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La telenovela del presidente stanco

Cercando nell’archivio del Tirreno le parole “Spinelli” e “stanco”, si trovano ben 60 articoli in cui ad essere stanco è proprio lui, l’oculato presidente del Livorno. Una vera e propria sindrome…
Avremmo dovuto capirlo subito. Il 2 marzo 1999 infatti, appena acquistato il Livorno, Spinelli appariva “stanco e soddisfatto”. Ma sembrava normale dopo una trattativa così dura. E non ci venne nessun sospetto neanche alla fine dell’anno, quando il Livorno perse a Reggio Emilia e Spinelli disse di essere “deluso, stanco, demotivato”. E neanche nell’ottobre 2000, quando dichiarò di essere “stanco” della serie C.
Qualche dubbio affiorò nel settembre 2001, quando Spinelli si arrabbiò con il potere locale per qualche promessa non mantenuta. “Sono stanco di aspettare. Sì, sto per prendere la decisione di lasciare la società. Finora ho investito venticinque miliardi, con una rimessa di sei miliardi a stagione”. Poi Spinelli rimase e non ci pensammo più.
Il Livorno vinse il campionato e fu serie B. Nel giugno 2002, dopo una dura campagna acquisti, il presidente appariva comprensibilmente “soddisfatto ma anche stanco”. Anche il 9 luglio successivo, dopo un impegnativo Consiglio di Lega, era “stanco ma soddisfatto” e a novembre sbottò: “Sono stanco e non voglio andare allo stadio”.
Neanche le vacanze risolvono la grave sindrome di Spinelli. Di ritorno dalle Mauritius, nel febbraio 2003, dichiara di essere “stanco morto”. Il Livorno non attraversa un periodo felice, e Spinelli è “stanco dei pareggi e delle sconfitte”. Poi le cose precipitano e il fedele Sandro Lulli dà la ferale notizia: “Se ne andrà, passerà la mano. Considera chiusa la sua avventura”. Il motivo? E’ “stanco, avvilito” (22.4.2003). Il giorno dopo appare “stanco, provato, oltreché amareggiato”. Però ama la città e assicura al Sindaco Lamberti che venderà solo a persone affidabili.
La squadra, indebolita a gennaio, rischia di sprofondare e il suo giornalista preferito lo vede “un po’ stanco, un po’ deluso ma sempre più incavolato”.
A settembre ancora problemi in Lega, e Spinelli è “stufo, stanco e umiliato”. Nel febbraio 2004 dirà di essere “stanco di questa Lega”.
La malattia si aggrava: pochi giorni dopo Il Tirreno ci informa di una tremenda crisi di rigetto per il calcio; appare “stanco e deluso, amareggiato e irritato”. I livornesi ingrati hanno fatto meno di diecimila abbonamenti e ci sono problemi per i diritti TV. Il sindaco Lamberti, che è medico, si impegna a “fare il possibile per restituirgli entusiasmo”.
Ma la A è vicina, e dopo la vittoria di Catania Gianni Massone lo descrive “stanco ma felicissimo”. Anche dopo la vittoria con il Torino è “stanco ma felice”. Poi arriva la storica vittoria di Piacenza, e il presidente festeggia negli spogliatoi con i gavettoni. Il risultato è che è “bagnato, stanco, esausto”.
Arriva la A. Dalla campagna acquisti ne esce “stanco, ma in fondo soddisfatto”. Ma deve concludere per Lucarelli con il Torino e lo stress si fa insopportabile: “Risolvo la questione e lascio il Livorno. Martedì mi vedrò con un imprenditore romano. Sono stanco”. Il Tirreno ci informa che “l’umore è sotto i tacchi, la voce bassa, distaccata”.
Il giorno dopo, causa mancato arrivo di uno sponsor, ribadirà di essere “stanco, molto stanco. Stanco e deluso”. Ma inizia il campionato e a seguito di una bella prestazione di Ruotolo il presidente può dirsi “stanco ma felice” (26.9.2004).
I risultati sono altalenanti e quando va male Spinelli è “stanco e di pessimo umore”. Per fortuna anche il nuovo sindaco è un medico, ma la situazione è grave. Cosimi ammette: “per la prima volta ho avuto la sensazione che fosse veramente sul punto di mollare”.
La stanchezza va e viene, il presidente dichiara che «essere presidente della Roma è un mio sogno…» (23.2.2005). Ma è solo un miglioramento momentaneo. Il giorno dopo Spinelli dirà: “Sono stanco, non ne posso più di questo mondo”. Un mese dopo ripeterà di aver “fatto il pieno di stress sino al punto di sentirmi stanco”. Ma ama la città e non venderà certo al primo venuto. La decisione pare irrevocabile, “vivendola come la vivo io alla fine ti crollano i nervi”. Per fortuna il bravo dottore-sindaco e l’affetto della gradinata lo rimettono in sesto.
Ma la terribile malattia riemerge: dopo sei pappine a Parma il presidente si sente “stanco e sconfortato”. E oltretutto non arriva la nomina a cavaliere, per cui è “stanco e deluso”.
Nell’agosto successivo, a seguito della campagna acquisti, Spinelli è “stanco”. Comincia la stagione, il Livorno esce dalla Coppa Italia e Spinelli minaccia di lasciare perché è “stanco”. Lo sarà anche per la lunga trasferta di Lecce.
Nel febbraio 2006, invitato alla Domenica Sportiva, non ci va perché è “stanco”. Donadoni si dimette e questo fa sì che Spinelli si senta “stanco, molto stanco”. A maggio, a causa della stanchezza, dice di volersi prendere una pausa di riflessione.
Nel gennaio 2007 il Comune gli chiede l’affitto dello stadio e Spinelli ribatte: “Un po’ stanco sono…”.
Preoccupato per la sconfitta di Bergamo, telefona al suo amicone Luciano Moggi e che gli dice? “Luciano, io sono stanco, ti dico la verità…”
A metà febbraio è stanco per i tornelli. A metà marzo per la trattativa con lo Spartak Mosca su Amelia. All’inizio di aprile, le spese dell’adeguamento del Picchi lo spingono a voler lasciare essendo “molto stanco”.
Il presidente rimane ma la sua terribile sindrome non gli dà tregua. A settembre dirà che il calcio è diventato massacrante e perciò è “stanco”. Intorno a Natale la situazione si fa allarmante: “Sono stanco, davvero sono stanco… Belin, sono stanco” dichiara.
C’è da rafforzare la squadra, ma Spinelli si chiede: “Sono stanco, cosa posso fare di più?” (27.12.2007). Con l’esperienza del medico, Cosimi vede uno “Spinelli stanco”. Il 2 gennaio dalle isole Mauritius dichiara: “Restare ancora? No, guardi, non ce la faccio più”. Il 29 gennaio si augura che la nuova trattativa vada a buon fine perché ormai è “stanco”.
Per ora Spinelli è rimasto. Ma il problema è che ora è il pubblico che è “stanco”.
Il calcio è una metafora e attraverso la beatificazione del presidente passa l’idea che il padrone, poveretto, è quello che si fa il mazzo più di tutti, come scrive l’addetto stampa Sandro Lulli: “Lavora dalle sette di mattina alle sette di sera: controlla, guida, comanda. Infaticabile, instancabile”. (Instancabile?? Ma se è sempre stanco!)
Secondo questa cultura chi porta i soldi ha sempre ragione, guai a contestare perché sennò se ne va. Anche quando racconta balle incredibili o piange perché contro ogni evidenza dice di rimetterci. E in questo Spinelli è davvero insuperabile, uno Shylock del XXI secolo, o la reincarnazione dell’avaro di Moliére. Gli altri in un modo o nell’altro sono sostituibili (Jaconi, Protti, Lucarelli…), ma chi porta i soldi è meglio tenerselo. Nel dopoguerra a Livorno comparve una scritta: NO AL DOLLARO. Dopo un po’ qualcuno aggiunse tre parole: “Ce ne fusse”. Beh, gli spinelliani sono un po’ come quello che scrisse “ce ne fusse”.

(Articolo di Nello Gradirà per Senzasoste – 2008; Immagine tratta da Dagospia)