Sri Lanka: storica vittoria di Dissanayake candidato della coalizione progressista Partito Nazionale del Popolo
Breve inquadramento storico e geografico
Lo Sri Lanka, un’isola nell’Oceano Indiano situata a sud-est dell’India, ha una storia complessa e ricca di eventi significativi, che ha visto diversi popoli e culture lasciarvi il proprio segno. L’isola fu abitata da gruppi locali come i Vedda, ma subì influenze significative da parte dei Tamil provenienti dall’India meridionale e dai commercianti arabi, e, dall’inizio del XVI secolo, da parte delle potenze coloniali europee, nella fattispecie: portoghesi, olandesi e britannici.
Nel 1948, il paese ottenne l’indipendenza dal Regno Unito, assumendo il nome di Ceylon (cambiato in Sri Lanka nel 1972). Da allora, la sua storia è stata segnata da tensioni etniche e religiose, in particolare tra la maggioranza singalese (circa il 75% della popolazione) e la minoranza Tamil (circa il 15%), concentrata soprattutto nel nord e nell’est del paese (carta 1). Infine abbiamo due piccole minoranze, una proveniente dall’India Occidentale, i parsi, e, l’altra, gli abitanti originari dell’isola, i veddas.
Carta 1: la suddivisione etnica dello Sri Lanka
La lunga guerra civile tra il governo e le Tigri Tamil, che ha avuto luogo dal 1983 al 2009, ha causato devastazioni, lasciando cicatrici profonde sia sul piano economico che sociale. Le principali religioni includono i buddisti, prevalentemente singalesi e gli induisti, in gran parte Tamil. Altre minoranze religiose comprendono i musulmani di origine araba e i burghers, discendenti dei coloni europei. Attualmente la popolazione ammonta a circa 22 milioni di abitanti (grafico 1) su di una superficie di soli 65.610 km2, con un’elevata densità di 325 ab/km2.
Grafico 1: istogramma della popolazione dello Sri Lanka. Periodo 2014-2023. Fonte: Trading economics
La crisi economica e politica del 2022
Lo Sri Lanka è stato travolto negli ultimi anni dalla peggiore crisi economica dalla sua indipendenza.
I problemi sono esplosi nel 2022 con una serie di fattori concatenati, tra cui una cattiva gestione della finanza pubblica, un debito pubblico massiccio, la pandemia da Covid-19 e il conseguente collasso del turismo.
Il governo del presidente Gotabaya Rajapaksa e del, fratello, primo ministro Mahinda Rajapaksa ha subito pressioni crescenti, culminate in proteste di massa sfociate nel crollo dell’establishment politico. Il default (fallimento) del paese e l’intervento del Fondo Monetario Internazionale (FMI) con l’applicazione di misure di aggiustamento strutturale lacrime e sangue di stampo neoliberista ha determinato l’inasprimento delle condizioni di vita facendo precipitare in una situazione drammatica la popolazione: mancanza di beni essenziali, scarsità di carburante e blackout energetici prolungati che ha spinto alcune centinaia di migliaia di singalesi all’emigrazione (grafico 1).
Il pil procapite che aveva raggiunto il suo massimo nel 2018 con un valore intorno ai 4.500$, da quel momento ha iniziato a diminuire fino a precipitare, nonostante i flussi migratori in uscita, sotto i 4.000$ nel 2023 (grafico 2).
Grafico 2: istogramma del Pil pro capite dello Sri Lanka. Periodo: 2014-2023. Fonte: Trading economics
La vittoria elettorale di Anura Kumara Dissanayake e il cambio di direzione politica odierna
Anura Kumara Dissanayake, noto con l’acronimo AKD, si è ufficialmente insediato come presidente dello Sri Lanka, dopo aver vinto le elezioni presidenziali il 22 settembre 2024 con il 42,31% dei voti, corrispondenti a 5,7 milioni di preferenze. Il leader della coalizione di centrosinistra “Partito Nazionale del Popolo” (NPP) ha sconfitto il suo principale avversario, Sajith Premadasa, leader della coalizione centrista “Potere del Popolo Unito” (SJB), che ha ottenuto il 32,76% dei voti. Ranil Wickremesinghe, presidente uscente e veterano della politica singalese, si è fermato al terzo posto con il 17,3%. Wickremesinghe era stato designato presidente ad interim dal parlamento nel 2022, dopo le dimissioni di Gotabaya Rajapaksa, fuggito dal paese travolto dalle proteste contro il suo governo, accusato di nepotismo e corruzione, e soprattutto incapace di gestire la peggiore crisi economica che lo Sri Lanka abbia vissuto dal 1948, anno della sua indipendenza. Dissanayake, 55 anni, è il primo presidente di sinistra nella storia dello Sri Lanka, un fatto che segna un cambiamento politico significativo.
La sua vittoria è stata possibile anche grazie al sistema elettorale a preferenze multiple, che consente agli elettori di indicare anche una seconda e una terza scelta. Oltre a essere in testa nella prima preferenza, Dissanayake ha raccolto un ampio sostegno anche nelle seconde preferenze, consolidando così la sua vittoria. La partecipazione elettorale è stata alta, raggiungendo il 79%, a dimostrazione della profonda mobilitazione politica in un momento cruciale del paese.
Dissanayake, leader del Fronte di Liberazione del Popolo (JVP) dal 2014, un partito originariamente marxista-leninista, ha attraversato una profonda trasformazione ideologica dopo la netta sconfitta alle elezioni del 2019, nelle quali raccolse solo il 3% dei consensi. Il JVP, che negli anni Ottanta e Novanta fu protagonista di due tentativi di insurrezione armata, ha gradualmente abbandonato la lotta armata e il suo programma rivoluzionario per abbracciare l’economia di mercato e un approccio riformatore di stampo socialdemocratico. Questo cambiamento, avvenuto in risposta alle sfide politiche del paese, ha portato alla scissione delle correnti più radicali del partito, ma ha anche reso il JVP una forza politica più inclusiva e pragmatica.
Durante la sua campagna elettorale, Dissanayake ha puntato molto sulle nuove generazioni, promettendo riforme sociali, politiche ed economiche per rilanciare lo Sri Lanka. Tra le sue priorità del suo programma riformatore ci sono il potenziamento del sistema educativo, il rafforzamento del welfare, la digitalizzazione del paese e la lotta alla corruzione.
Sul piano istituzionale, ha espresso la volontà di abolire il sistema presidenziale in favore di una democrazia parlamentare.
In ambito economico, ha promesso lo sviluppo del settore agricolo, manifatturiero e tecnologico, un piano che dovrà confrontarsi con una realtà economica molto complessa. Il debito estero dello Sri Lanka ammonta a circa 51 miliardi di dollari, e il paese ha dichiarato la bancarotta nel 2022 a causa dell’esaurimento delle riserve di valuta estera. L’isola si trova in una crisi economica devastante, aggravata dalle conseguenze della pandemia di Covid-19 e dalle politiche economiche fallimentari dei governi precedenti. Uno dei settori più colpiti è stato il turismo, che rappresentava una delle principali fonti di valuta estera. La scarsità di risorse ha portato a razionamenti di beni essenziali come carburante, elettricità e medicine, costringendo gran parte della popolazione a vivere in condizioni di estrema povertà.
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha concesso un prestito di tre miliardi di dollari a Colombo nel marzo 2023, ma finora ne è stato erogato solo un terzo. Dissanayake ha dichiarato di voler rinegoziare l’accordo con l’FMI per ridurre l’impatto delle misure di austerity sulla popolazione, che includevano un drastico taglio della spesa pubblica. Il governo uscente, guidato da Wickremesinghe, ha ridotto l’inflazione dal 70% a meno dell’1% e riportato il PIL in crescita, ma a costo di sacrifici enormi per le fasce più povere della popolazione, come l’aumento delle tasse, il taglio dei servizi pubblici e il razionamento dei beni essenziali.
Lo Sri Lanka ha debiti significativi con diversi paesi, tra cui 4,3 miliardi di dollari con la Cina, 2,7 miliardi con il Giappone e 1,6 miliardi con l’India. La Cina, in particolare, ha fornito finanziamenti a lungo termine per numerosi progetti infrastrutturali, ma molti di questi sono rimasti incompiuti o non sono stati in grado di generare i ritorni economici sperati. Pechino ha adottato una linea dura nelle trattative sui debiti, chiedendo risarcimenti immediati, una richiesta che lo Sri Lanka, in stato di default, difficilmente può soddisfare.
Le sfide del nuovo esecutivo
Dissanayake affronta dunque la sfida di gestire questa crisi del debito e trovare un equilibrio tra le richieste dei creditori internazionali e la necessità di proteggere i diritti e il benessere della popolazione, il 25% della quale vive al di sotto della soglia di povertà estrema. Oltre a Cina, Giappone e India, lo Sri Lanka deve affrontare la pressione di creditori privati e istituzioni finanziarie come il consorzio Ad-Hoc Group, responsabile della ristrutturazione di una parte del debito pari a 17 miliardi di dollari.
Una delle maggiori sfide che Dissanayake dovrà affrontare riguarda il Parlamento, eletto nel 2022, dove la coalizione NPP ha solo tre seggi. Durante il suo discorso inaugurale, il nuovo presidente ha affermato che scioglierà il Parlamento e indirà nuove elezioni per ottenere una maggioranza stabile, essenziale per attuare il suo ambizioso programma di riforme progressiste.
L’ascesa al potere di Dissanayake segna la fine definitiva della dinastia politica dei Rajapaksa, che ha dominato la scena politica singalese per quasi due decenni. La famiglia Rajapaksa ha accumulato ampi poteri ed enormi ricchezze, ma è stata travolta dalle proteste popolari scatenate dalla crisi economica e dalle accuse di corruzione. Gotabaya Rajapaksa, presidente dal 2019, e suo fratello Mahinda, rispettivamente primo ministro e presidente per molti anni, sono stati costretti a dimettersi e a fuggire dal paese. La loro caduta ha segnato un momento cruciale nella storia recente dello Sri Lanka, con la popolazione che ha preso d’assalto il palazzo presidenziale nel luglio 2022, chiedendo un cambiamento radicale.
Il successo di Dissanayake, quindi, rappresenta una speranza di rinascita per un paese devastato da anni di cattiva gestione economica, dilagante corruzione e frequenti crisi politiche. Tuttavia, le sfide economiche e sociali restano impervie e il nuovo presidente dovrà affrontare un contesto internazionale e interno estremamente difficile per mantenere le promesse fatte durante la campagna elettorale.
Il recente cambio di governo in Sri Lanka può essere visto come l’esito opposto di quanto accaduto in Argentina, nella quale, dopo il peronista moderato Fernandez, con l’elezione di Javier Milei il paese ha virato a destra. Milei, un economista ultraliberista, ha basato la sua campagna su proposte radicali, come l’abolizione della banca centrale, tagli indiscriminati in tutti i capitoli di spesa e la dollarizzazione dell’economia, con l’obiettivo di combattere l’inflazione e ridurre drasticamente la spesa pubblica, illudendo la popolazione affamata dalla drammatica crisi economica derivante dalle politiche draconiane imposte dal FMI a seguito del prestito di ben 45 miliardi acceso dal presidente liberista Macri nel 2018.
In Sri Lanka, invece, Dissanayake propone un rafforzamento del welfare e una maggiore protezione dei settori più deboli della società, invertendo la tendenza verso le privatizzazioni e le politiche di austerità. Mentre l’Argentina ha scelto di affidarsi a un modello di estrema destra con soluzioni aggressive di taglio neoliberale che ha peggiorato ulteriormente le già drammatiche condizioni sociali, lo Sri Lanka ha optato per una direzione opposta, spostandosi verso politiche socio-economiche di sinistra, in risposta a una crisi che ha colpito soprattutto le fasce più povere della popolazione.
Le due situazioni evidenziano come diversi paesi, pur attraversando crisi simili di debito, inflazione e povertà e in presenza di governi entrambi ricorsi a prestiti del FMI, possano adottare soluzioni politiche diametralmente opposte con effetti divergenti per le fase sociali più deboli.
Giovanni Rota