Codice Rosso

Fame e miseria nel narco-Stato honduregno

Hedelberto López Blanch 10/04/2021

Un’altra semicolonia statunitense nel continente americano, l’Honduras, dove per decenni hanno dominato la corruzione nel settore pubblico, le repressioni militari, la mancanza di politiche sociali con conseguenze di fame e miseria nella popolazione, è stata appena descritta nei tribunali di New York come un narco-Stato.

I fatti sono avvenuti durante i processi celebrati contro i narcotrafficanti Antonio “Tony” Hernández (fratello del presidente honduregno Juan Orlando Hernández) e Geovanny Fuentes Ramírez nella città newyorkese.

Le connessioni di questi due personaggi (condannati all’ergastolo) a numerosi crimini e i loro rapporti con ufficiali dell’esercito, la polizia e con la banda dei Cachorros, famosi narcotrafficanti honduregni, sono state completamente provate.

Tony e Geovanny erano riusciti a importare più di 185.000 kilogrammi di cocaina negli Stati Uniti, e il giudice Kevin Castel ha assicurato che “il traffico di droghe è stato patrocinato dallo Stato”, il che ha coinvolto direttamente il presidente della nazione.

Un testimone protetto dalla procura, ex contabile di un’industria honduregna produttrice di riso, ha dichiarato di aver visto il presidente ricevere valigette di soldi dei narcos, così cercò di entrare a far parte di un laboratorio di cocaina e ascoltò il presidente dire: “metteremo la droga sotto il naso dei gringos e non se ne accorgeranno”.

Per anni Washington ha sostenuto il presidente dell’Honduras nonostante le accuse di corruzione governativa e abusi contro i diritti umani da parte delle forze di sicurezza, e gli Stati Uniti hanno perfino approvato la rielezione di Hernández nel 2018, nonostante le chiare prove di brogli commessi.

Il collasso economico che vive la nazione spiega l’esodo migratorio che negli ultimi anni ha portato migliaia di honduregni a lanciarsi in interminabili camminate per cercare di arrivare negli Stati Uniti e trovare qualche lavoro che possa diminuire la povertà estrema, la disoccupazione, la violenza delle bande e il narcotraffico di cui soffrono.

Dati ufficiali indicano che il Prodotto Interno Lordo (PIB) è calato del 9,5% nel 2020 a causa della pandemia e ai disastri naturali provocati dagli uragani Eta e Jota che hanno causato danni all’attività produttiva e all’infrastruttura del Paese.

La grave situazione economica del Paese era peggiorata prima della pandemia e varie statistiche nazionali sono eloquenti: l’investimento nazionale e straniero si è ridotto da 1 miliardo e 200 milioni di dollari nel decennio precedente a 950 milioni nel 2018 e a 498 milioni nel 2019.

L’Istituto Nazionale di Statistica dell’Honduras ha informato che quasi sei milioni (71%) degli 8,5 milioni di abitanti sono poveri e nella zona rurale si arriva al 77,8%.

Di questa cifra, 4,2 milioni sono in condizioni di povertà estrema e cercano di sopravvivere con un solo dollaro al giorno.

La disuguaglianza è cresciuta a spirale a causa delle politiche neoliberiste promosse dagli ultimi regimi, il che ha fatto sì che 15 famiglie controllino l’80% delle ricchezze, mentre l’80% della popolazione riceve meno del 10%.

Il debito pubblico è superiore ai 10 miliardi e 900 milioni di dollari, quasi la metà del suo PIL.

A questo si aggiungono altri due problemi: la violenza che causa ogni giorno più di 30 morti con numerose bande che terrorizzano paesi e città, e un alto livello di trafficanti perché circa l’80% della cocaina che va negli Stati Uniti dal Sudamerica passa da questo territorio.

Perché la storia non si perda, ricordiamo che 12 anni fa gli Stati Uniti, con l’appoggio della destra honduregna provocarono il colpo di Stato contro Manuel Zelaya, l’unico presidente nella storia moderna di questa nazione (2006-2009) che ha lavorato per portare al suo popolo benefici dei quali mai aveva goduto.

In quasi tre anni di governo, Zelaya ottenne che l’Honduras si integrasse nel 2008 nel meccanismo dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA) e a Petrocaribe.

Queste decisioni di sovranità politica prese dal Governo furono catalogate come molto pericolose dalle forze di destra, l’oligarchia, la cupola militare e le transnazionali come la statunitense Chiquita, la ex United Fruit, che esporta da questa nazione 8.000.000 di casse di ananas e 22.000.000 di casse di banane; o dalle case farmaceutiche che forniscono l’80% delle medicine che si commerciano nel Paese.

Il colpo di Stato con il sostegno dell’esercito, sullo stile di quelli organizzati in America Latina dall’Agenzia Centrale di Intelligence statunitense non si fece attendere; Zelaya fu espulso dal Paese e immediatamente iniziò la repressione contro i cittadini che sostenevano il destituito presidente con un saldo di numerosi morti e feriti.

Di seguito furono imposti al potere Roberto Micheletti e poi Porfirio Lobo, che eliminarono il cento per cento delle leggi a beneficio del popolo che erano state concordate durante il breve periodo di Zelaya.

Tra le misure più dannose ci furono il congelamento della Legge sul Salario Minimo, la perdita di 300.000 posti di lavoro, la frammentazione delle giornate lavorative, la deroga degli accordi con l’ALBA, la restituzione dei privilegi alle compagnie transnazionali e l’impulso alle privatizzazioni.

La vita degli honduregni trascorre in un ambiente di fame, miseria e insicurezza che li obbliga ad abbandonare il Paese, mentre il suo presidente Juan Orlando Hernández traffica con i cartelli per introdurre droga negli Stati Uniti. Questi sono i regimi “democratici” che difende Washington in America Latina.

Hedelberto López Blanch, periodista, escritor e investigador cubano.

Tratto da www.rebelion.org, traduzione per Codice Rosso di Andrea Grillo