrava lo stato d’assedio con il funerale di un papa? – si chiedeva la bimba… Comunque, lei, quella sensazione di angoscia e di prigionia, legata al rumore degli elicotteri, l’aveva già vissuta durante l’emergenza Covid. La scuola chiusa, la didattica a distanza nella sua cameretta, il non poter uscire di casa e non poter vedere le amiche (sarebbe stata una irresponsabile nei confronti della sua nonna anziana frequentare le altre bambine e portare a casa il virus!), la mascherina, l’obbligo di restare a distanza. Per lei era stato un vero e proprio incubo.

Per fortuna, dopo poco, la nonna rientrò. Disse che aveva fatto tardi perché per strada c’erano dei blocchi, delle direzioni obbligate e soldati armati di mitra la avevano perquisita più volte, ordinandole di aprire anche la borsa. Ma che pericolo poteva costituire un’anziana signora che era andata a comprare la calza per la sua nipotina? La nonna si mise a sedere su una poltrona e chiamò Giorgina vicino a sé: “Vieni, ti voglio leggere una vecchia poesia” – disse – “è di Giovanni Pascoli e parla della Befana”. Giorgina si fece vicina vicina alla nonna e rimase a bocca aperta ad ascoltare quei versi:

Viene viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! la circonda
Neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.

“Questa poesia parla di una Befana che arriva col gelo e la tramontana” – continuò la nonna – “una Befana dei miei tempi, quando il 6 gennaio faceva veramente freddo. Adesso sembra di essere in primavera ma sembra anche che non importi a nessuno, tutti sono seduti ai tavolini dei bar, all’aperto, incuranti del fatto che a gennaio si sta come a maggio…. una cosa così strana e terribile non interessa proprio a nessuno….”. Le parole della nonna parevano grevi rintocchi nel silenzio della casa e Giorgina si ricordava che, di vero freddo, nel periodo delle feste di Natale, non ne aveva mai sentito.

In quel momento un altro rumore assordante provocato da un gigantesco elicottero squarciò il silenzio della sera che stava scendendo. Era un elicottero militare, di quelli a due eliche, che trasportava una enorme scopa a forma di missile balistico sulla quale si trovava la principessa Georgiana Poponis de Benitis, con una corona regale e una collana d’oro. Era una grande iniziativa del Governo che voleva sbalordire i cittadini della Capitale per la festività dell’Epifania: la principessa in persona, travestita da Befana, sorvolava i cieli della città elargendo calze ai cittadini. Alla guida dell’elicottero c’era il generale Ignacio de Los Ruttos e a bordo si trovava una delegazione del battaglione Zabov, ormai accolto a pieno titolo e con tutti gli onori nelle fila dell’esercito del nostro paese. In un cantuccio oscuro si poteva scorgere persino sua Eccellenza Dragone II. Una delle calze cadde anche sul terrazzo dell’appartamento dove vivevano Giorgina e la nonna.

La bambina aprì la calza e vi trovò un cioccolatino avvolto in una cartina dove erano scritte queste parole: “Questo cioccolatino è per voi, per prepararvi ai sacrifici che vi aspettano! Aumenti di benzina e pedaggi autostradali sono niente in confronto al doveroso obolo che dovrete versare per sostenere la gloriosa guerra in aiuto del Paese est europeo aggredito da Ras-Putin. Dimenticatevi sanità, scuola e servizi pubblici! Dovrete tutti donare un fucile mitragliatore alla Patria! Riconvertiamo tutto in industria bellica!”. Su un altro foglietto era scritto che la calza era il doveroso ringraziamento a tutte le famiglie sacre e tradizionali per i futuri sacrifici. Sacre e tradizionali? – si chiese la bambina – che cavolo mai di famiglia tradizionale era la sua, composta solo da lei e dalla sua vecchia nonna?

Intanto, la principessa Georgiana che si fa chiamare George sogghignava sulla sua scopa con testata termonucleare rivolgendosi ogni tanto al generale de Los Ruttos e a Dragone II con queste parole: “e a noi che ce frega?”, “e a noi che ce frega?”, “e a noi che ce frega?”. Il primo rispose con un suono confacente al suo nome, il secondo con un verso da rettile. E poi continuava a urlare: “preparamose già pe’ la grande giornata de festa nazzionale der diegi febbrario!! Er ggiorno der Rigordo!”.

Per le strade, dalla finestra aperta, Giorgina sentì solo flebili grida di protesta, subito soffocate; fra le tante le parve di sentire la voce di un passante che così stravolgeva quei versi del Pascoli che le aveva letto la nonna:

Viene viene la Befoni,
vien dal monte di pietà, dove poi tutti si va!
Come è brutta! Con lei sta
pioggia, caldo e du’ coglioni,
Viene viene la Befoni.

Ma subito dopo ci fu un urlo spezzato e poi il silenzio.

gvs