Soggetti e Potere

Inaccettabile una nuova retorica del “siamo in guerra”

Fabrizio Curcio, capo della Protezione Civile, in Liguria, dove si impiegano le farmacie come punto di attivazione vaccini, come leggiamo in questo articolo, ha usato parole come “guerra” e “emergenza” (non è un caso, tra l’altro, che il suo superiore sia un generale dell’esercito, Figliuolo): “Noi siamo in guerra. Servono norme da guerra”. È veramente inaccettabile che, da parte delle istituzioni, venga nuovamente impiegato il campo semantico della guerra per riferirsi all’emergenza da Covid 19. Già un anno fa, il potere aveva diramato allarmismi mediante la retorica del “siamo in guerra contro il virus”. Come avevo già osservato in diversi interventi usciti fra marzo e aprile 2020 su “Codice Rosso”, il presunto “stato di guerra” serve solo a colpevolizzare ancora di più i cittadini e a far cessare, di colpo, tutte le prerogative di una democrazia perché, in “guerra”, tutti i diritti vengono meno. Inutile anche ricordare nuovamente che le guerre le scatenano gli esseri umani e non certo i virus. Sarebbe ora che le istituzioni si rendessero conto che le parole sono davvero importanti e bisogna usarle nel modo corretto. La gravità di questa affermazione risiede soprattutto nel fatto che, ad averla pronunciata, non è una persona qualunque in una conversazione con gli amici (un tempo si chiamavano “chiacchiere da bar”, quando esistevano ancora) ma un esponente delle istituzioni durante un discorso ai cittadini e ai media.

Il contenuto dell’affermazione “siamo in guerra” possiede diversi aspetti rilevanti. Il primo è quello di matrice disciplinare: esso serve a disciplinare i cittadini indisciplinati e a metterli in riga. Non c’è niente da scherzare, siamo in guerra. Dimenticando però una cosa: che, anche se ci fosse una guerra, essa dura ormai da un anno e il non averla ancora ‘vinta’ non è certo colpa dei cittadini ma di quelle stesse istituzioni che il capo della Protezione Civile rappresenta. Ecco che la retorica del “siamo in guerra” assume anche un forte impatto mediatico per nascondere l’incapacità delle istituzioni nel fronteggiare l’emergenza del virus. Essa ha quindi una funzione diversiva. L’impatto mediatico ha inoltre la funzione di creare allarmismo fra la popolazione. Quest’ultima viene governata meglio per mezzo della paura; viene disciplinata e controllata egregiamente se le si inculca continuamente che c’è una guerra e che i reparti di terapia intensiva sono allo stremo. Ma di chi sarà mai la colpa se i reparti di terapia intensiva sono allo stremo? Del cittadino che se ne va a fare una passeggiata al parco? Non credo proprio. Semmai, di quelle stesse istituzioni che Curcio rappresenta, che utilizzano il denaro pubblico per i propri interessi e per comprare armi, carri armati e cacciabombardieri invece di potenziare la sanità pubblica. La paura provoca inoltre ansia, stress, depressioni, tentativi di suicidi e suicidi fra la popolazione e, soprattutto, nella fascia sociale dei più giovani. A fronte del Covid, sta emergendo un’altra grande e sottaciuta emergenza: l’enorme quantità di adolescenti in preda a crisi depressive che ricorrono alle cure dei reparti psichiatrici che si stanno riempiendo forse anche di più di quelli Covid.

La retorica del “siamo in guerra”, per concludere, giustifica anche una vera e propria “campagna militar-vaccinale”, come ha scritto Giovanni Iozzoli su “Carmilla, a cui viene sottoposta la popolazione. Le modalità mediatiche con cui viene presentata la campagna di vaccinazione della popolazione, da parte dello Stato, assume indubbie dinamiche disciplinari “e il linguaggio marziale che adotta – nota Iozzoli – è quello tipico dell’arruolamento militare: i riottosi sono disertori o addirittura sabotatori dello sforzo bellico, nemici della Patria”. Tale linguaggio introduce quindi surrettiziamente anche il concetto di “patria” e di “unità nazionale” di fronte al ‘nemico’ virus e ai suoi propagatori, i cittadini indisciplinati, tacciati ora come “negazionisti”, “complottisti”, “no vax” e via di seguito.

La vacuità e l’ignoranza del discorso mediatico veicolato dal Potere ha ormai assunto livelli iperbolici. Dobbiamo difenderci con tutta la nostra intelligenza e tutta la nostra consapevolezza per tenerci saldi ai nostri corpi, alle nostre vite e alla nostra realtà quotidiana che, indubbiamente, meritano una società migliore, al di là di ogni retorica alienante e spersonalizzante.

Guy van Stratten

 

In copertina: fotogramma dal film “Vogliamo i colonnelli” (1973) di Mario Monicelli