Toscana Pride a Livorno. E dopo?
Con un percorso dal centro città alla Terrazza Mascagni si è svolto il Toscana Pride 2022 che, per la prima volta, ha quindi toccato Livorno. Una manifestazione numericamente consistente, colorata, vivace che, da tempo, non è più tanto un “gay pride” ma un corteo che si vuole inclusivo di tutte sensibilità contrarie alle discriminazioni sessuali di ogni genere. Del resto, ormai da anni, la polarità etero vs. frocio/lesbica tiene sempre meno l’egemonia sulla rappresentazione dei comportamenti sessuali. E che il format inclusivo, dal punto di vista della mobilitazione, paghi lo si è visto in piazza con la presenza di famiglie di ogni genere e di persone che appartengono a mondi molto diversi da quello dei Pride.
Sicuramente una manifestazione non tradizionale per Livorno, visto che 20 mila persone (30 mila secondo gli organizzatori), la nostra città le aveva soprattutto viste per le manifestazioni sindacali più importanti o per gli avvenimenti politici più drammatici. Ma questo Toscana Pride attira, un po’ love parade un po’ festa trash, che ormai fa capolino anche ai matrimoni, cercando di far passare messaggi di diverso tipo. E qui qualche considerazione esce fuori spontanea.
La prima è che l’amministrazione locale ha fatto proprio l’evento, come aveva fatto per quel tipo di percorso l’amministrazione precedente. Bene, l’attuale amministrazione ha, su tanti piani importanti, spessore scarso o nullo ma almeno dimostra che, nelle nostra città, c’è uno spontaneo senso dell’accoglienza a prescindere dalle maggioranze. Certo, tra ristorazione e soggiorno, l’amministrazione punta a valorizzare anche un altro genere di accoglienza, quello fatto di turismo LGBTQIA+, che è comunque rispettoso dei territori che lo ospitano. Poi, quanto questo evento possa essere servito per favorire maggiore inclusività in città è presto per dirlo. Lo si capisce solo dalla trincea delle iniziative giorno per giorno. Certo, anche nella nostra città le enormi mutazioni degli ultimi 20 anni hanno creato gli spazi, sociali ma anche tecnologici, per un uso collettivo dei piaceri molto differente rispetto al passato. Eppure, allo stesso tempo, la cultura diffusa è ancora quella della microfisica della discriminazione con al centro la male culture, come la chiamano nel mondo anglosassone, dominante e a volte aggressiva come il vecchio patriarcato. Di sicuro eventi del genere portano in piazza quel senso della rottura delle barriere, dei ruoli, di cui la nostra città ha bisogno.
Il Toscana Pride appare un cartellone parte istituzionale parte associativo. La sovrapposizione ha motivi abbastanza evidenti: le istituzioni toscane cercano di recuperare sul piano della promozione dei diritti simbolici mentre tagliano su quello dei diritti concreti; le associazioni trovano legittimazione, finanziamenti per le loro iniziative, là dove perdono in carica di rottura, di ribaltamento delle gerarchie sociali esistenti.
La storia dei diritti su questo campo, e del rapporto tra associazioni e centrosinistra, è molto travagliata vista anche la presenza dell’altro socio forte (la Chiesa) del mondo del centrosinistra. Ma, con queste formule, tipo Toscana Pride, le istituzioni regionali ricavano un terreno dedicato a questo genere di elettori prevalentemente giovane.
Di solito i Pride, e ogni genere di manifestazione di questo tipo, ricevono critiche da destra e da sinistra. Da destra si continua a ripetere, ogni volta, il primato, pedagogico e quindi sociale, della famiglia “naturale” contro gli altri aggregati di persone. Sfugge a questo genere di cultura che naturale è sempre una aggregazione tra viventi, qualsiasi sia il sesso di chi vi si aggrega, quando ci sono consenso e valore affettivo. Non sfugge però, proprio a destra, l’enorme posta in gioco, sul piano culturale e della composizione economica del welfare, se sullo stesso piano dei diritti si mette ogni genere di famiglia. Le critiche da sinistra, da tempo, si giocano sulla contrapposizione tra diritti civili, rivendicati dal mondo dei Pride, e diritti sociali, materiali di tipo sindacale. Ora, a parte alcuni soggetti, che vivono di un identitarismo formatosi su un mondo mai esistito, il resto di ciò che rimane della sinistra può ben comprendere che i diritti dei Pride (salute, assistenza, formazione) sono materiali e, potenzialmente, spostano la spesa pubblica, e la struttura del salario, a favore di un welfare universalistico.
Già perché il problema dei prossimi anni, quello non tanto della difesa ma proprio del potenziamento del welfare sta nel ricondurre i bisogni dal recinto dei “diritti speciali” al territorio dello stato sociale universalistico. Il centrosinistra, sul modello anglosassone, immagina le prestazioni pubbliche come protezione di una serie di diritti speciali limitati, definiti, valorizzati sul piano del marketing, e il resto viene lasciato nelle mani del mercato. Del resto quando la Cgil, per bocca di Landini, parla di Welfare aziendale si intravede una ulteriore balcanizzazione delle prestazioni sociali, che sta tutta entro questo modello. La differenza tra una “sinistra” di fatto social-liberista, e quindi riproducente serie diseguaglianze, e una sinistra reale, dal punto di vista dei Pride, sta nel modello di Welfare nel quale includere i nuovi diritti. E questi diritti si erogano concretamente entro un modello universalistico, legato non solo al riconoscimento dei diritti formali ma anche di cura, assistenza e formazione. Certo, nella dimensione economica attuale, un alieno per le sinistre, non si tratta di un obiettivo facile ma la politica serve per trasformare i bisogni legittimi in diritti.
È evidente che in prospettiva, neanche così lontana, le aspirazioni delle istituzioni e delle associazioni di base, su questi temi, sono differenti e persino contradditorie tra loro. Perché il Welfare è in continua contrazione, quello toscano è in declino e, come sempre accade in questi casi, si moltiplicano i bisogni e le richieste d’intervento pubblico che molto difficilmente, con questo assetto economico e di potere regionale, potranno essere soddisfatti.
La novità quindi è che tutti questi temi si giocano entro una lunga crisi, non certo solo regionale, e le tematiche emerse andranno risolte in una società tendente all’invecchiamento, con risorse economiche tutte da inventare, entro una crisi d’identità tipica di un corpo sociale, il nostro, in continua mutazione senza però una precisa direzione.
Temi e agenda politica da anni ’20 indubbiamente.
Per codice rosso, nlp