Coteto, l’amore intenso e sterile di Luca Salvetti per le telecamere
È naturale che Luca Salvetti, sindaco che viene dal mondo delle telecamere tv e non dalla realtà, provi a domare i problemi posti dal reale piazzando un pò di telecamere, a circuito chiuso, celebrando l’evento di fronte alla televisione locale. Certo, la telecamera è un grande amore professionale del primo cittadino che però si rivelerà sterile: non risolverà infatti nessuno dei problemi che il sindaco promette di risolvere.
Lo spettacolo dell’inaugurazione del sindaco di Livorno di un circuito di 78 telecamere a Coteto corrisponde all’offerta di intrattenimento che le istituzioni erogano di fronte al timore, sensato, che il territorio stia sfuggendo a dinamiche di controllo. Normalmente le offerte di intrattenimento sono di tre tipi: fornitura di telecamere, richiesta di certezza della pena, desiderio di aumento degli organici per il pattugliamento specie notturno. E’ anche vero che balza agli occhi il problema del controllo materiale del terreno in un territorio, Livorno, statisticamente il primo in Italia in percentuale di denunce per abitante per furti nei negozi. Quindi via con il simulacro della sicurezza, lo spettacolo delle inaugurazioni e richieste di nuovi organici di polizia fino alla prossima ondata di criticità sul territorio. Quando accadrà le tre offerte citate verranno spettacolarizzate in altro modo per essere riproposte come soluzione e così via fino al ciclo di spettacolarizzazione successivo. In Italia, figuriamoci presso questa amministrazione comunale, non esistono piani strategici di rinascita urbana delle periferie, l’unica cura per i fenomeni di decomposizione sociale del territorio. Conta piuttosto il capitale privato, quando c’è per ristrutturazione di pezzi di quartiere, abbinato o meno all’offerta di spettacolo della sicurezza per dare una sensazione di ordine alla cittadinanza.
Ma il tasso di criminalità su un territorio tende a diminuire con la presenza di telecamere? Intanto sarebbe opportuno che l’amministrazione livornese fornisse i dati sulle tipologie di reato a Coteto prima e, al momento in cui si produrranno, dopo l’installazione delle telecamere in modo da permettere all’opinione pubblica di poter valutare l’efficacia del provvedimento. Poi ci sarebbe, ma questo di solito interessa poco, da capire quali sono le garanzie per la privacy effettivamente messe in campo. Il punto poi è che sono ormai moltissimi gli studi sulla relativa efficacia dell’installazione delle telecamere nella diminuzione dei tassi di criminalità. E di qui, una volta capito come funzionano le cose, si può cominciare a sbandare: la telecamera non serve a molto, la certezza della pena non fa breccia nel nostro sistema giuridico, le ondate di pattuglie rimangono immaginarie perché economicamente insostenibili. Il punto è, in questo modo, che la telecamera si rivela soprattutto un totem per l’opinione pubblica che i primi cittadini piantano per dare una risposta a una richiesta di ordine che si rivela più simbolico che materiale. In Coteto i totem sono 78, sono disseminati entro il perimetro del quartiere, hanno l’aspetto di giocattoli e quell’occhio scuro della telecamera che sa di imperscrutabile.
Il funzionamento delle telecamere, nella diminuzione dei tassi di criminalità, per quanto incerto, dipende comunque da tre fattori: tecnici (es. posizionamento del sistema di telecamere), logistici (integrazione tra telecamere e organizzazione della sicurezza), sociali (perchè puoi installare un sistema efficiente di monitoraggio e intervento ma se il territorio è socialmente malato ti scapperà sempre di mano). Siccome la politica si ferma al marketing, quanto di questi fattori incida nella situazione di Coteto non è ufficialmente dato saperlo ma i nostri quartieri li conosciamo: tanto più l’economia formale si ritira da Livorno tanto più le forme di appropriazione, anche brutale, di brandelli di ricchezza del territorio si fanno insistenti. Anche dal punto di vista stretto dell’ordine pubblico le telecamere servono non come elemento di prevenzione, la paura delle telecamenre appartiene al cittadino disciplinato non alle gang sul territorio, ma come strumento probatorio per identificare meglio i più sprovveduti o qualche disperato. Il futuro delle 78 telecamere di Coteto è quindi già scritto: saranno la testimonianza di un territorio in decomposizione, ad alto tasso di invecchiamento che subirà stagioni più o meno violente di aggressione a seconda di fattori che le istituzioni non controllano in concerto di impotenza, naturalmente, con tutto il sistema cittadino delle telecamere.
Certo, i 500 mila euro spesi per i totem di Coteto sarebbero meglio serviti se impiegati per una ventina di operatori sul territorio. Ma anche qui c’è un punto: il nostro welfare, compreso ciò che rimane di quello livornese, è universalistico solo nella facciata. In realtà le figure professionali, precarie, che si trovano in questo settore da noi sono soprattutto del genere “lenire le sofferenze” oppure “intrattenere nelle sofferenze”, in linea con il paternalismo sempre più tratto identitario delle professioni del welfare che sul territorio, con il potere che si identifica in una persona, incontrano tratti affini nella politica locale. A oggi non esistono infatti persone, quelle si prodotto di una impostazione universalistica del welfare, in grado di stimolare un territorio per produrre ricchezza, connettere socialmente gruppi e persone, attirare nuovi abitanti giovani che sono i tre elementi di cui si ha bisogno per invertire il declino e togliere spazio all’economia informale della sopraffazione.
Livorno dovrebbe prendere coscienza del fatto che, dando per scontato che non ha un’amministrazione comunale all’altezza della situazione, manca anche di strumenti adeguati per l’inversione del proprio declino. Se è vero che la presa di coscienza di una malattia è il primo passo per guarire al momento siamo ancora lontani anche da questo passo.
per Codice Rosso, nlp